Grazie alla diligenza dei nostri soci, pubblichiamo adesso una rassegna degli articoli della stampa italiana a proposito di Simon Boccanegra, a Ferrara

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La
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Simon Boccanegra a Ferrara
La nuova Ferrara, 27 maggio 2001

Abbado geniale, mai un Verdi tanto attuale e moderno
Una lettura capolavoro, ha fatto una fusione perfetta
tra la musica e le parole nel suo «Simon Boccanegra»

di Athos Tromboni

FERRARA. A sipario aperto piovono garofani sul cast e sul maestro Claudio Abbado. Loro li raccolgono, li gettano all'orchestra in buca e subito l'orchestra rilancia, così la fine del Simon Boccanegra dissipa con una battaglia gioiosa, fatta coi fiori, la tensione emotiva che aveva preso tutti, cantanti e pubblico, durante l'esecuzione. Accoglienza più calorosa e trionfale non poteva esserci, per il ritorno del maestro Abbado a Ferrara dopo l'apparizione beethoveniana di Santa Cecilia in Roma.
Il vero protagonista del nuovo allestimento (coprodotto da Teatro comunale e Ferrara Musica, con il Regio di Parma e il Nuovo Comunale di Bolzano) è lui, il direttore d'orchestra sicuramente più amato dai ferraresi.
Abbado ha vivisezionato la partitura alla luce di una concezione modernissima dell'interpretazione verdiana, passata al filtro di conoscenze che derivano dalla frequentazione del repertorio novecentesco: Stockhausen, Nono, Berio (per citare i nomi più noti al grande pubblico) non sono passati invano sotto la sua lente critica, hanno contribuito a renderlo edotto di un gusto delle dissonanze, di una precisione del tempo e delle pause, di un ordito per il timbro e per la trasparenza delle armonie, che sono stupefacenti. Mai si è udito un Verdi così attuale e moderno, così ricco di significati musicali, così completo nella fusione di musica e parola. Questo è il di più che Abbado ha dato alla sua interpretazione del Simon Boccanegra. Gli esempi da citare sarebbero tanti, ma ne basti uno: finalmente, nelle grandi scene d'assieme alla fine del primo atto e alla conclusione dell'opera, si sono uditi due concertati verdiani che si mantengono lontano dagli esiti donizettiani (tanti direttori, eseguendo Verdi, cavano fuori in queste circostanze i colori di Donizetti: non è un errore, in effetti la partitura si presta generosamente e l'effetto sulla platea è sempre gratificante). Il pubblico, ammaliato, ha giustamente chiamato con insistenza il maestro alla ribalta: egli, personalmente, si è concesso una volta soltanto, spinto a forza da Chernov (Simon Boccanegra), mentre tutte le altre volte ha voluto accanto a sé l'intero cast, a condividere applausi fiori e ovazioni.
L'opera aveva, per i ferraresi, anche un altro motivo d'interesse: il debutto dello scenografo e costumista Lorenzo Cutuli, praticamente cresciuto presso il Teatro comunale di Ferrara ed ora chiamato a questa importante prova: la scenografia, giocata sulle proiezioni ottiche e video, è stata gradevole, snella, moderna, a tratti anche affascinante, in linea col taglio interpretativo di tutta l'opera. I costumi, invece, erano solo e sempre affascinanti. Resta da dire dei cantanti: Chernov nel ruolo di Boccanegra ha dato sfoggio di grande statura d'artista: il suo canto, a volte suadente come lo rendevano le mezzevoci musicalissime che possiede, a volte possente nell'impeto del ruolo, ha tracciato un protagonista dai risvolti nobili e umani. Julian Konstantinov (Fiesco) è un basso dalle bruniture carezzevoli come il velluto. Lucio Gallo (Paolo Albiani) ci è parso il migliore in assoluto: la sua presenza scenica, la vocalità tonitruante ma sempre intonata, l'eleganza del fraseggio, contribuiscono a fare di lui, forse, il più importante baritono verdiano del momento. Marina Mescheriakova non è stata un' Amelia dalla dizione chiarissima, né morbida nei passaggi di registro come l'avremmo preferita, ma ha retto bene la parte guadagnandosi la sua dose d'applausi. Vincenzo La Scola, da tenore lirico, ha tenuto egregiamente il ruolo di Gabriele Adorno, usando mezzetinte seducenti nell'aria Cielo pietoso rendila, là dove altri risolvono di forza per strappare applausi. Bene Andrea Concetti (Pietro). Splendido di musicalità Dario Balzanelli nel proclama dell'Araldo, così difficile senza il sostegno orchestrale. Vivace Clare McCaldin nel ruolo dell'Ancella.
Il giovane regista Carl Philip von Maldeghem ha superato la prova, ma alcune ingenuità non vanno sottaciute: il girotondo gioioso di Amelia e della sua ancella all'apparire di Gabriele ci è sembrato fuori contesto; così l'entrata di una parte dei coristi in mezzo al pubblico durante la scena d'assieme, alla fine del primo atto, l'abbiamo giudicata distraente, un coup-de-theatre sbagliato. Ottime la regia video di Luca Scarzella e le luci di Vinicio Cheli.
Eccellente la prova della Mahler Chamber Orchestra e del pari la prestazione del coro (European Festiva Chorus unito a quello dell'Orchestra"Giuseppe Verdi" di Milano) diretto da Romano Gandolfi.

