La cronaca del Wanderer

Il Wanderer può essere tutti noi.

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Il Wanderer oggi torna da Salzburg, dove ha visto "Les Troyens".. !


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La cronaca del Wanderer
N°8

A star is born...
"Les Troyens" a Salisburgo (Prova generale)
(20 Luglio 2000)

Il Wanderer è capitato alla prova generale dell'opera "Les Troyens" a Salisburgo. Rende conto di un lavoro "in corso". Non avendo visto una rappresentazione ufficiale, non può che emettere opinioni parziali. Pero, visto il successo,e le recensioni tutto sommato positive della stampa dopo la Prima, il Wanderer ha deciso di dire la sua!

"Les Troyens" fa parte di questa razza di opere chiamate "Grand Opera". Cioè, per chi se ne intende, opere concepite in Francia dal 1830 fino al 1870 per l'Opera di Parigi. A questo genere appartiene per primo il Guillaume Tell rossiniano, primo "Grand Opera" recensito nelle Storie della Musica, ma anche le Opere di Meyerbeer, il Don CarloS di Verdi nella sua versione parigina. Grand Opera vuol dire grossa macchina per la grande boutique, con cori, balletti, enorme orchestra. Oggi, per il direttore di teatro, Grand Opera vuol dire costi, problemi tecnici (scene enormi), problemi musicali (chi troverà i soprani per "Les Huguenots"?) e qualità musicale spesso discutibile, intanto spesso discussa (benché in questo campo la moda fa molto capo ai programmatori) . Il risultato è semplice: si fa poco il "Grand Opera". Il lettore deve sapere che l'Opéra Bastille non ha ancora programmato Don Carlos nella sua versione originale ! Pero, simbolicamente, il primo spettacolo(mai più ripreso) montato a Bastille è stato "Les Troyens", con Shirley Verrett, Grace Bumbry, Gary Lakes, diretto da Myun Wung Chung, in una regia di Pier Luigi Pizzi.."Les Troyens" è ritornato in grazia per via di un'incisione storica diretta da Sir Colin Davis con Jon Vickers e Josephine Veasey. Da questo momento, è diventato l'arlesiana dei teatri, se ne è parlato tanto, si è visto poco...anche se certi Teatri hanno avuto il coraggio di produrre l'opera (Il Teatro alla Scala, ad esempio, ha proposto una bella produzione di Luca Ronconi, ripresa poco fa) e anche se certi Festival cominciano ad interessarci (Salisburgo quest'anno, Monaco di Baviera l'anno prossimo, con la Waltraud Meyer...)

Les Troyens, sono 5 ore di spettacolo, due cori, un enorme orchestra (paragonabile al Saint François d'Assise di Messiaen) due ruoli femminili per mezzo soprano (Falcon) di grosse difficoltà, un ruolo maschile per tenore impossibile, e tanti ruoli di complemento che comunque hanno delle arie che li mettono in risalto. Due parti (che sono nel passato spesso state rappresentate in due serate diverse "La prise de Troie", che racconta la fine di Troja, (un adattamento della tragedia di Euripide) con Cassandra personnaggio centrale che sal l'avvenire e che cerca di impedire la tragedia, e "Les Troyens à Carthage" che narra gli amori di Enea e Didone, e la morte di quest'ultima dopo l'abbandono di Enea. Tre ruoli molto impegnativi: Cassandra e Didone, ruoli studiati per un Falcon, cioè un mezzo soprano acuto, al limite tra il soprano e il mezzo, e Enea, Tenore lirico drammatico difficile da trovare oggi, perché necessità una voce grande, ma nello stesso momento lirica, che sappia ammorbidire, che sappia cantare con stile, con dei pianissimi celesti: cioè: lo stile e la raffinatezza di Alfredo Kraus con il volume di Mario del Monaco... Spesso i ruoli femminili vengono distribuiti a due cantanti. Nella produzione salisburghese, Deborah Polaski canta tutti i due.

