Pierre Boulez, la musica è finita

Il profeta contemporaneo

Auguri a tempo di rap e applausi commossi





Il profeta
contemporaneo

-----------------------------------------------
COMPOSITORE e direttore d' orchestra, intellettuale combattivo, impegnato su fronti politici e sociali, gran profeta del contemporaneo, Pierre Boulez è uno dei massimi capofila della musica del '900. Allievo di Messiaen e Leibowitz, che gli insegnò la dodecafonia, da giovane studiò matematica e lavorò in teatro come direttore delle musiche di scena per la compagnia Renaud-Barrault. Dal '55 tenne corsi a Darmstadt e a Basilea e nel '54 fondò a Parigi i Concerti del Domaine Musical per la diffusione della musica contemporanea. E' stato anche direttore stabile dell'Orchestra della BBC a Londra e della Filarmonica di New York. Esemplari le sue letture degli autori del primo '900 e storica la sua Tetralogia a Bayreuth, nel '76, con regia di Chéreau. Alla fine degli anni '70 ha promosso la nascita di due istituzioni, l'Ircam e l'Ensemble Intercontemporain, concretizzando le sue idee in materia di creazione e diffusione della nuova musica. Oggi direttore ospite principale della Chicago Symphony, dirige spesso anche a Londra e a Vienna. Compositore arduo e radicale, con un catalogo di una trentina di titoli, ha sempre anche svolto attività di saggista e analista della musica, diventando una sorta di coscienza critica dell' avanguardia musicale. Famose le sue uscite polemiche sulla necessità di distruggere i teatri d'opera.





 Auguri a tempo di rap
e applausi commossi

-
PARIGI - Auguri a tempo di rap per Pierre Boulez, offerti dai musicisti del suo Ensemble Intercontemporain, in un fuori programma inaspettato per il puro santone delle avanguardie, per l'occasione giocondo e ridente. E' accaduto alla festa che Parigi gli ha regalato la sera prima del suo settantacinquesimo compleanno (è nato il 26 marzo '25): anniversario che lo coglie in attività frenetica, con 75 concerti già programmati nel 2000.
La celebrazione parte dalla Cité de la Musique di Parigi, dove Boulez ha appena diretto per due sere uno tra i suoi pezzi più importanti, Pli selon Pli, per soprano e orchestra, su poemi di Mallarmé. Entusiasmo al debutto, con candeline accese e cori di Bon Anniversaire dalla sala, e nuovi applausi commossi al nostro eroe, vitalissimo e ricco di humour, alla festa dopo-concerto voluta dalla Deutsche Grammophon, che annuncia numerose incisioni future (l'Ottava di Bruckner con i Wiener, Varèse e BartÀok con la Chicago Symphony, molto Mahler ancora con i Wiener e titoli dello stesso Boulez). Ospiti anche Lionel Jospin, Jack Lang, Madame Pompidou, Gérard Mortier, la vedova di Karajan e Krystian Zimerman. A fine festa il rap scandisce con furore il titolo del pezzo del concerto: Pli selon Pli. Dopo Parigi, l'Ensemble col suo maestro suona a Londra (ieri), Colonia (29 marzo) e Napoli (San Carlo, 5 e 6 aprile).


Altri ritratti:
Piero Farulli
Romano Gandolfi
Euro2000
Andrea Concetti
 Bon Anniversaire Pierre!
Pubblichiamo gli articoli di Repubblica (27 marzo 2000) dedicati a Pierre Boulez in occasione del 75o compleanno

Consultare anche, in francese, gli articoli usciti su
Le Monde, cliccando sul logo

 Pierre Boulez
"La musica è finita"

