Pubblichiamo l'articolo uscito nel Corriere della sera del 6 marzo 2001

Der Artikel in der Frankfurter Allgemeine Zeitung am 6. März erschienen

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Claudio Abbado

al Corriere della sera

an der Frankfurter Allgemeine Zeitung

Corriere della sera, 6 marzo.

BERLINO - «La musica è la migliore medicina. Più di ogni ...

Ho sofferto ma dal male possono nascere grandi gioie


BERLINO - «La musica è la migliore medicina. Più di ogni cura è stata proprio la musica ad aiutarmi a superare questi mesi difficili», racconta Claudio Abbado che, per la prima volta, parla apertamente della grave malattia dalla quale si sta ora velocemente riprendendo. «Un cancro», spiega senza enfasi il 67enne maestro italiano. «Mi hanno operato allo stomaco e me ne hanno tolto una buona parte. Di conseguenza sono costretto a una dieta ferrea, sorvegliato a vista dai miei due medici berlinesi».
Parole secche e chiare, che mettono fine a una lunga serie di «si dice», di voci assillanti, di chiacchiere, di preoccupazioni che si sono rincorse durante gli ultimi sei mesi. Voci basate anche sul dimagrimento vistoso del direttore, che peraltro non ha mai interrotto la sua attività.
Abbado, che finora aveva preferito mantenere il riserbo sulla sua vita privata, ora racconta. Con il sollievo di chi il male lo vede già alle spalle. Come garantiscono i chili ripresi di recente e l'aspetto decisamente migliore. Ma il prezzo da pagare ora è una disciplina ferrea.
«Dal punto di vista alimentare certo, per il resto però tutto prosegue come sempre. La mia vita la decido io. Se avessi dovuto seguire i consigli dei dottori, a novembre non sarei potuto partire per la tournée in Giappone con i Berliner e il Tristano . Me l'avevano tassativamente proibito. Ma io sentivo che era giusto andare. E mi ha fatto bene. Da quel momento ho cominciato a sentirmi meglio».
Comunque questi mesi per lei devono essere stati molto duri. «Ho sofferto e ho lottato con tutte le mie forze. Come sempre però dal male può nascere qualcosa di buono. A cominciare dai piccoli piaceri del palato, acuito e sensibilizzato come non mai dalla necessità di dosare e selezionare il cibo, fino alla maggiore attenzione per le piccole cose quotidiane. E poi le grandi gioie: la sicurezza degli affetti, la scoperta di un nuovo legame con la mia orchestra».
In effetti dopo la doppia tournée beethoveniana a Roma e a Vienna tutti hanno sottolineato lo speciale feeling scattato fra Abbado e i Berliner.
Die Zeit ha addirittura parlato di come «l'era berlinese di Abbado sia dal punto di vista musicale al suo zenit». In ogni concerto - prosegue il quotidiano tedesco - «si può sentire come tutto sia frutto di un lavoro artistico comune, di come siano vicini il direttore e i musicisti», di come interagiscano intensamente.
«E' vero, mai come oggi il rapporto con i Berliner è diventato "speciale". A contraddire chi immaginava un lungo addio in diminuendo, fra noi si è instaurata un'intensità di scambi e attenzioni mai conosciuta prima. Ci siamo tutti impegnati in uno slancio comune per dare il meglio».
Uno slancio che ha richiesto a lui uno sforzo non indifferente. Ma Abbado ce l'ha fatta. Il recupero di forze è evidente. Dal Requiem verdiano di fine gennaio a oggi il maestro appare decisamente più in forma. Il colorito è roseo, il corpo scattante, la voglia di divertirsi lavorando tanta. L'Abbado di sempre, insomma, pronto a partire con mille impegni, mille progetti.
Fra i più immediati, il Falstaff a Pasqua a Salisburgo, protagonista Ruggero Raimondi, la Settima di Mahler a Berlino ai primi di maggio, mese in cui a Ferrara porterà la ripresa del Simon Boccanegra .
Quanto all'invito di tornare alla Scala che gli è stato rivolto sul Corriere dal maestro Riccardo Muti, invito sostenuto anche dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la notizia è stata ampiamente riportata dalla stampa tedesca. Ma il maestro sta ancora pensandoci.
Ieri sera, intanto, lo strano incontro con Marsalis. Con la gente che applaudiva senza sosta e non se ne voleva più andare. A Berlino come a Roma, come a Vienna.
Con quale di queste platee si sente più in sintonia? «C'è una composizione molto indicativa a proposito: la Nona di Mahler. Alla fine di questa sinfonia si verifica quasi sempre qualche attimo di silenzio.
Il tempo che intercorre fra l'ultima nota e il primo applauso, è la misura, il grado di partecipazione degli ascoltatori. Il silenzio più lungo si verifica a Berlino».


