L'editoriale che pubblichiamo è firmato da Guy Cherqui, Redattore del sito degli Abbadiani Itineranti.

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Pollini in galera...


Milano, 6 aprile 2002

Eccessi di stampa: Meditazione sulla proposta di mandare Maurizio Pollini in galera

Cari amici, vi prego di leggere quest'articolo a dir poco incredibile.

da Il Giornale, sabato 16 marzo 2002, pag. 21

NOTE DI NOTE
Filippo Facci

POLLINI

Ci sono artisti che andrebbero messi in galera. In isolamento, lontani da ogni corruzione dell'universo mondo, lontani soprattutto dalla tentazione di occuparsene nel più terrificante dei modi: parlando. Ci sono artisti che andrebbero rinchiusi in galere speciali e concepite come fantastiche e meravigliose accademie dello spirito; luoghi sontuosi che permettano loro di coltivare e diffondere l'arte nella maniera più completa e perfetta. Essi hanno il dono: di più non potrebbero avere. Ogni altro loro sguardo verso il mondo sarà comunque rivolto verso il basso, una contaminazione, una velleità inutile e improbabile, un sovrappiù che non andrebbe esibito da chi detenga la grazia e la virtù del talento. Ci sono artisti che tra noi e l'arte non dovrebbero frapporre nulla, tantomeno delle presunte opinioni (loro) che stonino con l'elevazione cui l'arte richiama ogni volta. In altre parole, Maurizio Pollini dovrebbe stare zitto. Da quanti artisti e musicisti o anche e solo scrittori ci siamo allontanati, prima ancora di averli conosciuti? Quanto abbiamo compromesso un nostro possibile approccio colle loro opere solo perché i medesimi, frattanto, avevano fatto in tempo a esprimere delle opinioni e noi ad ascoltarle? Quanti avranno rinunciato al proposito di acquistare e leggere (per fare degli esempi estremamente profani) un libro di Tabucchi o di Camilleri o di Baricco, dopo averli sentiti opinare su altro?
Ma restiamo all'arte autentica. Una persona può esser cresciuta ascoltando musica per pianoforte e magari può aver pensato che i pianisti fossero un po' tutti dei marziani, degli asceti genere Arturo Benedetti Michelangeli. Ecco, Pollini: una persona può esser cresciuta ascoltando la sua musica e magari può aver fatto in tempo ad apprezzarne la cosiddetta fedeltà al testo, la cosiddetta pulizia che per certi aspetti anticipò il gelo irreale del compact disc, l'essenzialità che scandiva ogni nota distraendola da ben altri tumultuosi effluvi. Insomma: una persona può esser cresciuta amando Pollini senza dover per forza apprendere che «per non essere uomo di paglia – ha disgraziatamente riassunto Angelo Foletto – l'artista deve avere il coraggio civile di compiere gesti politici non equivoci». Per esempio questa esternazione apparsa su l'Unità del 4 maggio 1972: «Considero la vittoria del socialismo un fatto storico inevitabile». Oppure quest'altra, sempre di Pollini apparsa su l'Unità del 20 giugno 1976: «Le ragioni per votare Pci sono diventate così numerose che mi sembra quasi impossibile pensare di votare per un altro partito... Abbiamo nella realtà attuale una ingerenza pesantissima degli Stati Uniti nella vita del nostro Paese, e il Pci è l'unico partito che ci possa far sperare in una futura politica non asservita». Intanto avevamo i missili sovietici puntati contro. Insomma, una persona può esser cresciuta amando Pollini e però poi a un certo punto gli è toccato scoprire che anche Pollini biascicò parolami perfettamente allineati alle battaglie conformistiche degli amici Boulez e Stockhausen e Petrassi e Cage e Donatoni e Nono e Berio e Tedeschi e Manzoni e Abbado. Artisti veri mischiati a squallide icone del culturame, a cattivi maestri del nulla: quelli degli anni Settanta, quando il divino Pollini era osannato da folle che non avrebbero distinto una sonata di Schumann da uno svolazzo dei Supertramp. Angelo Foletto ha scritto che dovremmo «riconoscenza sociale e culturale» a Pollini. E perché? Per che cosa? Foletto ha scritto che «a maggior ragione c'è bisogno dell'esempio di coerenza intellettuale di uomini come Pollini». Ma coerenza de che? Mentre Foletto scriveva queste cose, il Pollini del «socialismo storico e inevitabile» e delle «ingerenze degli Stati Uniti» partiva per New York per suonare un concerto di commemorazione per le vittime delle Twin Towers, tra i perlomeno comprensibili malumori di qualche orchestrale di buona memoria. Il Corriere della Sera scriveva: «Scelta coraggiosa». E ci sfido. E intanto Stockhausen spiegava che le Twin Towers infiammate erano state una suprema forma artistica. Anzi no: «Quella frase - ha detto Pollini - Stockhausen l'ha smentita sul suo sito, dubito che si sia espresso a quel modo». Chiusa lì. Anzi no, riaperta, perché a gennaio Pollini ha compiuto sessant'anni e ha concesso una cinquantina delle sue «rare interviste». L'impegno civile innanzitutto: «È forte la necessità di una nuova politica estera, capace di affrontare i problemi più spinosi del mondo. L'attuale divisione tra i sempre più ricchi e i sempre più poveri non è più tollerabile. Le armi non servono certo a risolverla». Impensabile, risolutivo. Poi: «In ltalia vedo approvate una serie di leggi indifendibili sotto ogni profilo, sento continui attacchi alla magistratura. Un clima pesante. Sono contento di avere frequenti occasioni di stare all'estero».
A noi invece dispiace. Noi non siamo contenti. Noi lo vorremmo sempre in Italia se solo tacesse, se solo suonasse. Ma sono discorsi democraticamente pericolosi: non sparate sul pianista, non sparate sull'artista e tantomeno tirategli uova, gli artisti sono doni del cielo.