La Stampa, 27 maggio


«Boccanegra» a Ferrara con la Mahler Orchestra
Grandissimo Abbado «Simone» da brividi
Paolo Gallarati
FERRARA Non è difficile immaginare quanto Claudio Abbado ami il «Simon Boccanegra»: a quest?opera severa, plumbea, di scarso successo popolare, ha legato il suo nome negli anni settanta con il famoso spettacolo di Strehler alla Scala, poi l?ha ripresa a Salisburgo, ora a Ferrara e, l?anno prossimo, com? è stato annunciato, ci tornerà su, al Maggio Fiorentino. Come mai «Simon Boccanegra» possa tanto interessare Claudio Abbado lo si capisce da come lo dirige: con la determinazione, l?orgoglio, la passione che s?impiegano in una sfida. Ogni volta è come se, parlasse così al pubblico in sala: «Voi dite che nel "Simone" mancano grandi melodie? Ebbene, io vi tendo quelle che ci sono con uno tale spasimo da incatenare anche l'ascoltatore più scettico. L'azione è contorta, oscura, labirintica? E io vi mostro che Verdi ne ha tratto motivo di poesia e di straordinaria modernità: sentite come la musica si frantuma in impulsi, picchi e crolli improvvisi, che brividi passano nelle strisciate improvvise di violoncelli e contrabbassi, quali oscurità ambigue e inquiete scandagliano il clarinetto e i corni, col loro suono lontano, e come tutto, improvvisamente, è tagliato da raffiche di violenza espressionistica, veri lampi nel buio».
E poi è come se Abbado continuasse così: «Voi pensate al "Simone" come ad un'opera di tensioni represse, senza sfoghi liberatori? Ma io ve le mostro, queste aperture, nei mille efflussi segreti di melodie poco appariscenti, in cui sentirete il respiro del mare che fluttua un poco ovunque, e alla cui pace anela l'animo esacerbato del doge, stanco del potere, e avvelenato a morte. Vi sfido a dimostrare il contrario. E al centro dell'opera vi piazzerò, come un vulcano infuocato e fumigante di vapori mortali, la scena del Consiglio, così scabra e ruvida nella rappresentazione dello scontro politico, così agghiacciante nel sussurro corale della maledizione contro il malvagio, da sembrare fresca di scrittura modernissima. Da questo "Simone" uscirete elevati, e forse un poco sconvolti. Ma scusate... la colpa è di Verdi, non mia».
Risultato: quando Abbado, alla fine dello spettacolo, è uscito a ringraziare sul palcoscenico, dal loggione del Comunale di Ferrara si è scatenata una pioggia di fiori. Tutti eravamo felici nel vederlo così vitale, dopo i mesi della dura prova, e capace, come sempre, di galvanizzare l'orchestra, di raccogliere tutti, coro, cantanti, nell'avventura e nell'entusiasmo del grande progetto comune. Splendida è stata, sotto la sua guida, la Mahler Chamber Orchestra, con archi duttilissimi e autentici virtuosi nel settore dei fiati, splendidi i due cori, l'"European Festival", e quello dell' "Orchestra Sinfonica Verdi di Milano" diretti da Romano Gandolfi. Quanto ai cantanti, la bacchetta di Abbado è stata determinante per fonderli in una recitazione musicale intima, severa e commossa, estraendone le migliori qualità. Vladimir Chernov è un baritono di voce piutosto chiara, che spiazza un po' chi si attende da Simon Boccanegra un timbro caldo e corposo: ma la sua interpretazione è vera, il testo scavato in ogni inflessione, e il personaggio reso quasi sempre con intensità commossa (un po' meno solo nella scena della morte, che mi è parsa stranamente freddina).
Molto bravo Lucio Gallo nella parte di Paolo Albiani, e già pronto, forse, per affrontare lui stesso quella di Simone. Fiesco, voce autorevole ma non sempre intonatissima, era Julian Konstantinov, Gabriele Adorno, invece, il magnifico e festeggiatissimo Vincenzo La Scola, mentre la parte di Amelia è toccata a Marina Mescheriakova, voce di notevoli possibilità, ma bisognosa d'una intensa cura di fonetica e pronuncia italiana. Lo spettacolo, elegante e sobrio, era firmato da Carl Philipp von Maldeghem, con costumi e scene fatte di proiezioni luminose: il loro autore, Lorenzo Cutuli, ha intrecciato e sovrapposto con gusto i moti del mare, le pietre dei palazzi di Genova, fiaccole accese, vedute antiche della città col porto, ombre e colori di vita e di morte, foglie e rami d'immaginari giardini, in un gioco di dissolvenze ora lugubre, ora limpido, ma sempre poetico.