Frankfurter Allgemeine Zeitung, 6.März.


Jugend neu zu lernen

Musik regeneriert: Claudio Abbado im Gespräch

Gerade hat Claudio Abbado mit den Berliner Philharmonikern in Rom und Wien Beethovens neun Symphonien aufgeführt, dabei enthusiastische Reaktionen von Publikum, Kritik, Öffentlichkeit, Politikern und Künstlerkollegen erfahren. Beides war für ihn außerordentlich wichtig. Denn seit er 1986 die Mailänder Scala verließ, hat er sich in Italien eher rar gemacht. Wenn ihn nun sein Scala-Nachfolger Riccardo Muti, der Startenor Luciano Pavarotti und sogar der italienische Staatspräsident bitten, wieder an der Scala zu dirigieren, so läßt dies fast schlechtes Gewissen erkennen: Abbados Beethoven-Triumph hat verdeutlicht, was dem einstigen "Land der Musik" fehlt. Auch die emphatischen Wiener Reaktionen weisen in diese Richtung; zumal dieselben Kritiker, die massiv dazu beitrugen, daß Abbado resigniert nach all den Intrigen 1991 die Staatsoper verließ, vor Hymnik kaum mehr ein und aus wissen. Die Erfolge jedenfalls tun Abbado außerordentlich gut. Das geht zwar jedem so, doch in seinem Fall kommen noch andere Momente dazu. Wer in den vergangenen Monaten Fotos des Dirigenten sah, erschrak, so ausgezehrt und elend sah er aus. Selbstverständlich schossen die Laien-Diagnosen ins Kraut, wucherten die Gerüchte, wurden schwärzeste Vermutungen angestellt.

Ebendies hat Abbado über die in der Tat schwerwiegende Erkrankung hinaus belastet, so daß er nun den für ihn sicherlich nicht leichten Schritt tat, den diversen Spekulationen entgegenzutreten. Im Beisein der beiden ihn behandelnden Berliner Ärzte nahm er im Gespräch nicht nur definitiv Stellung zu seinem Gesundheitszustand, sondern erläuterte auch weitere Pläne, seine derzeitige Befindlichkeit und darüber hinaus manche Vorstellungen und Leitlinien zur Kunst. Wobei er diesmal sogar gesprächiger wirkte, mehr aus sich herausging, als man es von früheren Unterhaltungen in Erinnerung hat.

Abbado macht kein Hehl daraus, daß seine Erkrankung überaus ernsthaft ist, ein Krebsbefall die Entfernung des gesamten Magens notwendig machte. Diese indes sei, so auch die Ärzte, perfekt gelungen, so daß in dieser Hinsicht keine Gefahr mehr bestehe. Natürlich ist die Ernährung ein außerordentliches Problem, das viel Zeit, Geduld und Disziplin erfordert. Der eklatante Gewichtsverlust jedenfalls ist gestoppt, Abbado hat wieder ein wenig zugelegt, wirkt jedenfalls im Gespräch - immerhin abends nach einer Probe - durchaus vital und unternehmungslustig. Er freut sich auf das Konzert mit Wynton Marsalis, mit dem er schon vor fünfzehn bis zwanzig Jahren in Chicago über ein solches Projekt geredet habe. Unter der Devise "Musik ist Spaß auf Erden" behagt ihm zwar die Fusion von Jazz und Sinfonik; übermäßige Emphase im Hinblick auf derartige Crossover-Aktivitäten strahlt er indes nicht aus. Und auch wenn er für seine vorletzte Saison als Chefdirigent der Berliner Philharmoniker der programmierten Kunst-Heiterkeit nicht entsagen will - immerhin bereitet er für die Salzburger Osterfestspiele Verdis "Falstaff" vor -, klingt im Gespräch die intensive Erinnerung an die thematisch ernsthaft-schwergewichtigen Konzepte (Faust, Prometheus, Shakespeare) deutlich durch.