Il Festival di Salisburgo fa onore a Berlioz, in questi ultimi anni: l'anno scorso, aveva presentato una "Damnation de Faust", nella regia spettacolare certo, ma con poco sostanza della Fura del Baus, quest'anno, Herbert Wernicke firma una regia piena di sostanza, ma poco spettacolare. Sylvain Cambreling dirige l'Orchestre de Paris1. L'impressione che prevale è anzittutto una direzione molto precisa, molto chiara, molto attenta ai cantanti di Sylvain Cambreling, decisamente migliore che nella sua interpretazione della "Damnation" l'anno scorso, con un orchestra in grande forma, archi, ottoni, fiati hanno avuto la parte bella e il risultato è impressionnante. Il coro della Wiener Staatsoper, con l'aggiunta del Coro Filarmonico Slovacco e il famoso coro di ragazzi Tölzer Knabenchor, sono ineccepibili in un'opera nella quale il coro ha una parte essenziale.Tra i cantanti, notiamo l'eccellente Hylas di Toby Spence, che nella sua aria dimostra una grande sensibilità e una bella raffinatezza, e Yvonne Naef nella parte di Anna, molto lirica e di bella presenza vocale e scenica, Robert Lloyd nobile Narbal alla pronuncia francese eccelsa - quello che non è sempre il caso degli artisti di questa produzione. Enea è Jon Villars, che pare avere avuto difficoltà con la pronuncia durante le prove. Un tenore di bella presenza, con una voce potente e grandi momenti di lirismo; a lui manca ancora una forte personalità scenica, ma di sicuro un cantante da seguire, visto la rarità di tenori di questo tipo. Deborah Polaski, in scena durante quasi tutta l'opera, canta i due ruoli protagonisti di Cassandra e Didone. Forse Cassandra conviene meglio alla sua vocalità, ma la bellezza di questa voce rotonda, potente, calda, fa dimenticare i piccoli problemi . Soprattutto, siamo in una prova generale! Convincente, di forte presenza, Deborah Polaski è al centro dell'azione e quando sta in scena, i nostri occhi sono concentrati su di lei. L'avevamo vista a Bayreuth come Brunnhilde umana e tanto musicale, a Salzburg e Firenze come la più grande Isolde attuale: di sicuro "A star is born", perché chi potrebbe con questo esito cantare delle parti così impegnative. La voce è non solo potente, ma di una qualità rara, di una bellezza eccezionale, il timbro, il colori sono smaglianti, e quando tutte queste qualità si uniscono all'intelligenza scenica ed interpretativa, siamo davanti ad un fenomeno del canto!

Herbert Wernicke è un "habitué" degli grandi spazi e delle grande opere: A "Rosenkavalier", "Boris Godunov", "Don Carlos", aggiunge quest'anno "Les Troyens". Chi si aspettava una regia monumentale sara stato deluso. Wernicke ha costruito una regia sulla chiusura, sulla concentrazione tragica, concependo uno spazio quasi chiuso da muri altissimi (non si vede nessun cielo) intonacati, con una fenditura centrale che lascia intravedere l'esterno, molto parzialmente e i mattoni dei muri. Spazio circolare della tragedia greca, chiusura soffocante della tragedia classica: Les Troyens, tragedia del rinchiuso. Domanda centrale, come uscirne ? Tutto gira attorno a questa idea. Certo, niente più vestiti antichi, ma modernoidi. La guerra di Troia è LA guerra, con i suoi morti (un aereo caduto in fondo, dei corpi morti in primo piano aprono il sipario all'inizio), le armi sono dei mitra e dei fucili. Wernicke ci dice che questa storia ci parla, e la storia di tutte le guerre, di tutte le conquiste, la storia di eroi a volte egoisti, la storia dell'amore infelice. Certo , certe scelte sono qualche volta un po eccessive: I trojani in nero con guanti rossi: il rosso è trojano, e Cartaginesi in smoking e vestiti da sera con guanti blu, che non smettono di fare feste e mondanità a corte. Tutti due mondi chiusi nelle loro certezze che gli eroi cercano di fuggire..Questa sensazione di chiusura soffoca anche il pubblico dopo cinque ore di un faccia a faccia tragico con muri altissimi. La bellissima immagine finale del corpo morto di Didone sul rogo, mentre il popolo si dilaga e invade tutto lo spazio immenso della "Grosses Festspielhaus" è l'unico momento dopo si apre uno spazio dopo cinque ore di chiusura tragica.

Il risultato: uno spettacolo grandioso, discutibile registicamente : il quarto atto non ci sembra riuscito, l'unico momento "sentimentale" e lirico poteva essere trattato in modo diverso: gli eroi non si toccano, rimane sempre una distanza tragica tra i corpi, il luogo è un salone riempito di cuscini confortevoli, immagine della trappola in cui sta cadendo Enea, ma dove succede poco, la Caccia Reale con le sue proiezzioni di film "Peplum" anni cinquanta è certo spettacolare ma un po' gratuita: certo per Wernicke, ""Les Troyens" è un'archeologia fittizia di città e civilità sparite", e dunque giustifica queste scelte arteficiali, ma il risultato non è convincente. Pero, rimane una scoperta musicale per il pubblico: "Che bella musica" sussurava uno spettatore dietro di me...Eh si..che bella musica ! riascoltiamo l'ultimo quadro della "prise de Troie", il duetto meraviglioso "Nuit d'amour et d'extase infinie", "la canzone di Hylas", i cori splendidi "Gloire à Didon" o la marcia dei Trojani...insomma uno spettacolo che fa onore al Festival di Salisburgo, in una produzione di altissimo livello.

1In Italia l'Orchestre de Paris viene spesso confuso con L'Orchestre de l'Opéra National de Paris. Invece, l'Orchestre de Paris, figlio della mitica "Orchestre de la Société des Concerts du Conservatoire", è una delle Orchestre Sinfoniche che suonano nella capitale francese, è stata fondata alla fine degli anni sessanta, e i direttori successivi ne sono stati: Herbert von Karajan, Sir Georg Solti, Daniel Barenboim, Semyon Bychkov, Christoph von Dohnanyi e Philippe Herreweghe, Christoph Eschenbach (dal 2000...)