L'argomento è semplice, se non semplicista: dispiace a l'autore dell'articolo che un artista possa parlare ed esprimere le sue idee : molto elegantemente, promette a Pollini la galera - dorata - che gli permetterebbe di suonare e di incantarci dalle sue esecuzioni pianistiche. Molto elegantemente, il giornalista riprende affermazioni di Pollini, da ieri come da oggi, come se fossero attacchi insopportabili contro la democrazia. Mescola tutto: Pollini e il comunismo, Stockhausen e le Twin Tower. Tecnica molto familiare ad certi giornalisti e politici che coltivano la malafede come arte di scrittura .
Non mi dilungherò sul tono violento, che ricorda certi attacchi della stampa estrema della Francia degli anni Trenta. Ma vorrei solo sottolineare un aspetto che mi sembra proprio testimoniare di una visione cieca dell'arte. "Pollini era osannato da folle che non avrebbero distinto una sonata di Schumann da uno svolazzo dei Supertramp": Ovvio che queste folle non hanno diritto a Pollini, riservato ad happy few ! Ovvio che il popolo ignorante non ha la forma mentis per apprezzare la musica classica ! Esso dimostra un' idea strana della diffusione culturale: al popolo gli svolazzi, agli eletti Pollini. Se è questa la visione della cultura di oggi, allora rifiutiamola e lottiamo per imporne un'altra !
Più profondamente, la visione di unartista rinchiuso in "galera" per creare mi sembra in contraddizione assoluta con tutto quello che il discorso dell'arte, che al contrario si nutre della strada, dell'esterno, del mondo, bello o cattivo che sia. L'arte è pieno di artisti in rottura con il loro secolo. Rimbaud stesso diceva che l'artista è uno che "ruba il fuoco", cioè Prometeo, IL ladro per eccellenza ! E se guardiamo ai musicisti, ad esempio Wagner, sostenitore di Bakunin, Verdi , così strettamente legato al risorgimento, oppure Toscanini lasciando l'Italia per rifiuto del fascismo, per non parlare qualche decennio fa di Rostropovi?, tutti erano artisti che ovviamente dovevano rimanere rinchiusi in galera.

E' ovvio anche che di galera Soljenitisyn ne parlava troppo: perché aver scritto sul Gulag ? era meglio rimanerci e creare nel silenzio !
Ma forse l'autore dell'articolo chiede solo a certi artisti di tacere, cioè a quelli che non condividono le sue idee: perché mi sembra strano che non parli neanche di Zeffirelli, che in fatto di esternazioni politiche non scherza neanche lui ! Allora ? Anche Zeffirelli deve stare zitto in galera ??
In realtà, qualsiasi siano le idee che difendono, gli artisti impegnati verso la città fanno onore alla cultura, alla società, all'umanità. Essi dimostrano di dare senso alla loro arte: a cosa serve suonare il pianoforte se questo non è un messaggio umano rivolto agli altri ? Claudio Abbado quando chiamava Zeffirelli per "Ballo in Maschera" alla Scala sapeva benissimo da che parte stava Zeffirelli ! Eppure da artista ha chiamato Zeffirelli.

Nella democrazia, nella "Res Publica", l'artista ha diritto come cittadino di esprimere le sue opinioni, al nome suo. Come artista, cioè lume del Mondo della cultura, ha ancora più motivi di esprimersi: l'arte non è mai oggettivo, l'arte è sempre il fatto del soggetto che pensa, è sempre singolarità: siamo noi, auditori, i primi ad avere diritto a sapere quello che pensa e sente l'artista. E Pollini, o Abbado, o chi che sia, fanno bene a non nascondere le loro opinioni, non per convincere gli elettori, questo spetta ad altri, ma semplicemente per testimoniare in piazza come artisti, come cittadini, come uomini, della loro posizione di fronte al mondo che va.
Ma forse l'aggressività dell'autore dell'articolo nasconde qualche paura irrazionale che le affermazioni di Pollini abbiano un effetto sull'auditore, sul lettore, come se l'auditore non sapesse fare la differenza tra un'opinione individuale e la "doxa" comune ?? Mi sembra che nel fatto specie la "doxa" (Cioè l'opinione-per-bene che ciascuno dovrebbe condividere ) sia il fatto di grandi media di massa e che quelli, dalla RAI a Mediaset fino al Giornale.., non dimostrino sempre di essere all'altezza dell'etica sempre dimostrata dagli artisti chiamati in causa dall'autore di questo ridicolo articolo.