Abbado il cervello Argerich la passione



23 aprile 2011 — pagina 42 sezione: SPETTACOLI

IL CONCERTO che Claudio Abbado ha voluto dedicare al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, festeggiatissimo dal pubblico di Santa Cecilia, ultima tappa della breve tournée italiana del maestro, resterà negli annali di Santa Cecilia per più motivi. Primo perché è stato un bel concerto. Poi perché Martha Argerich è sempre una gran pianista (Concerto in Sol di Ravel). Poi perché le due orchestre, la Mahler Chamber Orchestra e la Mozart sono due belle orchestre. Infine perché il programma è stato un approccio a un repertorio che Abbado non frequenta spesso, (Debussy e Ravel), o almeno non in maniera tale da caratterizzare un programma. Che si trattasse di un approccioe non di una cosa riproposta in molte occasioni è data da un fatto tutto sommato marginale. In tanti anni di frequentazioni di concerti di Abbado una sola volta l' abbiamo visto seguire la partitura al leggio, ma si trattava del Prometeo di Nono (e non sappiamo come si potesse fare altrimenti). Qui invece, proprio nel pezzo meno impegnativo della serata, Pavane pour une infante défunte di Ravel, Abbado leggeva: segno che non si fidava della sua memoria né della consuetudine a eseguirla né della confidenza con un autore che non ha mai visitato abbastanza. E che non avesse abbastanza confidenza basterebbe ricordare la lentezza del tempo di esecuzione, più marcia funebre che non una "pavane". Che poi è stata, come gli altri pezzi, un capolavoro di analisi e di immaginazione sonora: che il corno solista con un filo di voce sintetizza splendidamente. Ma è inutile cercare nel virtuosismo degli archi ridotti a una bava di suono o nei tumulti sempre rotondi e confortevoli dei passi più agitati (pensiamo al finale di La Mer) esempi della formidabile capacità analitica che Abbado a volte sostituisce all' immersione immediata in un clima narrativo di cui non possiede con sicurezza la chiave. È sempre preferibile la ricerca alla routine. Chi invece si butta a capofitto sul fatto e mille volte rifatto è Martha Argerich, ma con che leggerezza, che disinvoltura e che spavalderia nel gioco difficile del Concerto raveliano. Anche con una certa indulgenza ai passaggi para-jazzistici che non ricordavamo in precedenti esecuzioni. E si è trattato per noi di un Concerto quasi nuovo, tanta era la cura dei particolari orchestrali, semplicemente emozionanti. All' applauso del pubblico Argerich ha risposto con un bis schumanniano (dai Phantasiestücke op.12, affrontato con una nonchalance da giovane belva. Il concerto si apriva con i Trois Nocturnes di Debussy, e a questo partecipava con grande impegno l' Estonian Philharmonic Chamber Choir con quella filigrana di nenia o gemito all' ottava che riesce ancora a sollevare in chi ascolta turbamento o angoscia ( Sirènes, ultimo dei tre pannelli). In questa pagina crediamo che Debussy abbia toccato il massimo del suo cammino verso la modernità, tanta è la materia sganciata dalla tradizione e tale l' accumulo di materiali eterogenei, melodici, ritmici e armonici, appena richiamato all' ordine da quel gemito del corno inglese che ritorna tante volte. Esplosione finale del pubblico, con ragione. - MICHELANGELO ZURLETTI