Il compositore e direttore d'orchestra compie 75 anni. E lancia un allarme: "Oggi quest'arte è in crisi, non c'è più coraggio"

dal nostro inviato LEONETTA BENTIVOGLIO

--------------------------------------------------------------------------------
PARIGI - Maestro Boulez, come vede la musica del nostro tempo?
"In uno stato di regressione, pigrizia e mancanza di coraggio. Per paura del presente ci si rifugia in brutte copie del passato, ovvero il cosiddetto post-modernismo, esecrabile. Negli anni '50, dopo la guerra, quando non c'era più niente da perdere, la guerra aveva già azzerato tutto, si era più intrepidi, non si temevano sperimentazioni radicali. Ora si è ossessionati dalla conservazione. Nelle arti, e nella società in generale, si teme la perdita d'identità: in quella gran miscela che è diventato il mondo si ha come il terrore di annullarsi dentro una massa ibrida e confusa, senza più profili e caratteri. Perciò ci si difende tuffandosi nella propria cultura e nel passato. Col risultato di due tendenze: la mania dell' autenticità e della filologia, vedi il revival di Bach e del barocco mitizzato come epoca d'oro; e il mito della caricatura, ovvero rifare, naturalmente meno bene, cose immaginate cento anni fa o di più. Accade ovunque, nella musica come in architettura, coi vari orripilanti neoellenismi... Spaventosi come il post- moderno in musica".
Crede nelle contaminazioni con la musica pop?
"No! Trovo il pop alienante e opprimente. Apprezzo la vitalità dei suoi interpreti, ma è un'energia che potrebbe essere indirizzata verso obiettivi più interessanti. E' una musica fatta di cliché che cambiano, come la moda. Mi fa pensare a un certo modo di mettere il berretto: un anno con la visiera davanti, l' anno dopo di lato, e ora tutti la portano indietro... Il pop è dominato da superficialità e imitazione. L'unico che mi ha interessato è stato Frank Zappa, curioso, avventuroso, radicale. Apparizione eccezionale in quel contesto".
Lei fu un pioniere nel campo dell'informatica musicale. I risultati attuali sono pari alle sue aspettative?
"Lo sviluppo è interessante ma ancora molto deve accadere. Se un tempo si temeva che la tecnica soffocasse l'interprete, oggi ci si rende conto che è salvaguardato. L'elettronica non domina: è funzionale. E' una possibilità fantastica di estensione del mondo strumentale. Non indispensabile: si può benissimo scrivere ancora solo per strumenti. Ma per un universo musicale può fungere da arricchimento formidabile".
Ci sono compositori che dirigono e direttori che si dilettano a comporre. Lei, maestro, è l'unico pienamente direttore e autore: uno dei massimi in entrambe le qualifiche. Caso di doppia identità?
"No: una sola identità polarizzata in due direzioni diverse e complementari. Non potrei mai dirigere cose che non m'interessano, scelgo solo titoli da cui ricavare qualcosa. Ma mentre potrei benissimo smettere di dirigere per un anno, non rinuncerei mai a comporre, perché è nella scrittura del nuovo, più che nella reinterpretazione del già noto, che si riflette la parte più autentica e originale di me. Sono arrivato alla direzione tardi, avevo oltre trent' anni. E ci sono giunto per necessità, per difendere le opere e i classici del XX secolo, che erano eseguiti poco e male. Per esempio si trascuravano Schoenberg, Webern e Berg".
Di Webern, da sempre oggetto della sua ammirazione, ha appena inciso la prima e unica edizione delle opere complete in 6 cd. Lo considera integrato nel grande repertorio?
"Tra i grandi autori della prima metà del Novecento è il meno assimilato. Causa il suo genio fulminante, l'estrema brevità e concentrazione dei suoi pezzi. Il pubblico ha bisogno di tempo per stabilirsi in una musica. Webern è come un quadro di Mondrian: quadrato, linea, colore... L'immagine si compie così in fretta che si ha l'impressione di non essere nel quadro, mentre in un tela di Cézanne o di Pollock c'è tanto da guardare. Webern va programmato con attenzione e accostato per contrasto a opere diverse, lunghe e distese".
Conobbe Stravinskij nel '57, quando aveva 75 anni: proprio come lei oggi, maestro. Cosa le suscita l'accostamento?
"L'idea che il tempo è passato, tanto tempo. E non solo. Quando incontrai Stravinskij avevo 32 anni ma non sentivo il minimo divario, niente distanze di energie o interessi. Lui aveva la vivacità di un ragazzo, comunicare era talmente facile. Anch'io lavoro sempre a contatto con musicisti giovani. Eppure non me ne accorgo, non sento fratture né ostacoli nel dialogo. E quest'affinità che mi onora".