La cronaca del Wanderer

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Il Wanderer oggi torna da Berlino, dove ha visto "Simon Boccanegra".. !


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La cronaca del Wanderer
N°1

C'è l'ha fatto: "Simon Boccanegra" trionfa a Berlino

Cronaca del 27 novembre 1999

Diciamocelo, non ci credevamo. Non credevamo che dopo i vari "Simon Boccanegra" di Milano, Parigi, Londra o Vienna, l'operazione "Simon Boccanegra" della Filarmonica potesse sconvolgere i nostri ricordi da melomani viziati. Anzi, certi di noi non sono andati a Berlino ("sai, io dei Boccanegra ne ho visti decine, e con la Freni, e con Ghiaurov, e con Piero..allora capisci...Berlino...Boh!")
Diciamocelo, dubitavamo dellla scelta del Maestro di riprendere nel 2000 l'opera più che simbolica della sua carriera, come lo ricorda Giuseppe Barigazzinel suo bellissimo libro "La Scala racconta": "E' logico ora chiedersi quale sia lo spettacolo in cui meglio si riassume il lavoro di Abbado alla Scala: il Maestro non ha dubbi: Simon Boccanegra ."
Non ci spetta analizzare i motivi per i quali Claudio Abbado torna a Boccanegra, sicuramente la perfetta sintonia con i Filarmonici di Berlino avrà spinto il Maestro a tentare di nuovo l'esperienza, forse anche il bisogno, a questo momento della carriera, di tornare a un opera alla quale è particolarmente legato e anche, lo vedremo, il desiderio di far conoscere al pubblico berlinese questo Verdi assai sconosciuto in Germania.
A noi invece spetta raccontare quello che abbiamo sentito, che come sempre, viene proposto in forma semi-concertante, per meglio preparare i cantanti e l'orchestra alle rappresentazioni del Festival di Pasqua.
L'opera essendo assai sconosciuta dal pubblico tedesco , la trama ne viene brevemente spiegata da Kai Schmidt prima dell'inizio del concerto.
Qualche ricordo della regia strehleriana tra l'altro in questa semi-regia sui gradini che sono dietro l'orchestra, tutti personaggi sono vestiti in bianco e nero, qualche macchia di colore (le mantelle), ma una visione molto ascetica nell'insieme. C'è movimento, c'è vibrazione dei personaggi, c'è anche questa splendida Philharmonie di Scharoun che offre, con i suoi angoli, le sue scale, i suoi corridoi, un palcoscenico perfetto e delle possibilità finora sconosciute di vera e propria regia.
Ma in centro c'è un orchestra, personaggio principale della rappresentazione. Alla differenza di una qualsiasi rappresentazione d'opera, dove la buca nasconde i musicisti, essi sono al centro del dispositivo scenico ed assistiamo ad una sinfonia d'opera(come lo ha intitolato il critico della temibile Sueddeutsche Zeitung di Monaco).
Il risultato: i dubbi che avevamo sull'operazione sono presto svaniti. I cantanti non saranno né Freni né Ghiaurov, né Cappuccilli, ma sono in ogni caso bravissimi, con una nota particolare al giovane basso Julian Konstantinov, straordinario Fiesco, voce profonda, sonora, commovente. A Elena Prokina toccava non solo di succedere a Freni (già in se una sfida), ma anche di sostituire Karita Mattila, ritirata dieci giorni fa. La voce è presente, forte, energica, ma anche tenera,mentre la personnalità scenica è più energica che tenera. Qualche intoppo nell'aria iniziale, ma nell'insieme una prestazione di tutto rispetto. La voce di Lucio Gallo è fino troppo bella per il traditore Paolo la cui parte rimane per sempre legata a Felice Schiavi.
E Chernov? Nutrivo molti dubbi su questo cantante bravo ma irregolare, alla voce troppo piccola
Il baritono russo non s'impone all'inizio: la voce rimane proiettata male, e le parole vengono dette spesso senza anima, senza convinzione. Ma a poco a poco, mammano che nasce il dramma, il personaggio disegnato da Chernov viene alla ribalta, e il secondo e terzo atto sono splendidi.
Una grande performance per tutti, in ogni modo, portati dalla dinamica imposta dal direttore e dall'orchestra. Da qualche tempo l'intesa tra loro è totale (vedere le ultime esecuzioni della Nona di Mahler) il Maestro è riuscito a ottenere un suono a sua volta chiarissimo e sontuoso, a far sentire tutti i piani della partitura, far suonare quasi da solista ogni strumento, e pure si sente nello stesso momento un suono d'insieme imparagonabile completamente diverso dal suono ottenuto da Karajan, ma non meno affascinante. Quello che sentiamo al livello tecnico e artistico lo vale, e lo sorpassa a livello interpretativo: una volta il Verdi di Abbado era dinamico e energetico, ma anche sensibile e lirico. Oggi è diventato anche così lacerante come nelle sue letture recenti di Mahler, o di Wagner; questo Verdi lascia lo spazio aperto alla malinconia e alla tristezza. E quando la tecnica e l'arte s'incontrano, succede il miracolo.
Questa sconvolgente serata è stata accolta da un pubblico in delirio…perfino i nostri giornali italiani Repubblica e Corriere lo hanno segnalato. Per quanto riguarda la critica tedesca, ha rilevato un'interpretazione vicino all'ideale.
Verdi ritrovato: ecco quello che mi dicevo uscendo dalla Philharmonie: da anni non avevo sentito un Verdi così urgente e drammatico, ma anche così profondo: Siamo direttamente in contatto con la sostanza, ben lontani dalle letture formali e fredde che abbiamo sentito in altre sedi di recente.
Ho fatto un sogno: e si la Scala per le celebrazioni verdiane invitasse - colpo di follia, o di lucidità - orchestra solisti e direttore per una (o più) rappresentazioni concertanti ? Intanto appuntamento a Pasqua a Salisburgo per le rappresentazioni dell'opera con la regia di Peter Stein.

Il Wanderer