Accademia Filarmonica e Fondazione Arena. Il grande direttore per la prima volta a Verona ha guidato l’orchestra Mozart nell’integrale di un celebre capolavoro del Barocco Abbado, la “verità” di Bach I Concerti Brandeburghesi esaltati nella loro ricchezza coloristica.
Dopo i decenni del radicalismo, la dottrina della prassi esecutiva per l'esecuzione della musica barocca (con l'utilizzo di strumenti d'epoca e tutto un complesso approccio interpretativo secondo i canoni della filologia) vive in questo periodo una fase nuova di felice maturità, senza più fondamentalismi. Sono diffuse, oggi, le esecuzioni che vengono definite "filologicamente avvertite": lo scopo rimane sempre quello di restituire al meglio il gusto e lo stile della musica dei secoli lontani, ma ci sono meno rigidità sui mezzi musicali e teorici da adottare per arrivarci. Conta il risultato, che deriva da sapienza tecnica e sensibilità interpretativa.

Ieri sera il pubblico che affollava il teatro Filarmonico ha vissuto un evento in cui questa rinnovata "dottrina" è stata portata a un livello di straordinaria consapevolezza ed efficacia. I "Concerti Brandenburghesi" nell'interpretazione di Claudio Abbado alla guida dell'orchestra Mozart (era il suo debutto veronese, lo ha reso possibile la felice sinergia fra Accademia Filarmonica e Fondazione Arena) hanno dimostrato che si può suonare Bach senza strumenti d'epoca andando ugualmente al cuore del sommo maestro barocco, regalando due ore di emozione purissima, di intelligenza interpretativa fatta suono.

I sei celebri pezzi " avec plusieurs instruments" che Bach dedicò al Margravio del Brandenburgo nel 1721, dopo due anni trascorsi a mettere a punto meticolosamente la multiforme raccolta, rappresentano il punto in cui la civiltà del Concerto, sia "grosso" che solistico, confluisce nella tradizione delle Suite di danza e si misura con lo spirito cameristico. Sono un universo composito, cangiante, che ha nella ricchezza della dimensione timbrica il suo elemento caratterizzante e nella complessità dei rapporti fra gli strumenti (solisti, di concertino, di ripieno) il nucleo di un linguaggio sofisticato eppure favolosamente comunicativo, ricco di melodia ma capace di articolare tutta la dottrina del contrappunto.
Tutto questo emerge con palmare evidenza nella rivisitazione di Abbado: c'è l'ecletticità dello stile e c'è la sua eleganza, che si distende nel fraseggio con una sofisticata gamma dinamica; c'è l'esuberanza del colore, esaltata dalla magistrale nitidezza dei solisti, e c'è una scelta di tempi che sbalza a tutto tondo l'originalità dell'invenzione melodica, e mostra l'eclettismo di un compositore sensibile in egual misura al gusto italiano e a quello francese, ma capace di superarli entrambi e di forgiare uno stile di assoluta novità.

Ieratico ma cordiale, pronto al sorriso, prodigo egli stesso di applausi al termine di ogni esecuzione, Abbado "plasma" il suono con le sue grandi mani, legandolo indissolubilmente alla lucidità di un pensiero profondo, avvincente, e sviluppandolo in multiforme logica espressiva, in contrasti profondi, in sottigliezze rivelatrici.

Il risultato sono sei "Brandenburghesi" portati all'assoluto, nei quali al di là del rigore stilistico c'è il senso emozionante di un’autentica verità musicale.

Naturalmente, la forza di questa interpretazione è vissuta anche della straordinaria qualità strumentale sciorinata dall'orchestra Mozart, un manipolo di giovani di grande talento affiancati da una squadra di solisti di altissimo livello.
Giuliano Carmignola ha dominato le impervie parti del violino solista con agilità ed eleganza musicalissime, trovando sfumature coloristiche di fascinosa efficacia; Ottavio Dantone ha proposta della celeberrima cadenza per il clavicembalo del Quinto Concerto un'interpretazione semplicemente sbalorditiva per fluidità, precisione, intensità; gli oboisti Lucas Macias Navarro, Victor Aviat e Guido Gualandi, insieme ai cornisti Alessio Allegrini e Jonathan Williams, hanno reso plasticamente i fulgori timbrici del Primo Concerto. Raffinati ed eleganti i flautisti: Jacques Zoorn al traversiere (Quinto Concerto), Michala Petri e Nikolaj Tarasov ai flauti dolci (Quarto Concerto).

Misuratissimi tutti gli archi dei vari "ripieni", capaci di realizzare con immediatezza l'idea di Abbado, così come le viole da braccio e da gamba del Sesto Concerto, l'unico per il quale - data la sua dimensione assolutamente cameristica - il direttore milanese non si è presentato in scena. Durante la serata e alla fine, tripudio di entusiastici applausi. Come bis, l’ultimo movimento del Secondo Concerto ad organici rinforzati.

di Cesare Galla