Musicofili, musicomani. Anzi, abbadiani

Stress da biglietto, trasferte internazionali, amicizie. E qualche pazzia. Tutto per il maestro di Attilia Giuliani Sabato 1 dicembre 2007

L'appassionato musicomane - dire musicofilo da un certo grado di passione in poi è riduttivo - si sobbarca fatiche inenarrabili per raggiungere i suoi scopi. Se è anche un ammiratore di un determinato artista - si dovrebbe dire un "fan", ma quasi sempre questo appellativo viene respinto - allora la questione si fa ancora più seria perché mai e poi mai accetterebbe di perdere una performance del suo beniamino. Esigenza che diventa fissazione, psicologica e permanente. E che finisce per segnare inesorabilmente la vita del malcapitato, generando ansie e stress degni di una lunga e approfondita psicanalisi. Da dodici anni gestisco un'associazione musicale dedicata a Claudio Abbado, il celebre direttore d'orchestra milanese che dopo 18 anni alla Scala è approdato a Vienna e successivamente a Berlino, e ha fondato numerose orchestre nella sua lunga e luminosa carriera artistica. Le ultime nate sono l'Orchestra del Festival di Lucerna e l'Orchestra Mozart. Quest'esperienza ha finito per segnare in modo radicale la mia vita.

Tutto ebbe origine da quel fatidico 7 dicembre 1968 quando, diciottenne, feci la mia prima coda da loggionista per la serata inaugurale della Scala. Molti ricordano quella "prima" per le contestazioni della rivolta studentesca di Mario Capanna. Per me fu una folgorazione: uscii incantata da un giovane direttore sul podio, Claudio Abbado, e dal suo Don Carlo di Verdi. L'associazione, ormai piuttosto nota fra gli addetti ai lavori, si chiama Club Abbadiani Itineranti, nome volutamente leggero e un po' goliardico, la cui sigla - CAI - ricalca altrettanto volutamente quella del più blasonato Club Alpino Italiano con cui nei primi anni ci siamo gemellati iscrivendo il Maestro alla sezione di Milano. Il valoroso gruppetto di amici, una ventina, si erano già battezzati "abbadiani itineranti" ancor prima che Claudio Abbado lasciasse Milano e la Scala nel 1986. Nel 1995 decisero di fondare l'associazione, ma non avrebbero mai pensato che a loro si aggiungessero così tante persone accomunate da un'affinità elettiva per il nostro direttore d'orchestra.

In poco tempo i soci erano diventati più di 400, e provenivano da varie parti del mondo, persino dall'Australia! In questi dodici anni ho avuto di fronte agli occhi uno spaccato molto divertente di umanità affetta da una particolare passione: quella tenace e incrollabile per il "divin Claudio" (parafrasando il famoso libro di Robert Graves, Il divo Claudio, dedicato all'imperatore romano). Si tratta di una questione un po' elitaria - qualcuno direbbe "di nicchia" - ma sempre di passione si tratta e, si sa, anche se non muoviamo masse da tifoseria calcistica, le passioni fanno compiere cose straordinarie e a volte un po' pazze. Viste dall'esterno, come è successo ai membri della mia famiglia travolti a un certo punto da questo terremoto che è il CAI, molte situazioni e manifestazioni dei soci devono sembrare davvero strane. C'è chi telefona nel cuore della notte per sapere «Come sta il maestro?»; c'è chi pensa di cogliere anche soltanto osservando il modo in cui entra in sala e sale sul podio lo stato del suo umore; c'è chi vuole sapere tutto, ma proprio tutto di lui: cosa mangia, se è dimagrito o ingrassato rispetto all'ultima volta.

Certo, tutto questo ha l'aria di essere eccessivo, ma alla fine ho capito che è soltanto una dimostrazione di affetto sincero e non di mero fanatismo. È per questo che, in genere, cerco di rispondere con grazia a tutti questi interrogativi, anche se il più delle volte mi devo inventare le risposte. Qualcuno però ogni tanto esagera: ricordo la telefonata fiume di una socia d'Oltralpe particolarmente apprensiva che, nel chiedermi aggiornamenti sulla salute del maestro, non era mai soddisfatta dalle mie risposte. Mi ha tenuta impegnata in una estenuante conversazione in francese per quaranta interminabili minuti. E poi c'è lo stress da biglietto. L'appassionato musicomane ha un unico chiodo fisso: conquistare il prezioso tagliando che gli darà l'opportunità di sedere al cospetto del Maestro.

A volte la caccia parte addirittura un anno prima dell'evento. Accade per i concerti che Abbado, da quando ha lasciato la loro direzione stabile, dirige con i Berliner Philharmoniker ogni maggio. La richiesta è enorme e i criteri di distribuzione dei biglietti a disposizione diventano sempre più difficili; quasi nessuno accetta il sorteggio, la maggior parte degli aspiranti pensa di aver acquisito meriti sufficienti per guadagnarsi l'agognato diritto e la sottoscritta vive momenti di autentico incubo, nell'intento di non far torto a nessuno. L'effetto più strano è che si genera una sorta di bulimia: appena conquistato il biglietto per un dato evento, l'appassionato va subito con la mente a quello successivo e la caccia ricomincia. Con il suo contorno di aspettative, speranze e ansie.

Alla fine è una vitaccia, tanto che qualcuno sente il bisogno di concedersi una vacanza dopo un ciclo intenso di concerti. Per non parlare della fame da replica, ancora più diffusa: al vero abbadiano non basta assistere una sola volta a un determinato concerto o a un'opera. In genere, tenta di assicurarsi tutte le repliche e, potendo, anche la prova generale (in qualche caso estremo pretende di seguire tutte le prove). Questo vale anche per le tournée: qualcuno si sposta da una città all'altra seguendo l'orchestra in tutte le tappe previste. Lo sport preferito diventa discutere su quale sia la serata migliore, per non parlare della possibilità di vantarsi di avere salutato il maestro in camerino alla fine dell'esecuzione (cosa che ultimamente è diventata più rara e difficile).

Essere itineranti è uno dei connotati più forti del club: sommando le distanze coperte da ognuno abbiamo percorso milioni di chilometri. Dall'Europa al Giappone, dagli Stati Uniti all'America Latina. Viaggiare è divertente e soprattutto ogni spostamento, anche il più lontano e costoso, viene giustificato dalla passione. Perché: «Come si fa a non esserci?». E poi, guarda caso, quella volta in cui non ci sei, gli altri ti raccontano immancabilmente che ti sei perso l'esecuzione più memorabile, perfetta, assoluta mai sentita! I viaggi sono anche un modo per conoscersi meglio e intrecciare relazioni durature: moltissimi di noi sono diventati amici e tra i soci si sono stabiliti legami consolidati che vanno al di là degli incontri nel nome del Maestro. Per quanto tutta questa storia non sia priva di eccessi e presenti un lato divertente e ironico, in definitiva è piena di gioia e vere amicizie nate sotto il segno di un grande artista che, oltre a regalare magnifica musica, è capace di raccogliere attorno a sé persone di grande sensibilità e cultura. Che si sentono accomunate nel suo nome.