Leitstern Nono

Auch wenn der Anteil Neuer Musik in den Berliner Programmen zurückgegangen ist, nicht alles schließlich vom partiell doch eher konservativen Publikum goutiert wurde, so bekennt er doch, daß das Weiterschreiten in jeder Hinsicht für ihn bestimmend bleibe. Insofern ist er seinem Idol und Weggefährten Luigi Nono treu geblieben, den er nach wie vor für den wichtigsten italienischen Komponisten des zwanzigsten Jahrhunderts hält. Wobei ihn nachträglich die extremen Positionen besonders faszinieren, der frühe "Il canto sospeso" und der späte "Prometeo"; wobei er sogar - wenn auch verhaltene - Zustimmung zu der leisen Distanz zum Hauptwerk gerade seiner Mailänder Phase, "Al gran sole", durchblicken läßt. Aber Nono bedeutet ihm nach wie vor Entscheidendes, und mit Nachdruck erinnert er daran, wie bewegend es gewirkt habe, die Briefe der zum Tode Verurteilten, die die Text-Basis des "Canto sospeso" bilden, bei der Aufführung lesen zu lassen. Nonos Komposition verweigert nämlich die unmittelbar emotional nachvollziehbare semantische Umsetzung. Auch für Nonos ebenfalls frühen, kaum mehr gespielten "Diario polaco" begeistert er sich. Gerne erinnert er sich auch an ein Konzert ausgerechnet im Allerheiligsten des "Goldenen Saals" im Wiener Musikverein: mit Novitäten von Nono, Rihm, Kurtág und Furrer - und mit Nachwuchsmusikern.

Im Zusammenhang mit Nono kommt er auch auf den russischen Filmemacher Tarkowski zu sprechen, dessen Filme er gut kennt. Nono hat ihm ein Orchesterwerk gewidmet. Ein einziges Mal hat Tarkowski für das Theater gearbeitet: Mussorgskis "Boris" in der Londoner Covent-Garden-Oper - mit dem Mussorgski-Spezialisten Abbado am Pult. Das Theater treibt Abbado noch immer um. Jetzt, da er Zeit habe, entdecke er am "Don Giovanni" immer Neues. Er hat ihn in Wien mit Luc Bondy und im Vorjahr in Aix-en- Provence mit Peter Brook realisiert. Am "Tristan" will er dranbleiben, "Parsifal" plant er für 2002 in Salzburg mit Peter Stein. Überhaupt interessieren ihn die großen, schwierigen, komplexen Stücke, die sich schon von der Werkgestalt keineswegs einhellig erschließen. Bezeichnenderweise reizen ihn gerade die Opern mit erheblichen Fassungsproblemen: "Boris Godunow", auch Mussorgskis "Chowantschina", bei Verdi "Macbeth", "Don Carlos" (den er sogar im kompletten französischen Original aufgenommen hat) und "Simon Boccanegra", womöglich sein Lieblingsstück, das er nach Mailand, Wien und Salzburg noch einmal in Ferrara machen möchte.

Intensität der Stille

Abbado hat immer wieder bewegende Alban-Berg-Interpretationen dirigiert, ausgerechnet die "Lulu" indes nicht. Dabei liebt er das Werk sehr, plädiert übrigens entschieden für die dreiaktige Version: Friedrich Cerha habe tatsächlich hauptsächlich ausnotiert, was Berg schon sehr weitgehend festgelegt habe. Ohne den Schluß-Akt sei das Werk nicht recht sinnvoll. Zu Deryk Cookes "Aufführungs-Version" von Mahlers "Zehnter" hat er noch keine definitive Beziehung, findet aber Simon Rattles Aufführung mit den Berlinern ganz fabelhaft. Mahlers "Lied von der Erde" liebt er sehr; die Skepsis, die man durchblicken läßt, teilt er nicht. Völligen Überschwang scheint er jedoch auch nicht aufzubringen. Wohl aber trägt er sich mit der Idee, den finalen "Abschied" sogar einmal isoliert aufzuführen. Die spontane Idee, diesen mit dem einleitenden Adagio der Zehnten zu kombinieren, findet er keineswegs abwegig. Das frühe "Klagende Lied" kennt er wenig. Da fragt er ganz offen, was man selber davon halte, findet die Anregung, sich seiner anzunehmen, immerhin erwägenswert.

