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La cronaca del Wanderer
N°5
Sir Simon Rattle dirige "Il Caso Makropoulos" (Aix en Provence, 13 Luglio 2000)
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All'avvio dell'introduzione orchestrale, costruita su due temi tanto simili e tanto diversi, ero rimasto perplesso.
Il tempo vertiginoso staccato da Sir Simon Rattle sembrava mettere in difficoltà i pur impeccabili archi dei Birmingham, per non parlare dei quattro ottoni, veramente sul filo del rasoio, collocati fuori scena. Non capivo la necessità di tanta urgenza, dal momento che l'opera a cui stavamo per assistere avrebbe dovuto incarnare le ipnotiche suggestioni di un lungo mistero.
Sbagliavo.
Simon Rattle ha fatto dell'urgenza ritmica e narrativa il fulcro stesso della sua lettura, quasi un defluire rabbioso e inarrestabile del Tempo, trascinato nei mille inutili contorcimenti dei personaggi dell'opera.
Solo al finale, quando ormai la vicenda si libera della dittatura del Tempo (e dalla fuggevolezza delle cellule melodiche) per approdare all'eternità del mito, Rattle ha spiegato la sua orchestra in un canto mistico e trascinante.
Al centro di questo turbinio di suoni, limpidi come cristalli, si ergeva misteriosa e statuaria la Diva, colei che al fluire del tempo e delle passioni è sempre rimasta estranea: la donna che, prolungando di trecento anni la sua gioventù (grazie a un elisir del padre alchimista), ha barattato la propria vita con una lunga esistenza priva di passioni, di entusiasmi, di paure.
Non è facile raccontare, a chi non era presente, cosa è stata Anja Silja.
Non è facile trovare le parole giuste per descrivne il magnetismo, gli slanci grandiosi, la mimica, gli accenti, lo splendore di un declamato che, col passare dei decenni, si ostina a non perdere la ben nota grandezza.
Non era, in scena, soltanto una delle più grandi attrici della storia dell'Opera: era l'ultima Diva, che ha officiato per noi un rito di passione e morte, a cui il pubblico si è prostrato.
Su di lei, come un vestito, Stéphane Brauschweig ha costruito la sua regia: semplice e lineare negli slanci geometrici (l'asse diagonale della libreria di Kolenaty, il sipario chiuso del secondo atto, la barriera di specchi, la scalinata metallica del terzo atto).
Queste linee secche conferivano un senso di inflessibilità "razionale" all'azione, increspata però da improvvisi turbamenti, che violentavano l'opaca prevedibilità delle geometrie: un sipario che si sposta diagonalmente, un irrealistico proiettarsi di luci, una parete a specchio che comincia a ondeggiare, evocando (come afferma il mio amico Pietro) una sorta di "liquefazione mentale".
E' il passato (il trapassato) che emerge con strane figure (il padre di Elina, la stessa Elina bambina)?
Oppure è la morte che preannuncia, anche all'immortale protagonista, la propria liberatoria ineluttabilità?
Semplice ma polisemica, come ogni regia d'opera dovrebbe essere, la firma di Braunschweig ha suggellato (con quella di Rattle e della Silja) una delle produzioni più emozionanti fra quelle a cui, in quasi vent'anni di opere, ho assistito.
Tutto era perfetto, in stile Aix (inavvertibile qualche ombra nel cast): dall'orchestra, alle luci, ai movimenti scenotecnici, alla fruibilità dei sovratitoli in francese. A completare la nostra gioia, la piccola ma straordinaria performance di un maturo leone come Graham Clark, nel ruolo-cammeo del vecchio Hauk-Sendorf.
Il Wanderer |
Leos Janacek: Il caso Makropoulos
Regia: Stéphane Braunschveig
Dir.Mus: Sir Simon Rattle
Interpreti: Silja, Fedderly, Hoare, Clarey, White, Reijans, Gardner, Darbellay, Davies, Clark
EuropaChor Akademie, City of Birmingham Symphony Orchestra |
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