Club Abbadiani Itineranti

Simon Boccanegra

Le pagine dei giornali italiani (Interviste, critiche, cronaca)

( Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera, La Repubblica)

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 Il Sole 24 Ore

Domenica 23 Aprile 2000
La tragica solitudine di Simon Boccanegra
diCarmelo DiGennaro

Ci vuole grandissimo coraggio per ritornare, dopo moltissimo tempo, su di un'opera - il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi - della quale s'è già dato un allestimento (con Giorgio Strehler) entrato nella storia non solo del teatro alla Scala, ma del teatro moderno, un'incisione discografica altrettanto storica, arrivata a coronamento di una lunga serie di recite, con un cast memorabile, per la quale, insomma, si sono profuse energie artistiche al massimo livello. Eppure Claudio Abbado, dopo quasi trent'anni, è riuscito ancora una volta a superarsi, dimostrando non solo la straordinaria,inarrivabile grandezza di Verdi, ma anche una costante, incessante ricerca attorno ad alcuni capisaldi della sua personale storia d'interprete. La quale, c'è da esserne certi, regalerà ancora al pubblico - non a quello milanese, però, privato per motivi assurdi della sua presenza sui palcoscenici cittadini - momenti ricchi di assoluto valore artistico e culturale.

Sì, perché l'allestimento del Simone visto a Salisburgo in occasione del Festival di Pasqua (per la regia di Peter Stein, scene di Stefan Mayer e costumi di Moidele Bickel) è stato soprattutto un'occasione di cultura, con un unico neo: quello d'essere riservata ai pochi fortunati che possono permettersi di sborsare cifre ingenti per assistere allo spettacolo, tra l'altro con una sola replica (domani, 24 aprile); per fortuna, tale produzione verrà riproposta nel 2002 al Maggio Musicale Fiorentino.

Infatti si è di fronte a uno spettacolo praticamente perfetto; pur conoscendo in maniera unica questa partitura (che proprio il maestro milanese contribuì a riscoprire: è noto che il Simone, dopo il fiasco veneziano del 1857, venne rimaneggiato da Verdi nel 1881 con la collaborazione di Arrigo Boito, senza comunque conseguire mai il gradimento di pubblico che invece gli è dovuto per l'altissima statura artistica), Abbado è riuscito - nella sua lettura orchestrale - ad approfondire ancora non solo i dettagli (per esempio, nel magnifico Preludio del Prologo, i tromboni suonano in maniera più tagliente, più cupa possibile, proprio per creare un contrappeso sonoro drammatico alla dolcissima frase degli archi che apre l'opera), ma tutta la concezione generale del lavoro. La quale risuona ancora più violentemente tragica, pessimistica: Simone, Doge della Repubblica di Genova, amato dalla plebe, avversato dai patrizi, si dibatte nel consueto, tremendo dilemma, ossia l'oscillazione tra gli affetti privati e la ragion di Stato. La figlia amatissima, ritrovata dopo lunghi anni, è innamorata di un giovane che milita politicamente nel campo a lui avverso e che per giunta osa complottargli contro apertamente. Tale tema, caro a tutto il teatro di Verdi, trova in quest'opera accenti addirittura disperati: la solitudine dell'Uomo, di fronte ai drammi insolubili dell'esistenza, è assoluta. Così, negli interstizi musicali lasciati liberi dal testo (Abbado, ben conoscendo l'importanza che Verdi attribuiva alla "parola scenica", non copre nemmeno una sillaba), il maestro italiano scatena la sua orchestra - i grandissimi Berliner Philharmoniker - costruendo un edificio sonoro di poderosa cupezza. Opera variegata quante altre mai, il Simone chiede al concertatore grande flessibilità nella narrazione per ricucire i lacerti di formule musicali, che Verdi eredita dal melodramma (arie, cabalette, concertati) e che posiziona in maniera del tutto nuova, lacerti che hanno un incedere solo apparentemente frammentario all'interno della struttura formale. Su questo terreno Abbado non ha rivali, regalando agli ascoltatori un'interpretazione ove la tensione s'articola progressivamente, senza cedere nemmeno per un istante, dalla prima all'ultima nota.