Bach, den er schon als jugendlicher Organist und Pianist viel gespielt habe, bewegt ihn immer mehr: Nach Matthäuspassion und h-Moll-Messe geht es ihm nun um die immer wieder neu erregende Johannespassion. Aber auch die Brandenburgischen Konzerte, die er als Youngster schon einmal aufgenommen hat (woran er nicht gerne erinnert wird), liegen ihm am Herzen - im Sinne einer wahrhaft heutigen, eben das Historistische mit berücksichtigenden Aufführungspraxis.

Emphatisch bekennt er sich zu Furtwängler, meint aber, daß er zumindest keinen Weg zurück zu dessen Beethoven-Stil sehe. Im übrigen beruft er sich auf die neue Edition Jonathan del Mars, räumt indes ein, daß Beethovens zahlreiche Korrekturen stets neu mitbedacht werden müßten: Von einer planen Idealfassung könne man nur bedingt reden.

Abbado bestätigt, daß Debussy für ihn der größte französische Komponist sei, den er auch viel dirigiert habe. Früher habe er übrigens auch ein besonderes Faible für Prokofjew gehabt; "Die Liebe zu den drei Orangen" sei die erste Oper für ihn als Dirigenten gewesen. Schostakowitsch habe ihm früher nicht so viel bedeutet; das habe sich geändert, der Komponist wachse für ihn deutlich. An Eleganz, Witz und Lyrismen sei ihm Prokofjew zwar überlegen, doch die grimmige Ausdrucksintensität Schostakowitschs, gerade in manchen Scherzi, sei eine ganz eigene Qualität. In der Berliner Philharmonie will sich Abbado vor allem für den Filmkomponisten einsetzen. Die Musik zu "King Lear" hält er für die beste. Die Aussicht, diese live zum Film zu spielen, animiert ihn sichtlich.

Abbado verschweigt keineswegs, wie tief die gesundheitliche Krise ihn getroffen hat, wie er alle Kräfte mobilisieren mußte, wozu auch extreme Herausforderungen gehörten. Eigentlich hätten ihm die Ärzte die Japan- Tournee im November - immerhin mit dem auch für jüngere Dirigenten monströsen "Tristan" - ausreden müssen. Daß sie ihr widerstrebend doch zugestimmt haben, trug letztlich zu seiner Vitalisierung bei. Dazu gehört auch, berichtet er freimütig, daß er sogar zu einer Art neuen Sinnlichkeit gefunden habe, neu und intensiver rieche, schmecke, sehe und sogar höre. Auch solche Erfahrungen können stabilisierend wirken. Einschränken muß er sich trotzdem auf vielfältige Weise. Liebend gerne denkt er an sein Haus im Oberengadiner Fex-Tal. Nur die Winterkälte habe ihm, mager wie er sei, gar nicht gutgetan.

An Berlin mit seinen so unterschiedlichen kulturellen Anregungen hat er durchaus teilgenommen. Daß seine Neue-Musik-Initiativen, auch im Kontext von Film und Theater, nicht nur auf Gegenliebe stießen, ist schade. Auf die Frage, welches Publikum ihm denn das liebste sei, das Mailänder, Wiener, Londoner oder Berliner, zögert er, meint dann aber: Womöglich gebe es doch ein Kriterium künstlerischer Aufnahmefähigkeit - die Pause zwischen dem Ende von Mahlers Neunter und dem Einsetzen des Applauses. In Berlin sei die Zäsur deutlich länger gewesen. Ein sublim- emphatischeres Bekenntnis zur Musik-Stadt Berlin kann man sich schwerlich vorstellen.