La cronaca del Wanderer

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Il Wanderer torna da Ferrara, dove ha sentito Simon Boccanegra.

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La cronaca del Wanderer
n°23

Il genio al servizio del cuore

Verdi: Simon Boccanegra a Ferrara


Scene di Lorenzo Cutuli del Simon Boccanegra

Simon Boccanegra occupa un posto molto particolare nella storia di Verdi, come nella storia artistica di Claudio Abbado. L'opera è poco conosciuta, raramente rappresentata, anche nell'era moderna, anche dopo la " rinascita " dovuta a Claudio Abbado e Giorgio Strehler. Rivisitata da Verdi stesso, il compositore affida a Boito un rifacimento del libretto di Francesco Maria Piave, e questo solo fatto dovrebbe avvertirci sulla problematica dell'opera. Claudio Abbado è tornato più volte anche lui a Simon Boccanegra, dal 1971 fino a gli anni ottanta,la mitica produzione di Giorgio Strehler ha girato il mondo, con un cast pressoché incambiato. Per il 2000, con i Berliner e a Salisburgo, con una nuova produzione di Peter Stein, Abbado ha offerto al pubblico una nuova visione, epica, politica del capolavoro verdiano, adattata all'immenso palcoscenico del Grosses Festspielhaus. Visione che segnava un passo in più nella sua ricerca estetica e artistica.
Oggi, per celebrare l'anno verdiano, propone nel quadro più intimo del Teatro Comunale di Ferrara, ma anche al regio di Parma e al Teatro Verdi di Bolzano una nuova visione, questa volta con la Mahler Chamber Orchestra e una regia nuova di Carl Philip von Maldeghem. L'anno prossimo, tocca al Teatro Comunale di Firenze di presentare lo spettacolo di Peter Stein, con l'orchestra del Maggio Musicale Fiorentino.

E' chiaro che in un ambiente così raccolto come quello di Ferrara, con un'orchestra da camera, altre soluzioni musicale, altre vie possono essere esplorate : la trama e la musica di Boccanegra rappresentano un percorso che apre con la morte e si chiude con la morte, si apre con i violoncelli e chiude con un lungo accordo di violoncello. Si chiude nel raccoglimento la dove si era aperto. Tra i due punti: una storia di amore e morte, una storia dove il politico e il privato si mescolano: l'amore al centro della vicenda è sempre contraposto dal politico, amore di Simone per Maria, sposa vietata perché appartiene ad una famiglia aristocratica mentre Simone è plebeo, amore di Amelia-Maria per Gabriele, della figlia plebea per il giovane aristocratico ,amore padre-figlia, che rimane segreto in un primo momento per ovvi motivi politici: quando quest'amore diventa "pubblico", Simone sta per morire, in scena, quasi una "Liebestod". Non penso che sia un caso se Claudio Abbado alla fine tiene l'accordo finale , poi un silenzio straziante, nel buio totale, come due anni fa nel Tristan und Isolde. C'è un eco tra le due opere.

Il tessuto degli amori nel Boccanegra è un tessuto fitto e molto complesso, giochi di specchi e di contraposizioni dove quasi nessun personaggio è negativo: anzi tutti sono nobili di spirito - Paolo a parte, straordinaria prefigurazione di Jago nell'Otello -, nemici politici certo ma che tengono l'onore come valore supremo, Paolo viene rigettato sia da Simone, sia dagli altri. Pero Simone rappresenta la nobiltà politica, a chi il potere non interessa per il potere, ma per il fare, Paolo è quello che fa l'elezione, l'uomo dell'ombra che fa il Re. Anche lui ha la sua parte utile, l'inevitabile parte buia del gioco politico. Tragedia dell'amore, Boccanegra è anche una tragedia del potere solitario e dei loschi giochi della politica. In pochi minuti, Verdi disegna lo scopo dell'azione politica del Doge: riconciliare plebei e patrizi. Prima attraverso la clemenza, dopo cercando in consiglio ad unire le due frazioni, la sua morte diventa allora il segno tangibile di quest'unione: Dopo il plebeo Simone, il patrizio Gabriele diventa Doge in una città pacificata. Solo come Boris sul trono, Simone morendo riesce l'impresa che Boris non ha potuto riuscire: Boris muore: scopia l'anarchia dei falsi profeti, Simone muore come un eroe della città riunita. Questo, Peter Stein lo aveva magistralmente mostrato nella sua regia. Nel Simone assistiamo al'ultimo giorno del Doge, dove si ritrova l'unità: unità degli amori nella vita (Simone/Amelia, Gabriele/Amelia, Fiesco/Simone, Amelia/Fiesco), nella morte (Simone/Maria uniti alla fine), unità politica (Plebe/patrizi). Il percorso è finito. Nato vent'anni prima nel dolore del lutto, il percorso si richiude nell'amore e nell'unità politica nazionale.

