Gli abbadiani, come lo ricorda il nostro testo di presentazione, sono stati prima dei loggionisti: lassù si sono cimentati i gusti, le amicizie, l'ammirazione per Claudio Abbado, lassù si è fatta la nostra educazione musicale e scenica, lassù abbiamo fischiato (raramente) e urlato il nostro entusiasmo (spesso): come abbadiani non possiamo accettare la chiusura del Loggione del Teatro alla Scala che è una parte della nostra storia e della nostra vita. Abbiamo quindi chiesto al nostro Wanderer di fermarsi per la prima volta a Milano, per una cronaca speciale che invita alla riflessione dopo questa decisione sorprendente.

Vedere anche:

- L'editoriale di Attilia Giuliani
- Il nostro
dossier

La cronaca del Wanderer
Speciale loggione

Il Teatro alla Scala chiude il Loggione...


Lo spirito perso?

Diceva il poeta francese Paul Valery : Ci sono dei luoghi dove soffia lo spirito.
Quando, per la prima volta approdai alla Scala, fui colpito dall'ambiente tutto particolare di questo Teatro, e soprattutto dal suo loggione, con il suo pubblico foltissimo, rumoroso, che aspettava con ansia lo spettacolo, che discuteva accanitamente durante gli intervalli, e che alla fine si esprimeva rumorosamente, qualche volta con eccesso di entusiasmo o di severità, ma sempre dando un segno di cultura, impegno, interesse. Un pubblico vero insomma, che aveva il suo gusto ben definito, che sapeva anche giustificarlo, e che aveva una fortissima consapevolezza del luogo dove si trovava. Mi tornarono allora in mente le parole di Paolo Grassi: "La Scala è come una quercia, ma con le sue radici in alto". D'ora in poi, diventò loggionista, perché solo là avevo sentito quell'interesse genuino, quella conoscenza profonda del repertorio, quella fratellanza tra gli spettatori, quel sentimento di appartenenza ad una comunità. Si ! Lassù soffiava lo spirito.
Le parole di Grassi vanno ben aldilà di un saluto al loggione: testimoniano della necessità per ogni Teatro di avere un colore, un carattere, che è la somma della storia, della geografia, della cultura del popolo, della lingua, e del repertorio musicale. E non è come si crederebbe un privilegio dei vecchi Teatri o delle vecchie Sale da Concerto piene di polvere e di Storia: anche la Philharmonie di Berlino ha il suo carattere, il suo pubblico, le sue abitudini che le danno un colore particolare.
Ma nel caso del Teatro alla Scala, si coniugano non solo il mito dei grandi musicisti e cantanti, e il mito letterario (ad esempio stendhaliano), ma anche il mito Nazionale italiano, simbolo della ricostruzione del dopoguerra, il Teatro alla Scala è in qualche modo, Teatro dell'unità Nazionale. Il loggione scaligero, autentico luogo di memoria, partecipa di tutto ciò.
Chiudere il loggione significa volere cancellare la memoria del Teatro simbolo d'Italia. Chiuderlo in questa maniera, di sfuggita, fuori stagione, in fine agosto mentre le fabbriche sono appena aperte, mentre le vacanze vivono le loro ultimi momenti, mentre tutti pensano al rientro, testimonia certo della vigliaccheria e della mancanza di coraggio di chi prende questo tipo di provvedimento, ma testimonia anche e soprattutto dell'assoluta mancanza di sensibilità storica, intellettuale, artistica da parte di chi gestisce il Teatro.
Ci sono dei problemi di sicurezza che toccano un luogo così sensibile come il Loggione? Che si proponga soluzioni alternative, i Teatri del Mondo hanno tutti le loro soluzioni per i posti che tutti offrono a basso prezzo con acquisto all'ultimo momento: si poteva dunque almeno pensare a banalizzare l'ultima fila di platea o di galleria per riservarla a questa categoria di prezzi, oppure le ultime file dei Palchi laterali (dove è noto che alla Scala si vede ben poco) come a Parigi, trasformare il corridoio centrale d'accesso alla Platea in una sorta di loggione come a Vienna, utilizzare le scale come a Bayreuth, sopprimere una fila di Galleria trasformandola in posti in piedi attrezzati come a Monaco di Baviera. Da parte del Teatro avrebbe dimostrato una forza propositiva, un'intelligenza della situazione, un colpo di pubblicità anche notevole. Ma di intelligenza nel modo di procedere in tal caso, come in tanti altri non c'è: il Loggione dà fastidio; dà fastidio perché, facendo ore e ore di coda in condizioni difficili si è conquistato il diritto di far valere rumorosamente il suo giudizio, qualche volta negativo, ma anche spesso positivo verso lo spettacolo: tutti i grandi sono stati fischiati ! E da artisti veri, sanno che il pubblico ha il diritto di dimostrare il suo apprezzamento, positivo o no, e accolgono gli applausi con piacere ed i fischi con fatalismo. Chiudere il loggione è stato qualche anno fa un fantasma espresso chiaramente dalla direzione in occasione della ormai famosa Prima del Don Carlo, spettacolo di grande mediocrità che per lo meno non meritava applausi. Come se chiudere il loggione avesse una qualunque relazione con l'accoglienza positiva o no da parte del pubblico. Invece siamo davanti alla più netta dimostrazione di disprezzo verso un pubblico che il Teatro alla Scala non vuole più, quello più genuino e autentico.
Il Teatro alla Scala si vuole infatti ormai più un prodotto che un luogo di cultura: il marketing, il management, vanno anche li di moda: il marketing odia questo tipo di pubblico poco docile, poco maneggevole.Come nelle trasmissioni televisive dove si applaude a comando, dove si ricerca il consenso a tutti costi per soddisfare tutti a poco prezzo qualitativo, si preferisce un pubblico prefabbricato e spesso poco intenditore, di passaggio, soddisfatto di essere una volta venuto alla Scala. A questo pubblico il prodotto piace perché si identifica con uno certo stile di vita, con la ricchezza, la mondanità, la superficialità; questo pubblico vive ogni sera la sua piccola prima scaligera personale: non deve essere disturbato con i fischi, o con gli urli del vulgum pecus del Teatro .
Eppure non si gestisce un Teatro come una fabbrica di saponette oppure come uno spettacolo televisivo, perché un Teatro è un corpo vivente dietro le quinte come davanti, e chiudere il loggione significa ammazzare un pezzo di questo corpo, cioè amazzare il cuore vivo del Teatro. Dimostra questa decisione incomprensibile non solo poca intelligenza ma anche grande ignoranza, poco senso delle opportunità (alle soglie dell'anno Verdiano - a meno che sia stato fatto apposta per questo motivo?), e soprattutto assenza totale d'amore per il Teatro da parte di quelli che lo curano, mentre l'amore vero -dimostrato dalla loro presenza quotidiana agli spettacoli- è dalla parte di quelli che urlano e fischiano.
Se il motivo vero fosse la sicurezza, il Teatro avrebbe in un modo o l'altro cercato a parare, e avrebbe pubblicizzato il problema e proposto delle soluzioni. Il modo dittatoriale in cui è stata comunicata la decisione dimostra solo che il motivo è da cercare altrove: il motivo è la paura del pubblico, da parte di quelli che lo devono servire. Bel esempio di spirito civico ! Hanno un bel dire che i modelli seguiti nel Teatro alla Scala sono Paolo Grassi e Arturo Toscanini: i due grandi riformatori del Teatro, i due che hanno cercato ad aprirlo a tutti i pubblici, in particolare a quelli più popolari. Chiudere il loggione significa chiudere a questa parte del pubblico che poteva, a costo della sua propria dedizione, accedere al Teatro all'ultimo momento. Perché il problema non è quello del posto seduto o del posto in piedi: il problema è l'accessibilità del Teatro agli appassionati, negandoloro la possibilità di soddisfare a poco prezzo la loro passione, ma anche a tutti quelli che vogliono a poco prezzo ma con grande gioia godere di una serata alla Scala. Puntare il dito su quella fetta di pubblico è semplicemente pietoso.
Al contrario,impedendo l'accesso all'ultimo minuto, il Teatro offre all'armata dei Bagarini una vera pioggia d'oro, bagarini che da quando i sistemi elettronici si sono sostituiti al vecchio e tradizionale accesso alla biglietteria, si sono moltiplicati come il pane di Cristo, sotto gli occhi di una direzione a dir poco tolerante.
Chiudendo l'accesso al pubblico più popolare (giovani, studenti, anziani) ma anche spesso (non sempre) più preparato, si dimostra non solo di preferire il pubblico mondano a quello popolare, ma più profondamente di riproporre il Teatro come Teatro di Corte e non più luogo aperto a tutti: la corte essendo oggi l'armata di sponsor, banche, società che comprano palchi (senza sempre occuparli) come i palchettisti di una volta. Siamo tornati grazie a questa politica ottusa e incolta, ai tempi pre-toscaniani, bel risultato !


