La cronaca del Wanderer

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Il Wanderer oggi torna da Ferrara, dove ha visto "Così fan tutte"... sconvolto.. !


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La cronaca del Wanderer
N°3

Verso l'opera totale

Bisogna ripeterlo, ogni spettacolo d'opera riposa su tre pilastri: il direttore, le voci, la regia. Nel caso in cui lo spettacolo riposa solo su une dei tre, non passa la ribalta, su due dei tre, la serata può essere piacevole, a volte buonissima, ma se riposa davvero su tutti i tre pilastri, è il trionfo! Ma ci sono poi quelle serate dove si esce dalla sala diversi, dove nasce il sentimento intimo di aver fatto un altro passo nella conoscenza dell'opera, dove si riscopre quello che si credeva perfettamente conosciuto.
E' quello che succede a Ferrara, per il Così fan Tutte!
Fin dall'inizio, qualcosa di alchemico succede, che ci spinge a sentire, ad esplorare continenti sconosciuti. Per la prima volta, Claudio Abbado approda all'ultima opera della trilogia dapontiana di Mozart, e ne esce d'emblée un'interpretazione magistrale. Immediatamente si capisce che stiamo ascoltando qualcosa di definitivo. Avendo avuto il privilegio di assistere ad Udine in occasione della festa del premio Nonino ad una versione "ridotta" dell'opera mozartiana, avevamo annusato che si trattava di una visione altra, più tagliente, più essenziale, senza fioriture, senza concessioni al lato mieloso, "bonboniera" che viene spesso rimproverato a questa opera !
E cosa scopriamo ? certo una commedia, ma la commedia degli errori, delle apparenze, che diventa presto il dramma delle lacerazioni.
Il contrasto tra primo e secondo atto è in questo senso illuminante: un primo atto mozzafiato, che fa girare la testa, dove l'azione corre, dove predomina la farsa (Ah! Il dottore dall'accento emiliano della Mazzucato!), dove la gioventù invade tutto: si diverte, gioca senza posta in gioco, senza pensarci su, nella leggerezza di spiriti spensierati che conquistano il mondo!
Si gioca all'amore, al gioco delle parole dolci definitive alle quali si crede, storditi dalla propria sete di vivere. Si entra nel gioco dei sentimenti senza pensare che si tratta del gioco della Verità. L'orchestra esprime con marcata ironia le dichiarazioni d'intento delle Signorine: ascoltate quelle folgoranti cavate degli archi, leggere come delle freccette, che accompagnano "Smanie Implacabili", ascoltate l'ingresso del coro militare, con il suo suono ovattato, lontano, che ricorda tutto tranne che una marcia marziale, e che sale in crescendo fino all'esagerazione, quell'attimo in più che ci fa vedere che si tratta di una burla. Qua un corno mai sentito, là colpi di timpano che tutto a un tratto scandiscono l'azione scenica. In breve, une vera e propria regia della musica, che ne fa non più un quadro sontuoso per l'azione, ma un commento dialettico di quello che succede in palcoscenico: la musica non è più scena, è semplicemente azione stessa.

Abbado ha profondamente assimilato la lezione delle interpretazioni barocche, non esita a tirare fuori suoni aspri, rotture nei tempi, contrasti ritmici ruvidi, ritmi affannosi: il suono non è mai bello rotondo, ma sempre saliente, presente, protagonista, a volte aggressivo.
Allora il secondo atto non è più solo la cronaca di un (doppio) tradimento annunciato, diventa davvero il momento sospeso dove si scopre che niente è più leggero che la parola, così facilmente sostituibile o interscambiabile. Ma anche dove si scopre cos'è il sentimento, l'interiorità, l'importanza del cuore e delle sue intermittenze. La musica si fa non più poetica o elegiaca, ma grave, buia, buia come i recessi delle anime e delle coscienze che non sanno più cosa vogliono e dove sono. Vediamo con quale gravità, ma anche con quale determinazione Fiordiligi sceglie le vie (le voci) del sentimento: come credere al lieto fine dopo un tale "Per pietà"?

Appunto il lieto fine, Abbado lo precipita, con dei tempi incredibili e un ritmo da far esplodere l'orchestra, come se bisognasse al più presto concludere questo fine convenuto. Si ritorna alla farsa dell'inizio ai ritmi dell'inizio, e tutto finisce presto nel letto, presenza centrale e ossessiva sul palcoscenico, magari in quattro, come suggerisce la regia…
Mai avevamo sentito dirigere con questa energia, questa precisione in ogni istante, questa attenzione scrupolosa ad ogni parola, ogni gesto, ogni momento scenico al quale il Maestro fa corrispondere un suono, una frase musicale, un' inflessione.
Tale risultato è ottenuto grazie ad un'orchestra giovane, iperdotata, disponibilissima, sensibile ad ogni indicazione del maestro, ma spiando non di rado anche i movimenti scenici (quanti sguardi verso il palcoscenico), per seguire esattamente il ritmo dei corpi, delle voci e delle parole…Tutto questo è frutto di un lavoro durato un mese, di un lavoro di squadra unita attorno ad un progetto, nell'entusiasmo e nella tranquillità della città estense. Allora poco importa se in una sera qualcuno non era in piena forma, se la Fiordiligi ha cantato meglio la generale che la prima, se la voce di Ferrando è a volte troppo spinta: bisogna giudicare l'insieme. E' l'insieme è un autentico colpo al cuore.
Ma tale risultato potrebbe essere ottenuto in un Teatro d'Opera, dove ogni giorno l'orchestra viene sollecitata da altri lavori, dove lo spettacolo è uno tra i tanti ? Tale risultato avrebbe potuto essere ottenuto a Salisburgo, tra due prove del Tristano e tre concerti dei Wiener ? Non credo: un risultato simile è reso possibile perché a Ferrara lo spettacolo è unico, spettacolo del mese o addirittura dell'anno, perché si ottiene solo attraverso la concentrazione esclusiva su un progetto, attraverso un clima di fiducia eccezionale e di affetto che si sente in tutti partecipanti all'avventura, attraverso l'osmosi di tutta una squadra.
Allora sì, Abbado ne è il direttore, ma di un'orchestra ben più larga, che comprende tutti: cantanti, musicisti, regista, comparse ma anche tecnici e lavoratori di tutto il Teatro. In questo contesto, si capisce come il Maestro Abbado abbia fatto sua una regia arrivata da altrove (Napoli), che si concentra sull'essenziale e evita il superfluo (poche scene, niente travestimenti o quel poco che basta per suggerirli), fa di alcuni oggetti presenti con insistenza (i letti) i protagonisti. Ha fatto entrare questa regia, nata sotto altri cieli, nel suo sistema dialettico, cosicché diventa un quadro perfetto per il dramma che si gioca nella buca.
Circondando l'orchestra con pedane e praticabili (come nel "Viaggio a Reims" di Ronconi oppure nel "Don Giovanni" Ferrarese di Mariani), le scene fanno dell'orchestra non più l'accompagnatore del dramma, ma il settimo personaggio. Wagner aveva sepolto l'orchestra sotto il palcoscenico, invisibile accompagnatore di un dramma i cui protagonisti sono i personaggi, per rendere più sensibile il dramma al pubblico. Qua invece, dove orchestra e direttore sono dentro, nell'opera e nel dramma, e non accanto, Abbado inventa un'altra forma d'opera totale.

Il Wanderer

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