Pubblichiamo l'intervista a Ermanno Olmi uscita nel Corriere della sera il 25 febbraio 2001

Riportarsi anche al ritratto scritto nel giornale austriaco Der Standard

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Milano e Abbado

Un'intervista a Ermanno Olmi

Il Corriere della sera, 25 febbraio 2001

Olmi: lasciamogli la porta aperta e prima o poi arriverà

"Siamo in tanti ad avere nostalgia qui a Milano di questo fratello lontano. Ma sono sicuro che il primo ad avere nostalgia di Milano è proprio lui, Claudio",
assicura Ermanno Olmi, regista severo e intenso, che con Abbado ha stabilito stretti legami d'amicizia rinsaldati dalla messa in scena, nel '96 al Festival di Pasqua di Salisburgo, dell'Otello di Verdi, poi diretto dal Maestro anche a Torino.
"Claudio è milanese, in questa città è nato e cresciuto - ricorda Olmi - Allontanarsi deve essergli costato molto. Ma fu necessario, a quei tempi Milano era una città indegna dei suoi cittadini. Di quelli migliori, almeno.
" E il cittadino Abbado era certo fra loro. Davanti a certe situazioni il solo modo per far sentire la propria distanza è andarsene. Non fu il figlio ad abbandonare il padre, ma il padre a lasciarlo andare, a non capirne la grandezza".

Un gesto che anche lei condivise.
"Sì, pressappoco nello stesso periodo me ne andai anch'io. Prima però girai un piccolo documentario su Milano. Un ultimo atto d'amore per una città in cui non mi riconoscevo più".

Siete amici, entrambi legatissimi a Milano, vi siete mai confidati questa nostalgia?
"Una volta, proprio a Salisburgo. "Quando non vedrò più tanta spazzatura per le vie di Milano capirò che è tornata ad essere una città civile", mi disse Claudio. Una spazzatura naturalmente metaforica".

Una ferita sanabile?
"Chissà. Al di là del suo aspetto compassato, Claudio è uomo passionale. Le ferite d'amore per lui sono difficili da rimarginare. Perché succeda bisogna che si ricompongano i legami con l'oggetto d'amore".

Qual è il modo migliore perché questo accada?
"So quello che non si deve fare: Guai chiedergli di tornare a trombe spiegate. Non è il suo stile. Lasciamogli la porta aperta e un lumicino acceso. Vedrete: prima o poi, ritornerà".

Giuseppina Manin