Il Teatro alla Scala, sedicente Fondazione di Diritto Privato, è ancora invece largamente finanziato da denaro pubblico o semi pubblico, cioè dal nostro denaro, cioè dai soldi degli spettatori. La direzione riceve un incarico che è in realtà una delega: sarebbe bene che se ne ricordi e che non si comportasse come il Teatro fosse una sua proprietà. La direzione è depositaria del presente, ma anche del passato e delle tradizioni del Teatro. E nel presente, sarebbe opportuno riflettere, non solo al marketing del nome Scala e a prodotti derivati per turisti, ma anche al ruolo sociale, civico, intellettuale e culturale di un Teatro come il Teatro alla Scala: è questo che gli dà anima , è questo che fa il suo Nome, è questo anche che permette dopo (ma solo dopo) di vendere prodotti derivati. Il Loggione scaligero fa parte di quella storia, di questo nome "Scala" di cui si parla tanto. Toglierlo significa trasformare il Teatro alla Scala in un qualsiasi Teatro d'opera privo di carattere e rinchiuso nelle sue false certezze.

Lo spirito che soffiava una volta nella bella Sala del Piermarini, oggi sembra non soffiare più. Forse c'è tempo ancora per impedire che Animus e Anima se ne vadano definitivamente da questo luogo a noi tanto caro.