Pubblichiamo un artivolo pubblicato nella Repubblica del 14 maggio 2003 relativo alle conseguenze della "devolution" sulla vita musicale: Grandi musicisti si oppongono ai progetti del governo italiano

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I musicisti contro la "Devolution"
La Repubblica 14 maggio 2003

Fra i firmatari Abbado e Muti: il nostro riferimento resti lo Stato

Da musicisti e direttori appello anti devolution

GIOVANNA CASADIO


ROMA - Bossi non l´aveva previsto: contro la devolution si schierano anche i musicisti italiani. Il gotha della musica classica ieri è sceso in campo e ha inviato al ministro dei Beni culturali Giuliano Urbani una petizione per dare l´alt a qualunque ipotesi di passare alle Regioni la competenza dello Stato in fatto di attività musicali.

Firmata da Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Riccardo Muti, Uto Ughi, Riccardo Chailly e Maurizio Pollini, la richiesta è chiarissima: «Riteniamo necessario che le associazioni concertistiche attraverso le quali svolgiamo parte della nostra notevole attività, mantengano un punto di riferimento centrale, visto che lo Stato è il solo ad avere fino ad ora garantito, esercizio dopo esercizio, la stabilità finanziaria che è ad esse indispensabile».

I musicisti entrano nel merito di devoluzione e federalismo; lasciano intendere che non va bene né l´ipotesi di devoluzione di Bossi né quella complementare della riforma federalista del ministro La Loggia che il consiglio dei ministri ha approvato un mese fa. La ragione della protesta sta nell´affidamento alle Regioni delle competenze e dei finanziamenti destinati alla musica che, spiegano, sarebbe causa «di un deprecabile processo di provincializzazione della cultura musicale».

La presa di posizione dei musicisti contribuisce, per usare una metafora musicale, a un «andamento molto molto mosso» della polemica politica. «No federalismo? No party, cioè no devolution». Marco Follini, il leader dell´Udc lo condisce con humour, ma il messaggio a Bossi è uno stop netto sulla devolution. Così com´è, e come viene invocata in tutti i comizi elettorali dal Senatùr, proprio non se ne parla per i centristi. Il braccio di ferro tra Lega e Udc è pronto a riprendere. Follini ricorda che «l´accordo è chiaro: mettere insieme la devolution e la riforma del Titolo V della Costituzione. A chi dice il contrario ricordo lo spot della Martini, cioè "no Martini no party", e quindi "non c´è il federalismo? non ci sarebbe nemmeno la devolution. Conviene a tutti che ci siano entrambi».

Dura è la replica del presidente dei deputati leghisti, Alessandro Cè: «Consiglierei a Follini di rientrare nel suo ruolo di leader dell´Udc e di rileggersi il programma elettorale che parla di devoluzione e che è stato sottoscritto anche dal suo partito davanti agli italiani». Il capogruppo leghista richiama ai «patti elettorali». Pronta la contro replica dei centristi che questa volta con Luca Volontè attaccano: «Non sapevamo ci fosse un nuovo leader della Lega, per il quale è carta straccia l´accordo sul federalismo sottoscritto da Bossi, Speroni e Calderoli». Polemica dopo polemica, interviene anche il maestro Roman Vlad che pur temendo una «provincializzazione» chiede un punto di equilibrio tra Regioni e Stato e non condivide la «minaccia» del federalismo. Tenta di mediare anche Gabriella Carlucci (Fi), appellandosi ai ruoli diversi tra Stato e Regioni.