Allo stesso modo, lo spettacolo firmato da Stein è memorabile; il regista tedesco penetra profondamente nei recessi dell'animo di Simone, mettendone a nudo, come s'accennava sopra, la tremenda solitudine. La grande scena del III atto, quando il protagonista, già morente (a causa d'un veleno fattogli bere da mano perfida), si rivolge al mare per respirarne la brezza, unico e ultimo refrigerio, è d'una bellezza struggente: Simone, solo in mezzo allo smisurato palco del Grosses Festspielhaus, rivolge le spalle al pubblico e sullo sfondo viene proiettato un mare enorme, anch'esso livido e agitato. Tutta la lettura scenica di Stein è orientata all'estrema essenzialità, sempre in accordo con la musica: Verdi dipinge con gli strumenti gli stati d'animo, al regista spetta il compito (con un'operazione solo apparentemente "semplice") d'assecondarli; in tal modo, capillare è il lavoro sui cantanti, "costretti" a recitare dall'inizio alla fine. Anche gli spazi scenici si creano e si ritraggono con la musica; per esempio, nel Prologo, quattro pannelli, ispirati alle prospettive di Piero della Francesca, si aprono progressivamente, in accordo con la partitura, proprio per dare l'idea dell'accorrere della folla nelle piazze, alla notizia della candidatura, e poi del_l'elezione, di Simone alla carica dogale.

Per completare il capolavoro, ci voleva un gruppo di cantanti all'altezza della situazione, e si sono avuti. Carlo Guelfi, grandissimo protagonista, ha dimostrato di non temere l'ombra di due artisti della statura di Piero Cappuccilli e Renato Bruson, fornendo un'interpretazione affatto personale: il suo è un doge cupo ma indomito, deciso ad affrontare le asperità della vita combattendo sino alla fine. Karita Mattila (Amelia) non avrà forse una voce grandissima, ma la sa usare molto bene, contribuendo ad alzare la temperie drammaturgica; Roberto Alagna è uno straordinario Gabriele Adorno, personaggio da lui reso giovane ed esuberante, così come Lucio Gallo interpreta un ottimo Paolo Albiani, bieco e perfido. Meno convincente il Fiesco di Julian Kostantinov, che comunque supera abbondantemente la sufficienza. A completare degnamente il tutto, si aggiunga la buonissima prova dell'European Festival Chorus, diretto da Winfred Maczewski.

 La Repubblica, 17 aprile 2000, pagina 40


Una rilettura di Verdi
che resterà nella memoria
Grandiosa rappresentazione, bella la messinscena di Stein

