La cronaca del Wanderer

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Il Wanderer torna da Berlino, dove ha sentito la Settima di Mahler.

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La cronaca del Wanderer
n°22

Mahler VII: Dioniso tra noi

Dioniso tra noi


Lo avevo già notato mentre ascoltavo la Quinta di Beethoven a Roma: questo modo di prendere la musica nella sua pura energia vitale è un segno dionisiaco. Un inno alla natura pura, violenta a momenti, essenza di vita come la linfa degli alberi. Nella recente Settima di Mahler, che non era tra le mie preferite, abbiamo costatato una volta di più la perfetta armonia tra orchestra e direttore. In una sinfonia monumentale dove i contrasti, gli ambienti sono molto più concentrati, dove fin dal primo movimento si alternano tristezza nera, rotture, e momenti di totale sublimazione lirica, vicini all'indicibile: Mahler stesso definiva in poche parole la sua opera: "Tre pezzi notturni; nel finale il pieno giorno. Come base di tutto, il primo pezzo". Primo pezzo soffocante di tensione dove questa marcia eroica tra ostacoli, sofferenze, sforzi, minacce ci porta ogni tanto lampi di luce vittoriosa e lascia il pubblico senza fiato. Ogni strumento racconta qualcosa, - il corno di Stefan Dohr...questi echi di corno - in un'orchestra dove sembra che tutti gli strumenti, quelli più elaborati e quelli più rustici (il finale con le campane da mucche ) si siano dati appuntamento. I pezzi notturni dopo sembrano leggeri, quasi eterei, diafani, immacolati (la chitarra...il mandolino...) ma anche violenti, anche aspri come certe notti apocalittiche, oppure incantate, la notte come luogo di fantasmagoria. E il finale di pura esplosione gioiosa del giorno, dopo un assolo di violino che istilla la tenerezza nell'oceano sonoro che riempie lo spazio: sì, Dioniso, nella sua violenza primaverile è di nuovo tra di noi, con il concorso di tutti gli strumenti dell'orchestra, dall'arpa alle campane da mucche, e tutto brutalmente si ferma di colpo, con un colpo secco di cimbalo....
A cosa serve commentare quello che letteralmente non può essere descritto, visto che la musica dice tutto. Qui la musica non VUOL dire, ma DICE, e impone in qualche modo il silenzio del critico. Possiamo solo sottolineare l'estrema tensione dei musicisti verso il direttore, la perfezione del suono, la pienezza dell'impegno, e gli sguardi alla fine come per dire "c'è l'abbiamo fatta"; e l'applauso ormai "abituale" dell'orchestra al suo direttore chiamato a furia di urli da un pubblico trasportato. Possiamo anche parlare dell'ambiente dietro le quinte, dopo il concerto, i sorrisi, la gioia di tale violinista che ti dice, "ma sai, possiamo ancora fare meglio..". Ancora una volta, lo ripeto perché sembra che certe persone non lo abbiano capito, succede qualcosa che non ho mai vissuto in vita mia. E non è esagerazione mediatica, non è discorso soggettivo di fan scatenato, perché allora i musicisti di Berlino, il pubblico di Berlino sono tutti fan scatenati: tutti ti dicono la stessa cosa. Siamo aldilà.
Aldilà della critica, aldilà del commento: da qualche mese il discorso non è più un discorso di "interpretazione", di "architettura sonora", è un ingresso nel mondo delle affinità elettive tra un direttore e la sua orchestra, tra loro e il pubblico, il mondo dove tutto è possibile, dove l'intesa non è più intellettuale o tecnica, o artistica, ma - e lo ripeto perché lo sento così, e mentre lo ridico mi vengono lacrime agli occhi - di vero amore.