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Concerto con Cecilia Bartoli(3) |
LA BACCHETTA DI ABBADO di Giordano Montecchi
Recentemente mi è capitato di sentire uno dei più brutti Mozart della mia vita. Brutto al punto che via via che passavano i minuti sentivo crescere una sensazione strana, prima indefinibile, poi, alla fine, chiarissima: era nausea. C'era un'ottima orchestra, la dirigeva un musicista molto famoso e lodato che di solito per fortuna non dirige. Guardavo il suo braccio destro, i movimenti sgraziati, mentre la musica andava per conto suo e i musicisti, a testa bassa, evitavano di guardare quel gesto di Medusa per cercare di salvare il salvabile. Sapete, no, quando sul video Enrico Ghezzi parla fuori sincrono procurando un fastidio calcolato? Ecco, qualcosa del genere, solo che stavolta vittima di quel dissesto linguistico era il Mozart della sinfonia Praga, una musica meravigliosa che di solito guarisce, trasporta, commuove e lì, invece, era trasformata in uno svolgersi traumatico, logorante, depressivo. Sullo schermo della mente sono passate le immagini dei mercanti del disco, lo show business, la finzione patinata.
Questo ricordo ancora fresco mi è tornato alla mente mentre cercavo di capire le ragioni della gioia profonda e indicibile che istante dopo istante si accumulava nell'assistere al recente concerto di Claudio Abbado alla guida della Mahler Chamber Orchestra. Una gioia che trasbordava e si trasformava in gratitudine, anzi di più: amore, beatitudine.
Bastava guardarsi attorno (si sa come sono i teatri quando ci sono di mezzo le star) e concentrarsi sui volti raggianti del direttore, dei musicisti, e su quel gesto: le mani che accarezzano l'aria, che reggono la musica con fili dorati, invisibili; mani che alitano vita. Abbado non ha bisogno di capolavori, perché il capolavoro nasce lì, in quel momento. Fra le sue mani la musica si muta in filigrana leggerissima, sottovoce. La bacchetta danza come senza peso, e anche quel corpo, così sottile adesso, dopo ciò che ha patito, sembra levitare di gioia. Quaggiù di solito affoghiamo nel frastuono adrenalinico, nell'enfasi gesticolante e sudata. Abbado non suda. Musica così l'ascoltano in paradiso, dove non serve alzare la voce e dove tutto si coglie all'istante. La paginetta più banale diventa un miracolo di grazia; Beethoven "la seconda sinfonia " è come se tornasse a casa, libero dai tanti impegni di profeta di chissà quale futuro, ritrovando una gioia schietta, una meraviglia quotidiana, quando la musica canta, paga di sé (e Abbado canta, canta insieme a lei). Anche Cecilia Bartoli canta, sul palco a fianco di Abbado, complice con lui nel disegnare in punta di matita, distillando arabeschi mozzafiato o dolcissimi, a fior di labbra. Lui l'accudisce, ne ascolta il respiro, come un medico amico, e le frasi, perfette, mettono le ali e volano in alto.
La giovane orchestra è tutta un via vai di sorrisi scambievoli e di complicità, senti arrivare gli spruzzi freschi della felicità. Un corno scrocchia appena un po?. Abbado lo guarda come facciamo quando un bambino inciampa e ci chiniamo per sostenerlo. Tutto il resto non conta.
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