Abbado & Napolitano per il paese che vuole cambiare.


Standing ovation per il Capo dello Stato ed il direttore al concerto con Martha Argerich e le Orchestre Mozart e Mahler Chamber


La musica, e particolarmente quella classica, in questa stagione ha assunto un significato civile nella vita del paese come è difficile riscontrare in anni recenti: è il caso del concerto che ha tenuto Claudio Abbado giovedì sera all’Auditorium di Roma, con la partecipazione della pianista Martha Argerich e le Orchestre Mozart e Mahler Chamber riunite. Già dall’arrivo di Giorgio Napolitano, accompagnato da Bruno Cagli soprintendente di Santa Cecilia che ospitava la serata, gli oltre 2700 spettatori che riempivano la sala si sono alzati compatti dedicando un lungo applauso al Presidente della Repubblica. Una standing ovation di circa 5 minuti forse perfino imbarazzante per l’interessato, incline a un comportamento britannico come ha voluto definirlo su queste pagine Vittorio Emiliani. Siamo dunque ben oltre l’applauso «istituzionale» e in un momento di scontro al calor bianco tra il Quirinale e palazzo Chigi la cosa acquista un significato preciso, ribadito da altre eclatanti manifestazioni di affetto del pubblico e degli interpreti della serata – Abbado stesso ha voluto dedicare il concerto a Napolitano.Ulteriori commenti scadrebbero nella retorica: in questi mesi però non è la prima volta che la musica classica diventa il catalizzatore di manifestazioni dove – sconcerto e meraviglia – ci si unisce. Quello che con termine assai vago e impreciso definiamo «il paese», si riconosce insomma attraverso una tradizione musicale in cui l’Italia ha avuto un glorioso passato e, purtroppo, un modesto presente – non solo per i tagli economici alle nostre orchestre, istituzioni musicali e anche ai conservatori e alle scuole di musica, ma soprattutto per la mancanza di una politica culturale complessiva –, tradizione che aspetta di essere ricompresa e interpretata. D’altra parte la stessa musica è lì a dimostrarlo: riunendo due orchestre diverse, ma entrambe fondate da lui e con cui ha particolare affiatamento, Abbado ribadisce un particolare modo di fare musica insieme, fatto di piacere e partecipazione. Un modello insomma antitetico a quello del direttore d’orchestra dittatore tanto da trovare concreta realizzazione nella serata. Riunire due compagini, infatti, non è operazione scontata, ma la fusione della Mahler Chamber e della Mozart è invece perfetta e funzionale all’impaginato tutto francese presentato da Abbado. Facevano da cornice Nocturnes e La merdi Claude Debussy, brani dove il suono acquista una valenza strutturale. Bisognava ascoltare con quale delicatezza i colori di questa musica erano restituiti, l’enorme distanza tra forte, fortissimo, sempre controllatissimi, e il piano di luminosa opalescenza, mentre il fraseggio morbido talvolta giungeva perfino all’abbandono. Un risultato altamente seduttivo, in cui Abbado ha trovato mirabile sintesi tra il Debussy pittorico, e quindi anche po’ pittoresco ed edonistico, e quello dove la continua trascolorazione dell’orchestra ha una valenza simbolista. Al centro del programma due brani di Maurice Ravel, tra cui il Concerto in sol dove Argerich si è mostrata ancora una volta ammaliziata interprete nonché sagace mattatrice: sotto le sue mani il pianoforte acquista tinte anticonformiste, perfino bizzarre e una aggressività espressionista nel movimento finale, eseguito a ritmi da capogiro, perfetta l’intesa con il direttore, e il pubblico la saluta con una vera ovazione di oltre 15 minuti –un bis, Robert Schumann, Fantasiestücke n. 7 eseguito con circense allegria. Abbado soprattutto in questo caso,ma in un certo senso anche nel seguente Pavane pour une infante défunte, grazie alla qualità del suono più materica e al fraseggio più deciso, propone un Ravel di grande modernità, e l’affiancamento con Debussy acquista un fascino particolare: quante volte si ascoltano nei concerti le musiche di questi due compositori eseguite allo stesso modo,quasi fossero gemelli identici? Proprio l’aver colto la peculiare dimensione spirituale delle pagine eseguite, in un programma in sé non spettacolare o popolare, è stato forse un ulteriore motivo per le straordinarie ovazioni che il pubblico ha riservato ad Abbado al termine di una straordinaria serata.
Luca del Fra