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Sullo storico "Simon Boccanegra" scaligero e sull'arte di Claudio Abbado, l'opinione di Romano Gandolfi

Una socia ci ha fatto pervenire questo testo, che pubblichiamo quasi integralmente ( Gli intertitoli sono nostri):

Dal 1971 chiamato a dirigere il Coro della Scala, Romano Gandolfi ha preso parte ad alcune produzioni memorabili del teatro milanese accanto a direttori come Kleiber (Otello, Boheme, Tristan, Rosenkavalier), Boehm, Prêtre e naturalmente Claudio Abbado . A questo proposito in previsione del Simon Boccanegra di Verdi che avrà luogo il 27 novembre alla Philharmonie di Berlino e il 15 aprile a Salisburgo per il Festival di Pasqua, gli abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa riguardo alla memorabile produzione dell'opera verdiana avvenuta alla Scala negli anni 1973 -74 e 1976-'78 che ebbe in Claudio Abbado e Giorgio Strehler i grandi artefici di una realizzazione tra le più prestigiose della storia dell'Opera.
Abbiamo incontrato Romano Gandolfi nella sua casa di Medesano(Parma), ci ha accolti con rara affabilità facendoci capire subito come nella sua persona, squisite doti umane si fondano con una sopraffina sensibilità musicale e profonda conoscenza della 'materia'. (...)

Claudio Abbado direttore musicale

GANDOLFI: <Mi chiama a parlare di un periodo -quello della collaborazione con Claudio alla Scala- che ricordo con la massima gioia. Allora sì che venivano messe insieme 'stagioni' strepitose con le prime bacchette del mondo! Tutto quello che abbiamo fatto insieme in quegli anni mi ha dato grande soddisfazione. Tra l'altro fin dal Requiem di Verdi del '71 -il mio primo lavoro con lui alla Scala- ho immediatamente percepito di avere a che fare con un vero 'grande' e inoltre con un magnifico interprete verdiano>.

Il Simon Boccanegra e la sua preparazione, Abbado alle prove

GANDOLFI: <Venendo a quel Simone, ricordo sia Abbado che Strehler assediati da una grande conflittualità interiore: quello che andava bene oggi non andava bene domani. E di riflesso ognuno di noi, dai coristi a cantanti, sentiva l'impegno al massimo. Penso in particolare a Mirella Freni e Piero Cappuccilli: quest'ultimo mi ha ripetuto più volte anche a distanza di anni quanto quell'esperienza sia stata fondamentale per la sua caratterizzazione di interprete. Per quanto mi riguarda era la prima volta in quest'opera che direttore e regista davano tanta importanza al coro. Voglio ricordare in proposito, alcuni episodi significativi di come si è lavorato. 'Piccoli' momenti che dimostrano quanto grande fosse il tipo d'impegno riversato in quella produzione. L'esordio del coro si ha nel Prologo quando al comando di Pietro 'All'alba tutti qui verrete?' il Coro deve rispondere 'Tutti'. Strehler propose di fare questo intervento stando di spalle sia al direttore che al pubblico. Abbado è stato grande perché ci ha messi in una condizione psicologica tale da riuscire a realizzarlo senza paure ed in maniera perfetta. Era la prima volta che si faceva un intervento in una simile postura! E ancora. Nel quadro secondo (atto 1°) il coro deve cantare per quattro brevi battute; per l'obiettiva difficoltà di entrare con la massima precisione sono state sempre arbitrariamente raddoppiate. Con autorevole determinazione Claudio ha ripristinato quello che indica la partitura originale dando un volto nuovo a tutto il passo. Ma il momento più toccante che ho ancora impresso nella memoria è la pronuncia del 'Sia maledetto' alla fine del quadro secondo (atto 1°) che lui ha espressamente chiesto di realizzare con un sibilo in pianissimo come una profonda sferzata che valesse quanto il fortissimo. Il coro lo ha studiato molto, consapevole della grande portata espressiva dell'effetto ben in evidenza in tutta la sua portata drammatica anche nella incisione discografica. Questo a mio avviso la dice lunga sulla statura artistica del direttore milanese>.

Claudio Abbado direttore verdiano.

GANDOLFI <E' sempre stato molto rispettoso delle indicazioni senza cadere nella retorica. Con questo voglio dire che il suo rispetto non si dava per compiacere chi ascoltava ma esclusivamente per un capillare rigore nei confronti della partitura. In secondo luogo attenzione massima alle vere dinamiche verdiane soprattutto agli accenti spesso trascurati o mal interpretati da tanti direttori spesso famosi. A questo proposito soprattutto per quanta riguarda le prime opere se non si porge questo tipo d'attenzione, si cade nella banalità diciamo pure nella routine. E in tutti gli anni che ho lavorato con lui (ho inciso otto dischi) posso proprio dire che non è stato mai banale neppure per un istante. Come non è mai stato colto impreparato e la mia ammirazione va alla sua eccezionale memoria che solo per questo lo annovera tra i grandi. Dirigevano a memoria come lui: De Sabata, Furtwaengler, Toscanini. Questo porta a guardare la gente negli occhi con la massima concentrazione. La memoria prodigiosa di Claudio Abbado non è stata mai presa nella giusta considerazione dalla critica>.

Il senso degli equilibri tra 'palcoscenico e 'buca'

GANDOLFI: <Calcolava tutto con estrema puntualità senza farsi sfuggire alcun particolare. Si preoccupava moltissimo che l'orchestra fosse contenuta nei termini ideali perché la voce dei cantanti fosse adeguatamente sostenuta senza essere nemmeno velatamente coperta. Per i risultati raggiunti da questo punto di vista l'ho sempre trovato prodigioso>.


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