Come rendere la complessità ? Strehler nella sua genialità aveva saputo giocare sulla poesia e il lirismo, ma anche sul gioco politico, aveva saputo giocare sulle masse e sull'individuo. Stein ha puntato sul racconto epico, sull'incontro delle solitudini, sul potere, sul mondo del palazzo e dei suoi tradimenti. Il giovane regista von Maldeghem, la cui impresa non è molto facile, ha puntato sull'individuo più che sulle masse, sulle tragedie intime più che sulla tragedia della storia.Impresa non facile perché questa produzione è itinerante e richiede di essere adattata ad ambienti e spazi diversi in pochi giorni.Impone soluzioni tecniche che puntano sulla leggerezza: Luci, video, poche scene. Soluzioni tra l'altro non meno costose, ma almeno montabili in poco tempo. Ambiente più notturno, toni blu, personaggi isolati nella notte, tutto questo offre delle immagini qualche volta molto suggestive. I costumi sono molto storicizzati come se ne vedono nei manoscritti medioevali. Diremo che questa regia è come tante altre, non disturba, non si impone, non lascierà tracce profonde, ma lascierà comunque piacevoli momenti e qualche volta belle immagini dovute alla video di Luca Scarzella.

I cantanti sono molto diversi dalla precedente edizione: A Vladimir Chernov tocca la parte di Simone. Con la sua bella voce, calda e molto dolce, Chernov ha saputo imporre un personnaggio mite, umano, simplice e anche qualche volta maldestro. La sua prestazione, più sicura della sua interpretazione berlinese (nella versione semi scenica del '99), è pienamente coerente con il luogo e la scelta interpretativa di Claudio Abbado. Un bel doge. Julian Konstantinov ci aveva impressionato a Berlino, leggermente deluso a Salisburgo. Il suo Fiesco era forse un pò migliorato rispetto a Salisburgo: rimane una voce non proiettata bene, una mancanza di profondità. Ma dove si trova un secondo Ghiaurov, insostituibile in questa parte ? Forse il giovane basso non ha ancora la maturità voluta per la parte. Forse anche la voce non evolve in modo da saper esprimere tutte le "nuances" volute dalla parte. Rimane il tutto un pò lineare. Il Paolo di Lucio Gallo è invece sempre più interessante: questo cantante in questi ultimi tempi ha saputo imporsi come uno dei baritoni più interessanti del momento, il suo Ford era molto divertente, il suo Paolo allucinato ci rinvia direttamente a Jago. Veramente la prestazione più forte della serata. Pur riconoscendo la bella prestazione di Vincenzo La Scola nella parte di Gabriele, devo confessare da un lato che non sono molto sensibile a questo tipo di voce tenorile un pò nasale, e dall'altro che Alagna l'anno scorso a Salisburgo mi aveva colpito a tal punto che forse la mia oggettività ne è rimasta un pò "turbata"...!

Rimane Marina Mescheriakova nei panni di Amelia. Certo, nel raccolto teatro ferrarese, la voce della Mattila forse non si adeguava. E si capice la scelta di una voce più lirica, più dolce, con dei filati, delle mezze voci eterei. Marina Mescheriakova è diventata in pochi anni una delle cantanti più richiamate per Verdi nei più grandi teatri (ha interpretato a Salisburgo una buona Elisabetta, nel Don Carlo). Segno della crisi del canto verdiano? Manca tanto a questa voce. Malgrado la sua sensibilità, non c'è vibrazione, non c'è neanche l'ombra del fremito interpretativo che ci deve essere in ogni parte verdiana. Poi i problemi tecnici, nei passaggi, nelle note alte spesso troppo forti, segnano una voce non omogenea, una tecnica ancora troppo fragile. Sarebbe ingiusto di non riconoscere certi momenti molto riusciti (il terzetto del secondo atto), ma non ci siamo ancora.

Il coro preparato da Romano Gandolfi, come ai tempi d'oro, si è dimostrato all'altezza della situazione, nella scena del consiglio soprattutto, climax del percorso musicale dell'opera.

La scelta della Mahler Chamber Orchestra per un'operazione del genere poteva sorprendere: Verdi ci ha abituato a organici sinfonici : ma nell'ottocento, i teatri erano tutti più o meno della grandezza del Comunale di Ferrara, anzi, spesso più piccoli ancora, e le orchestre non erano grande orchestre sinfoniche. Claudio Abbado ha voluto esplorare tutto quello che in grandi ambienti non era possibile esplorare. La vicinanza dell'orchestra permette al pubblico di sentire in modo "Intimo" ogni frase musicale, soprattutto quelle spesso coperte nelle grandi formazioni sinfoniche. Tale frase dei violoncelli, particolarmente presenti in questa rappresentazione, tale parte solista nei fiati. La risposta sempre immediata della Mahler alle sollecitazioni del direttore, la duttilità deglia archi e il loro incredibile impegno, l'entusiasmo di questa formazione giovane ha fatto dell'orchestra il personnaggio essenziale della serata. Mai ci è apparsa più chiara la costruzione dell'opera, che apre nei suoni profondi e chiude nei suoni profondi, che parte dal buio della notte e finsice all'alba, che apre su una morte e chiude su una morte, il crescendo dei suoni che scoppia nel climax della scena del consiglio, per andare in seguito decrescendo fino alla fine, dove rimane solo il silenzio straziante, questo silenzio che sembra affascinare Claudio Abbado, sia nel Tristano, che nella nona di Mahler, tutte opere di morte, e che provoca nel pubblico, ma anche negli artisti, delle emozioni difficilmente descrivibili.
Claudio Abbado: il genio al servizio del cuore.

Alla fine, abbracci dell'orchestra, battaglia di fiori buca/palcoscenico/pubblico, entusiasmo generale, questo è musicare insieme.