dal nostro inviato MICHELANGELO ZURLETTI

SALISBURGO - Simon Boccanegra, "Macbeth" e "Don Carlos" erano le opere di cui Verdi avvertiva maggiormente la necessità di una revisione. Erano i suoi "tavoli zoppi": ne vedeva i valori ma anche l'intermittenza nella distribuzione di quei pregi, ne avvertiva la scarsa organicità. Li sottopose a revisione, con gli esiti che tutti conoscono. E tuttavia qualcosa è rimasto a tenere indietro la popolarità dai tre lavori: sono tutti e tre tra gli esiti massimi verdiani, ma il pubblico continua a preferirne altri. Boccanegra, del 1857, fu rielaborato nel 1881, con l'intervento di Boito a correggere l'artigianale manufatto di Piave, il cui principale difetto era il pastrocchio della vicenda.
Ma intanto era anche cambiato il mestiere di Verdi, e più ancora era cambiato il gusto: donde la difficoltà di raddrizzare con la nuova sensibilità le gambe storte costruite con la vecchia.
L'esito della rielaborazione è splendido, anche se il pubblico continua a pensarla diversamente, e contiamo Boccanegra tra le opere più luminose di Verdi, forse proprio perché vi vediamo emergere prepotentemente la volontà di rinnovamento.
Del Simone, Abbado aveva dato trent'anni fa un'edizione bellissima alla Scala. Siamo felici che l'abbia oggi ripresa dandocene una versione ancor più bella e soprattutto, grazie al magnifico contributo dei Berliner Philharmoniker, più sontuosa. La rotondità degli ottoni e degli archi è magnifica e magnifici sono gli interventi solistici (oboe, clarinetto) che qua e là sospendono la tragedia a un filo di suono. Sembra addirittura un po' esibito il suono dei Berliner, quasi compiaciuto negli spessori fonici dei momenti più agitati. Certo, l'umanità, l'ariosità, la cordialità che circola in questa edizione non ha precedenti nella carriera di Abbado. Qualità che trasferiamo anche nel complesso alla compagnia di canto, con un Carlo Guelfi raffinatissimo protagonista, una Karita Mattila molto intensa, pur al limite delle sue possibilità, un Roberto Alagna assai incisivo, un Lucio Gallo perfetto nel ruolo perfido di Paolo, un Andrea Concetti addirittura sprecato nella parte di Pietro. Solo Julian Konstantinov, Fiesco, è meno convincente, un po' per il peso vocale, un po' per l'incertezza dell'intonazione di alcune note.
Peter Stein è un regista che ormai sembra votato al palcoscenico nudo: luci e costumi gli basterebbero per realizzare spettacoli bellissimi. E invece ogni tanto consente con le scene, e allora compare un altro modo di far spettacolo: e i due modi non convivono bene. Inutile dire che i momenti migliori li troviamo quando in scena non c'è niente: la bellissima marina della scena di Maria e quella finale della morte di Simone: creature sperdute nella luce e nel mare. Ma sono splendidi anche i movimenti di massa, realizzati con una corrispondenza assai rara ai movimenti della partitura. Recitazione da manuale in tutti, sorvegliatissima e tuttavia libera: per dire della forte presenza registica. Anche alcuni momenti segnati dall'intervento scenografico di Stephan Mayer sono belli: tra tutti ricordiamo l'inizio dell'opera, con plinti trasparenti dipinti con spunti di Genova trecentesca, che si aprono man mano che si apre la musica sulla casa di Fiesco. E qui la nostra ammirazione si ferma, su quella casa trasparente con rosone al fondo e catafalco ricco di ardenti ceri, e ancor più si ferma sul fondale dipinto della camera del consiglio, perché introducono una dimensione pittorica estranea all'impostazione generale. Le luci spettacolose e i costumi bellissimi (Moidele Bickel) danno l'idea di cosa avrebbe potuto fare Stein senza ingombri scenografici. Grandioso spettacolo, comunque, al quale ha dato determinante contributo lo European Festival Chorus. Successo clamoroso.

 

  La Repubblica, 17 aprile 2000, pagina 40


Abbado trionfa a Salisburgo
con "Simon Boccanegra"
Pubblico in piedi, venti minuti di applausi per il maestro che ha diretto l'opera

