L’insostenibile leggerezza del suono
Guy Cherqui, 2011/08/16 Abbado Lucerne Festival Lucerne Festival Orchestra
Il programma di questo concerto (Brahms, concerto per pianoforte n°1 in
re minore op.15; Wagner, preludio di Lohengrin; e infine Mahler, Adagio
della Sinfonia n°10) non sembrava sulle prime attirare le masse dei
musicomani . Infatti l’auditorio del KKL non era esaurito per il Gala di
apertura, nonché per i due concerti successivi con lo stesso programma
(rimaneva in vendita qualche biglietto di categoria superiore). Certo,
la quasi parità Euro/Franco Svizzero poteva scoraggiare gli appassionati
europei, meno numerosi quest’anno sulle sponde del lago di Lucerna.
Anche se il Lucerne Festival ha un pubblico svizzero per l’ 85%, la
presenza di italiani negli anni passati (a causa di Abbado) è sempre
stata forte; ma quest’anno era più ridotta, anche fra gli abbadiani
itineranti, che verranno più numerosi per il secondo programma, più
attraente a causa della Sinfonia n°5 di Bruckner. E’ la particolare
relazione di quest’orchestra con il mondo sinfonico tardo ottocentesco
che attira il pubblico; e infatti, i due concerti dei 19 e 20 Agosto
sono esauriti.
Però, una volta di più, la sorpresa è totale, e
abbiamo scoperto che un programma apparentemente senza principio di
coerenza ha nella realtà una “tenebrosa e profonda unità”. Tenebrosa
perché il tema di quest’edizione 2011 - “La Notte”- ha senza dubbio
influenzato molto la linea interpretativa di Claudio Abbado. Esso
infatti fa di questa serata una specie di inno notturno, confrontando
tre opere di tre compositori scritte in tre momenti diversi della loro
esistenza: un Brahms di 25 anni che compone un concerto che presto
diventerà uno dei favoriti del pubblico, un pilastro delle sale da
concerto, un Wagner più maturo, che inizia con Lohengrin (ultimato verso
il 1848, creato a Weimar nel 1850) il suo percorso verso opere più
innovative, e un Mahler in fin di vita (a 50 anni!) che compone la sua
sinfonia n°10, senza poter orchestrare altro che il primo tempo, il
famoso Adagio. Tre momenti notturni, ma anche tre momenti di scossa:
Brahms ha appena perso il suo amico Schumann, e intrattiene con Clara
una relazione affettiva la cui natura non è chiara agli storici. Wagner
ha appena lasciato Dresda per motivi politici e comincia il suo lungo
esilio e Mahler ha appena scoperto la relazione della sua sposa Alma con
l’architetto Walter Gropius. Tre opere che offrono anche novità: un
concerto che propone una nuova relazione tra solista e orchestra, un
preludio (Lohengrin) primo passo verso l’opera dell’avvenire, e una
sinfonia che inizia con un adagio lento e solenne, come un’addio alla
vita e al mondo, che segue e completa l’adagio che chiude con un lungo
silenzio la nona Sinfonia. Di queste tre opere che sembrano lontane una
dall’altra, Abbado suggerisce un tessuto di legami di significato (ad
esempio, concatena quasi senza rottura il Lohengrin e l’Adagio, l’opera
della domanda senza risposta e quella della risposta ad una domanda che
non si ha voglia di fare). Ne risulta una serata stimolante, qualche
volta anche sconvolgente, ricca di emozioni.
Il concerto n°1 di
Brahms è molto conosciuto. Almeno, si credeva: l’inizio con un rullo dei
timpani che scoppia, quel primo tempo maestoso, drammatico, con
quest’inizio quasi discreto del solista la cui parte è come ingoiata
dall’orchestra dominante. Abbado durante tutta la serata e per le tre
opere, ha scelto un tempo volontariamente rallentato, anzi, di una
lentezza estrema, dettagliando ogni tratto e Radu Lupu (Hélène Grimaud
avrebbe dovuto essere la solista ma, a causa di insanabili divergenze
artistiche con Abbado, è stata sostituita da Radu Lupu, e molti
appassionati hanno accolto la notizia con un certo piacere...) sfiora
appena la tastiera, producendo un suono di un’impossibile delicatezza,
che crea paradossalmente una tensione molto palpabile, in particolare
nel dialogo con strumenti solisti dell’orchestra (i due primi violini, i
timpani – Raymond Curfs ancora una volta è straordinario-). Lo
strumento solista è (quasi) come uno strumento tra gli altri in un
insieme dove l’orchestra è protagonista. Ne risulta un’ambiente dove la
maestosità cede al mistero, dove il suono diventa sempre più leggero,
impercettibile e però presente, in una sala la cui acustica è molto
chiara: il secondo tempo del concerto è puro miracolo, miracolo di quel
che Abbado chiama “Zusammenmusizieren”, fare musica insieme, dove tutti
ascoltano tutti come nella musica da camera. Il bis di Radu Lupu
(Intermezzo n.118, 2), richiesto dal pubblico, è impegnato nello stesso
ambiente notturno, delicato, leggero, sconvolgente.
Il preludio del
Lohengrin sorprende per la lentezza, una lentezza che produce una
tensione molto forte che corrisponde perfettamente a quella che ci si
aspetta e che verrà creata nell’Adagio di Mahler successivo. La
chiarezza di ogni livello, il fil di suono che sembra emergere dal nulla
e che a poco a poco invade per strati il nostro orecchio: nasce da
questi 8/9 minuti un’emozione evidente: il pubblico rimane in silenzio
ed esita ad applaudire. Abbado inizia immediatamente l’Adagio di Mahler:
sottolineando il legame tra le due opere. Adagio completamente diverso
da quello di Berlino. Altro pianeta. Impegno dei musicisti, qualità e
purezza incredibili del suono, padronanza tecnica. Gli ottoni, i legni
sono di una dolcezza, di una soavità inaudita (Sabine Meyer, Lucas
Macias Navarro, Jacques Zoon, sempre loro...), ma questa volta colpisce
il suono del gruppo delle viole (sotto l’impulso di Wolfram Christ) e
dei celli. Ne emerge l’effetto di un suono da organo. Fin dall’inizio,
grazie al tempo, dal dettaglio di un suono scolpito, da una specie di
intimità dolorosa che cancella ogni forma di solennità, si era capito
che Abbado stava esplorando altri sentieri, che quest’orchestra nata per
Mahler, ancora stava per cambiare qualcosa nel nostro modo di percepire
la musica.
E così è stato.
La serata ci ha preso in contropiede:
si aspettava qualcosa di bello, e abbiamo avuto qualcosa di nuovo, di
sorprendente, che una volta di più ci apre orizzonti nuovi, intreccia
rapporti inauditi, inaspettati. Abbado ci meraviglia perché ci insegna
sempre qualcosa sulla musica, non si esce mai indenni dai suoi concerti.
Adesso aspetto con impazienza la seconda serata del 13 agosto.