La Repubblica, 27 maggio


Abbado, luce
sul cupo
Boccanegra - L'opera di Verdi a Ferrara
la critica

ANGELO FOLETTO

FERRARA - Chi se non Claudio Abbado, il più assiduo e risolutivo interpreteinventore moderno di Simon Boccanegra, aveva facoltà e legittimità "critica" per riscriverlo esecutivamente ricavando dal capolavoro degli anni Settanta questo, diversissimo, di oggi? Senza che se ne perdesse l'amara logica sentimentale, il segno politico, la dolcezza infinita che lo struggente colore degli archi sull'estremo «Maria...» del protagonista rende bruciante per gli occhi degli ascoltatori, a cui si agganciava il solenne e remoto «Pace per lui» finale del coro (meraviglioso, con la magia parlante e scandita unica di Roman Gandolfi): logico che il pubblico, prima delle ovazioni, abbia risposto con quasi un minuto di stupefatto e commosso silenzio.
Se nel Simon Boccanegra di e con Giorgio Strehler, Abbado ci ha raccontato per indimenticabili anni un'opera dai tratti disomogenei, nervosa e sfavillante come un racconto d'avventura, rocciosa e morale come una storia di odio e potere riscaldata dal dramma umano dell'excorsaro, oggi aggiunge altri particolari. La concertazione cui la Mahler Chamber Orchestra ha risposto con sonorità livide, inchiostrate e teatralmente plastiche come sempre nel Verdi di Abbado ma anche con seduttività carezzevole e tenera delineava un'interpretazione indirizzata alla visione d'insieme.
Molti i momenti magnifici dell'esecuzione, legati alle magistrali scene d'assieme o a quelle recitate del Prologo (forse non sempre mordenti nel dialogo, ma incise su alcune parole chiave), avrebbero potuto essere incancellabili con una compagnia più sicura e scenicamente controllata. Nella grossolana interpretazione gestuale e in quella musicale solo diligente di Valdimir Chernov (Simone) era sintetizzata la misura media del resto della produzione, in cui s'è distinto il Gabriele di Vincenzo La Scola, il Paolo un po' sopra le righe di Lucio Gallo, il Pietro di Andrea Concetti, mentre troppo insicura e poco sensibile era l'Amelia di Maria Mescheriakova.
Spettacolo fittizio come le scene; le suggestive immagini video di Luca Scarzella poco hanno potuto contro l'insussistenza della regia di Carl Philip von Maldeghem.