dal nostro inviato LEONETTA BENTIVOGLIO

SALISBURGO - Venti minuti di applausi per Abbado in stato di grazia: ha segnato un trionfo personale del maestro dei Berliner il debutto, sabato sera, del Simon Boccanegra nel nuovo allestimento di Peter Stein. Opera tra le più amate da un direttore sempre più intensamente verdiano, questo Simone giunge a conferma di quanto, due giorni fa, Abbado raccontava a Repubblica: la sua voglia di darsi sempre più, in futuro, ai singoli progetti con tutto il tempo dell'appro-
fondimento, per non rischiare la routine e garantire i risultati. L'esito del Simone lo dimostra, e il pubblico coglie commosso il messaggio.
Spettatori in piedi, scatenati e festanti, a dispetto delle consuete mises salisburghesi all'insegna dell'eccesso: dame in lungo, gentiluomini asburgici in nero. Boati e battiti di piedi per l'orchestra dei Berliner. Calda accoglienza per i cantanti, con enfasi entusiastica in particolare per Carlo Guelfi nel ruolo del titolo e per il temperamentoso Alagna.
Unica opera in programma, Simon Boccanegra avrà una replica il 24 aprile. Il resto del calendario del Festival di bbado con un programma di musica sacra mozartiana, a cui partecipa il soprano Christine Schäfer (oggi e il 22 aprile) e Kurt Masur con un concerto dedicato a Mahler ("Kindertotenlieder" e Prima Sinfonia, domani e il 21 aprile).
La mattina di Pasqua la Gustav Mahler Jugendorchester diretta da Seiji Ozawa esegue il Concerto per violino e orchestra di Beethoven, solista Anne Sophie Mutter, e "Vita d'eroe" di Richard Strauss. Quattro appuntamenti con la musica contemporanea sono proposti da elementi dei Berliner per la serie "Kontrapunkte" nella sala del Mozarteum (ieri, domani, il 20 e il 21): tra gli autori dei pezzi appaiono compositori italiani quali Luciano Berio, Luca Lombardi e Fabio Vacchi. Infine un tuffo nel jazz, stasera, offerto dal Berlin Philarmonic Jazz Group, e la parentesi letteraria del Premio Nonino (oggi), che per volontà di Abbado ha una sua succursale qui al Festival. Stavolta il premiato è il poeta tedesco Durs Grünbein per il libro di liriche "A metà partita" (Einaudi). Già annunciate le opere che saranno al centro delle due prossime edizioni del festival: "Falstaff" (2001), con Bryn Terfel come protagonista, e "Parsifal" (2002), dirette entrambe da Abbado. Pasqua, manifestazione tanto piccola (per durata) quanto prestigiosa nelle scelte, prevede concerti dei Berliner con direttori diversi. Sono Roger Norrington con la "Sinfonia fantastica" di Berlioz (ieri il debutto, replica il 23), Abbado con un programma di musica sacra mozartiana, a cui partecipa il soprano Christine Schäfer (oggi e il 22 aprile) e Kurt Masur con un concerto dedicato a Mahler ("Kindertotenlieder" e Prima Sinfonia, domani e il 21 aprile).
La mattina di Pasqua la Gustav Mahler Jugendorchester diretta da Seiji Ozawa esegue il Concerto per violino e orchestra di Beethoven, solista Anne Sophie Mutter, e "Vita d'eroe" di Richard Strauss. Quattro appuntamenti con la musica contemporanea sono proposti da elementi dei Berliner per la serie "Kontrapunkte" nella sala del Mozarteum (ieri, domani, il 20 e il 21): tra gli autori dei pezzi appaiono compositori italiani quali Luciano Berio, Luca Lombardi e Fabio Vacchi. Infine un tuffo nel jazz, stasera, offerto dal Berlin Philarmonic Jazz Group, e la parentesi letteraria del Premio Nonino (oggi), che per volontà di Abbado ha una sua succursale qui al Festival. Stavolta il premiato è il poeta tedesco Durs Grünbein per il libro di liriche "A metà partita" (Einaudi). Già annunciate le opere che saranno al centro delle due prossime edizioni del festival: "Falstaff" (2001), con Bryn Terfel come protagonista, e "Parsifal" (2002), dirette entrambe da Abbado.

Trionfo del maestro con Simon Boccanegra. "Preparo un concerto assieme al trombettista Marsalis"

Abbado: dopo Salisburgo anche un omaggio al jazz
"Porto l'opera di Verdi nel 2001 a Parma e a Ferrara".
"A maggio per la prima volta coi Berliner in Argentina"

