EDITORIALE

Guy Cherqui





















































“Bacia la mano che non puoi tagliare…”

Questo vecchio proverbio orientale ci è venuto in mente leggendo il lungo articolo su Lucerna pubblicato da un grande giornale economico italiano nelle pagine culturali della sua edizione domenicale. Ci colpisce la maniera in cui quello che non si può discutere – l’arte interpretativa di Claudio Abbado – viene ovviamente osannato, mentre invece l’impresa stessa che fa l’avvenimento e gli dà significato, la fondazione della Lucerne Festival Orchestra e la sua qualità, vengono distrutte in modo velenoso: quello che tutta la stampa internazionale e italiana ha sottolineato viene chiamato “panzane”; la Sabine Meyer che “si sentiva poco”, il Capuçon che “fa tenerezza”, e poi la qualità generale: “tra la LFO (Lucerne Festival Orchestra) e i Bph (Berliner Philharmoniker) c’è una bella differenza”…Però..però..però.. scopriamo che poi questa orchestra di qualità discutibile fatta da (non) solisti che “si dimenano” (sic), produce alla fine una sinfonia di Mahler “chiara come un cielo stellato”…e, dopo il veleno, viene il “disegno adamantino”, la “dolcezza di campi elisi”, “gli arabeschi di Pahud, grandissimo, il primo flauto dei Berliner” (sic)(che è anche un solista, come viene scritto nel programma di sala…).

Nel disegno di Abbado, la fondazione dell’orchestra e questa straordinaria Sinfonia di Mahler sono un’impresa sola. Il resto della stampa internazionale lo ha sottolineato, dal New York Times alla Neue Zürcher Zeitung, dalla Süddeutsche Zeitung al Toronto Star, ma la stampa è fatta di certo da gente che di musica non sa nulla e quindi scrive le famose panzane (“si sono lette e sentite in giro tante e tali panzane da far ridere a crepapelle quanti abbiano con la musica un minimo di pratica”). In questo caso i discorsi non sono due: da una parte Abbado e il suo genio, dall’altra la fondazione della nuova orchestra, il discorso è invece uno: Abbado è a Lucerna non per fare concerti qualsiasi, ma per fare concerti con questa orchestra, voluta da lui, composta da lui, animata da lui.

Bacia la mano che non puoi tagliare…separando orchestra (zoppa) e direttore (al di sopra di ogni critica), si attacca subdolamente il direttore nella sua impresa principale, e in una delle sue espressioni più caratteristiche “fare musica insieme”.

Mi ricordo una prova , vent’anni fa, del Tannhäuser a Parigi. In buca, Christoph von Dohnanyi: „Signori, vi chiedo di fare musica, non note“... Due musicisti messi insieme possono fare note, e non fare musica…fare musica in questo senso ha ben altre connotazioni…possibile che l’autore dell’articolo non lo sappia ?…perché far finta di non capire ?

Ecco il giornalismo inutile, quello che preferisce scrivere parole e frasi in salsa agrodolce, piuttosto che esprimere concetti, coerenza, vera critica approfondita, il giornalismo che, come i musicisti che fanno note e non musica, scrive solo frasi e non un testo.

Questo (epi)fenomeno di superficialità insignificante ci lascia dell’amaro, non per l’articolo stesso: abbiamo letto tante ..come dire... panzane… su e contro Abbado che una di più o una di meno…; ci lascia dell’amaro perché – nemo profeta in patria - la cultura nei grandi giornali è talmente ridotta all’osso che l’articolo in questione è l’unico articolo di fondo (di fondello nella fattispecie) della stampa italiana su Lucerna.

Non sono i giornalisti in causa: molti, per fortuna, sono bravissimi e molto competenti. Viene chiamato in causa lo spazio lasciato alla vera critica, spesso sostituita dalla semplice cronaca. Le critiche vere, le abbiamo lette nella Neue Zürcher Zeitung ( sotto la firma di Peter Hagmann) o nella Süddeutsche Zeitung (articolo splendido firmato Wolfgang Schreiber): il lettore svizzero o tedesco sarebbe dunque più “intelligente” di quello del “Corriere della Sera” o della “Repubblica” o anche di “Le Monde”, dove moda e cultura si confondono sempre di più? I lettori italiani o francesi non potrebbero sopportare qualche riga in più di analisi e di approfondimento?

All’impresa di Claudio Abbado, che ha sempre , nel suo modo di fare musica, chiamato in causa l’intelligenza dell’ascoltatore – come rari altri direttori: Boulez, Bernstein, Scherchen, Celibidache, Walter, Giulini -, corrisponde invece l’impresa di una stampa che chiama in causa la superficialità dell’istante, la cronaca più che la critica, il flash più che lo spessore analitico. A noi lascia un senso di amaro che molti critici di altissima qualità siano sotto-utilizzati da redazioni che hanno del lettore un’immagine sempre più degradata.

Di fronte a un Claudio Abbado che rispetta il pubblico senza concessioni, vorremmo una stampa senza concessioni e onesta, non dipendente da questa o quella lobby, anche musicale. Poco ci importa che il concerto di Abbado non piaccia, se ciò viene detto con intelligenza e con argomenti validi – anche a noi non piace tutto: non è che su Abbado vogliamo una stampa agli ordini o a-critica – come in altri esempi illustri -, ma vogliamo una stampa che ci permetta di dialogare, di dibattere, da veri lettori colti, ma soprattutto da veri cittadini.

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