DAL NOSTRO INVIATO
SALISBURGO


Su una panchina, Claudio Abbado si gode il sole davanti alla bella casa sulle colline di St. Vigil. "Salisburgo da quassù è meglio, più piccola, ridimensionata", sorride il maestro di ottimo umore dopo la trionfale accoglienza al suo "Simon Boccanegra" che, con i Berliner e la regia di Peter Stein, ha aperto il Festival di Pasqua ricevendo oltre un quarto d'ora di applausi. A condividerne il successo un cast di prima grandezza: Carlo Guelfi (Simon), Julian Kostantinov (Fiesco), Roberto Alagna (Adorno), Lucio Gallo (Albiani) e l'incantevole Karita Mattila (Maria), nuova star. "Che gioia ritrovare quest'opera, fra le più importanti di Verdi, che diressi alla Scala negli anni '70 con la bellissima regia di Strehler. Con "Otello", che presentai qui nel '97, e "Falstaff" dell'anno prossimo, tre grandi figure di complessità musicale e drammaturgica".
Abbado porterà "Simon" in Italia: "Nel 2001 a Parma e Ferrara con la Mahler Chamber Orchestra, nel 2002 a Firenze con l'Orchestra del Maggio". La sua presenza in Italia si fa sempre più evidente. "A Ferrara terrò a battesimo il nuovo Teatro degli Intrepidi con "Sogno di una notte di mezz'estate", musiche di Mendelsshon e di compositori d'epoca elisabettiana. E con Palermo, Bolzano, Torino, Venezia ho stabilito un rapporto continuativo". E fuori? "A maggio andrò per la prima volta coi Berliner in Argentina e in Brasile. Poi c'è Cuba. Il progetto, nato con "Ferrara musica" di portare strumenti e aiuti ai musicisti di quel Paese va avanti. Con architetti italiani si progetta un nuovo Auditorium. Inoltre, gli allievi cubani arriveranno quest'estate in Italia per i corsi di specializzazione. Il balletto "Dioniso" di Fabio Vacchi verrà realizzato da coreografi cubani. E il "Così fan tutte" ferraese andrà all'Avana, gli artisti hanno accettato di lavorare gratis".
Invece, ironia della sorte, il suo "Boccanegra" non verrà dato al Festival estivo di Salisburgo. "Eppure è nato da una loro idea. Ma nel frattempo Peter Stein ha rotto con i vertici. E il suo nome è stato bandito. Stein ha avuto parole di fuoco per il Festival di Mortier. Ha ragione in pieno. Per fortuna a Pasqua tira aria migliore. Con Stein e l'intero cast abbiamo potuto provare un mese intero, cosa rara in qualsiasi teatro al mondo. Un'ottima intesa che rinnoveremo, sempre qui, nel 2002 con "Parsifal"". Dieci anni coi Berliner: solo rose? "Per la maggior parte sì. In dieci anni di lavoro puntiglioso, al suono pieno, perfetto per il repertorio romantico, l'orchestra ha aggiunto quello incisivo adatto alla musica del 900. Presto i Berliner avranno un importante riconoscimento nell'Unione Europea. L'orchestra si è svecchiata, e così il repertorio. Abbiamo eseguito "prime" mondiali di autori come Kurtag, Rihm. E a maggio 2001 faremo a Berlino un concerto con Winton Marsalis, il più grande trombettista jazz vivente. Ha scritto per noi un nuovo pezzo, lo eseguiremo con lui, assieme a "classici" influenzati dal jazz, da Stravinsky a Shostakovic a Gershwin". E il rock? Che ne dice del concerto Berliner-Skorpion? "Non approvo, l'hanno fatto per i soldi. Le contaminazioni vanno bene, ma solo ad alto livello. Fossero stati i Beatles...".
Giuseppina Manin

 

Infine, sic transit...gli anni si succedono, e non si assomigliano...ma Pasqua è resurrezione...

 Il CORRIERE DELLA SERA, 18 aprile 2000

ELZEVIRO Abbado a Salisburgo

Nel "Boccanegra"
il tormento di Verdi

di PAOLO ISOTTA
Il Simon Boccanegra, il "tavolo zoppo" del 1857, equilibrategli le gambe nel 1881 da un musicista arditamente novatore tentato e respinto insieme dal consiglio di Boito, è tra i sommi conseguimenti artistici di Verdi. La tesi di chi scrive riposa sopra l'unicità di "tinta" della partitura e una atipicità di contenuto. Due corni di tale atipicità vanno considerati. Il primo vede nell'opera come principale vicenda la lotta e l'attrazione reciproca tra due vecchiezze aspre, nodose, verdi per la forza di inattuato sentimento la quale possiede Simone e Fiesco. Il secondo è incentrato sul singolo sentimento di paternità delusa e di continuo studiosa di appagarsi, foss'anche a prezzo estremo. Sotto tal profilo, il Simone è frammento d'un tormento umano e artistico che Verdi esplicita in una serie di capolavori, primo fra tutti i sottovalutati Vespri Siciliani e che a noi è lecito idealmente ricomporre.
Minoritaria tuttavia l'opinione, subì essa la più autorevole conferma, da ultimo, negli anni Settanta. L'edizione della Scala, e anche qui chi scrive si ripete, fu grazie alla prospettiva impressale dal maestro Claudio Abbado realmente rivelatrice. Nel rapporto col Boccanegra, l'illustre direttore sembra aver raggiunto uno dei culmini, forse il culmine della sua carriera. La presenza del titolo nel salisburghese Festival pasquale, direttore artistico lo stesso Abbado, non poteva dunque non essere, com'è stato, uno degli eventi artistici principali dell'anno. La coerenza o l'evolvere delle concezioni nell'interprete, documento da studiare con intenso interesse.
Mutate assai, tali concezioni, a partire dal progetto drammaturgico del regista Peter Stein. Principiatasi l'azione, la delusione nei confronti del suo oscillare di linea e del suo cattivo gusto è grande. I costumi disegnati da Moidele Bickel hanno, pei personaggi maschili coturnati, quella sorta di genericità fantascientifica stile Star Trek che ritrovi in centinaia di Trilogie wagneriane odierne. La massa plebea, o di "popolo", è acconciata e disposta a citazione d'un troppo celebre dipinto intitolato Il quarto stato con la fedeltà, non solo alla Storia, alla concezione di Verdi, immaginabile da chiunque. L'impianto scenico (bozzetti di Stefan Mayer) ondeggia fra incredibili profili al neon, edifici che divengono trasparenti, luci radenti e violente di stile espressionista, inconditi richiami d'arredo all'Espressionismo stesso. Occorre tuttavia attender con pazienza. Dall'inizio dello scontro psicologico finale fra Fiesco e un Boccanegra già morente, dipinta l'azione del veleno sul corpo del Doge (il baritono Carlo Guelfi) da Peter Stein con una semirealistica e struggente recitazione di costui: Stein sfrutta le possibilità dell'immenso palcoscenico salisburghese e immagina un'interminata terra desolata ove il lungo e sentimentalmente screziato morire di Simone è contrappuntato da un lento vagargli intorno di Fiesco fino a un abbraccio così tragicamente inane da richiamarti il canto VI dell'Eneide. È un pezzo di grande teatro, sfociante naturalmente nella solennissima trenodia, ove la maestà concessa a Stein nel disporre i gruppi corali si esplica per intero. Comprendi allora come questi lunghi momenti siano la causa finale interpretativa della stessa concertazione musicale, e a loro il maestro Abbado intende giustapporre le precedenti parti dell'opera con scelta stilistica precisa. La poesia e il raccoglimento, il senso religiosamente arcano delle pagine, sono espressi grazie al concertatore con arte indicibile e ridivengono emblema dei suoi conseguimenti massimi.
Il resto porta l'impronta dell'Espressionismo, liberamente rivissuto. Sin dal Prologo, sei trascinato da una velocità da mozzare il fiato, sottolineata da un virtuosismo nella lettura dei passaggi orchestrali sotto luci nette e stridenti da porre questi quasi indipendenti dal contesto drammatico. Tutto è prosciugato, semplificato, laddove i contrasti drammatici, o psicologici o di masse, vengon rilevati con uno stile dinamico e fonico idealmente in rapporto col primissimo Verdi: e il ricercato "fauvisme" finisce con l'identificarsi con un "bruitisme" realizzante l'illustre tesi che vuole Verdi anticipatore, nel linguaggio, di taluna novecentesca emancipazione funzionale.
Il trionfo riversatosi sul capo del Maestro coinvolge gl'interpreti. Carlo Guelfi non sembra destinato a divenire baritono verdiano in senso stretto, mancandogliene la forza e l'autorità, e il confronto con alcuni grandi predecessori nel Simone, primo fra tutti Eberhard Wächter, non gli giova; ma sa diversamente colorire la voce, l'alleggerisce, ha chiara dizione e, nel morire, diviene sublime. Ha innanzi a sé un'alternativa: divenire un secondo Bruson o un secondo Bruscantini: lo Spirito Santo lo illumini. Roberto Alagna ha irrobustito il timbro tenorile e affronta con veemenza e luminosità le parti "di forza" del ruolo. Temiamo per lui quando ha da cantare "Piano" con ampia arcata melodica e appoggio sul fiato (Cielo pietoso, rendila). Karita Mattila eccelle negli acuti "di forza" ma non nei centri né ha chiarissima dizione sopranile. Julian Konstantinov pare all'inizio un Fiesco di statura inferiore al ruolo, poi l'ampliarsi dei tempi e delle prospettive lo mostra degno. Lucio Gallo affronta con autorità e coraggio la trasformazione, voluta da direttore e regista, del personaggio di Paolo da potenzialmente ad attualmente espressionista.
Tutto questo risultato implica una riflessione ulteriore. A quel che personalmente noi sappiamo, la stagione della Scala dedicata a Verdi non prevede un Boccanegra. Perché? La prima scelta obbligatoria nel programmarla sarebbe stato questo titolo sotto la direzione di Claudio Abbado. E se ciò non fosse possibile, immaginare tale stagione senza la presenza dell'illustre Maestro che della storia stessa dell'interpretazione verdiana fa parte, è impossibile. Il suo ritorno a Milano, alla guida dell'orchestra che contribuì a formare, è in quest'occasione un preciso obbligo della Scala e, sia lecito, suo stesso.

 

 


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