Grazie alla diligenza dei nostri soci, pubblichiamo adesso una parte degli articoli usciti nei giornali locali e nazionali sul Simon Boccanegra.

Le critiche alla prima
Le
critiche al concerto del 31
Le critiche al concerto del 31 (2)
Le
critiche di Parma
Le cronache di Bolzano

Le cronache di Bolzano (2)
Bolzano: Critiche

Articolo de L'Unità

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Simon Boccanegra a Ferrara, Parma e Bolzano
La Gazzetta di Parma, 2 giugno


Incontro col direttore artistico e un interprete prima dell'ultima prova
«Non conta solo la voce»
Al baritono Lucio Gallo è affidato il ruolo di Paolo Albiani

Con Lucio Gallo, il baritono che sarà Paolo Albiani stasera nel Simon Boccanegra al Regio, l'incontro «prima della prima» con la stampa diventa un occasione di amabile salotto: tanto piacevole, simpatico e sincero Gallo, quanto potente è la pregustazione dell'allestimento di quest'opera che Abbado ha portato a estremi livelli di esattezza interpretativa. Si concretizzerà dunque stasera e lunedì il momento del Verdi Festival meno agitato dalle palpitazioni della prima assoluta e confortato dalla presenza rassicurante di Abbado, che torna a Parma dopo il Barbiere rossiniano del '95. «Bisogna sottolineare l'importanza di questa collaborazione con Ferrara - precisa Bruno Cagli - che non solo permette di interagire con un teatro di ottima tradizione che lavora in stretta sorveglianza con un nome come quello di Abbado, ma che speriamo possa essere foriera di altre future collaborazioni non solo operistiche. A Ferrara, voglio dire, si fa una stagione concertistica di grande livello...». Però.
Con Lucio Gallo invece si fanno quattro chiacchiere amabili nei divanetti gialli della Sala Fumatori sul Simone e sul ruolo di Paolo: «Boccanegra è la prima opera che ho cantato e di fatto con Abbado l'ho fatta solo tre volte, ma ognuna è sempre stato un vertice. Di solito un baritono ama fare il ruolo del protagonista del titolo e non nego che sono abituato a quella parte, che a cantarla dà una soddisfazione enorme. Ma anche quella di Paolo Albiani, che è l'antecedente verdiano di Jago, non è di minor impegno e gratificazione: e oltretutto difficile, perché ha tessitura più acuta del protagonista e una memorabile scena davanti al consiglio che coinvolge l'interprete oltre che il cantante. E, per me, è come fare un omaggio ad Abbado per l'affetto che gli porto».
Che è come dire la voce spesso non basta. «Certamente. Guardi, credo che un vero cantante non debba e non possa fossilizzarsi a ripetere centomila volte, anche se benissimo, lo stesso ruolo. Bisogna osare, bisogna provare a conoscere. E ci si accorge che la voce è importante ma passa poi in secondo o terzo piano, bisogna pensare a cosa si canta, indossare panni diversi, e non scimmiottare i grandi, ché non serve a nulla. Oggi ci sono tantissime belle voci, certo, ma nei giovanissimi mancano i guizzi».
Tre volte il Boccanegra con Abbado: ci sono differenze di lavoro o di lettura che il maestro ha sovrapposto negli anni su quest'opera? «Direi di no. Lui è sempre lo stesso: precisissimo alle prove, puntuale, rigoroso, attento al lavoro di messinscena con il regista e soprattutto alla fedeltà alla partitura. Che vuol dire rispetto dei segni e delle idee verdiane, senza effettacci per captare la sala, ma con la capacità di far fluire il discorso in un'unica consequenziale linea razionale ed emotiva insieme. Ecco, quando dirige il Boccanegra sembra di sentire le sue braccia protendersi sulla scena ad abbracciare l'orchestra e noi cantanti in una visione unitaria di quello che stiamo facendo con lui».
Giuseppe Martini
Replica lunedì sempre alle 19
Simon Boccanegra verrà replicato lunedì 4 alle ore 19, sempre con direzione di Claudio Abbado, regia di Carl Philip von Maldeghem e interpreti principali Vladimir Chernov, Marina Mesheriakova, Fabio Sartori, Julian Konstantinov, Lucio Gallo e Andrea Concetti.






La Gazzetta di Parma, 3 giugno

Abbado e la purezza del sentimento
Per il «Simon Boccanegra» al Teatro Regio un trionfo annunciato e meritato

Trionfo annunciato, quello del Simon Boccanegra approdato ieri sera al Regio sotto la direzione di Claudio Abbado.
Il riascolto ravvicinato, dopo il debutto a Ferrara di una settimana fa, ha consentito di penetrare ancor più compiutamente il senso di questa lettura, frutto della lunga riflessione compiuta dal nostro direttore su questa partitura verdiana da lui particolarmente amata.
Come una maturazione attraverso la quale le stesse «difficoltà» che hanno reso non sempre agevole il cammino di quest'opera, vale a dire quell'intrecciarsi, spesso oscuro, di piani tra intimità lacerata e furore politico, sono affiorate più naturalmente come caratteri organici e al tempo stesso contrassegni di quel travaglio drammaturgico vissuto da Verdi nella sua piena maturità, implicito del resto nel lungo lasso di tempo che separa la prima versione dalla revisione.
Non solo, infatti, la stringatezza del taglio impresso da Abbado, sempre attento a non creare nel discorso vuoti inopportuni, pareva svelare il raggiungimento di quell'unità che è tutta sotterranea, riconoscibile in piccoli segnali affioranti dal terreno esterno ben più contrastato e pure importantissimi per definire quella coerenza emotiva che Verdi sentiva particolarmente, per quest'opera «triste»; la dimensione dolorosa, ad esempio, legata all'amore tra Simone e Maria, presunta più che narrata nell'antefatto, eppure filtrata inevitabilmente attraverso il complesso svolgimento da lasciar intuire - lo ha sottolineato in una recente intervista Abbado - come Simone avesse iniziato a morire già nel Prologo.
E questo senso di morte, di lenta agonia, appunto, sembrava penetrare le fibre strumentali, nella sottigliezza, sempre nitida anche nel gioco più sfumato, con cui Abbado ha inseguito tale sentimento così pervasivo, pur nella violenza dei contrasti che accende l'odio popolare non meno che la perfidia dei singoli, di Paolo in particolare.
Contrasti cui sembra far da contrappeso, insieme al conflitto interiore tra la fragilità dell'uomo e il dominio illusorio del potere, la tensione pacificante che va stringendosi nel finale, liberatorio, certo, ma intimamente minato dalla mestizia che decanta così dolorosamente le storie individuali.
Il pregio di questa nuova interpretazione di Abbado credo sia da cogliere proprio nell'aver saputo decifrare il senso più scavato di questa partitura, nell'averne compreso la profonda unità nella continuità che riesce a legare in maniera sotterranea situazioni anche molto contrastanti, nell'essere riuscito, in altre parole, a cogliere la «tinta» autentica, ma in maniera mai forzata, con il passo più naturale.
Uno dei nostri critici più acuti, dopo la prima ferrarese, ha giustamente ritrovato un riflesso di tale visione nelle parole di Barilli (a conferma della straordinaria intelligenza musicale che muoveva il gioco pirotecnico delle parole), in una lontana recensione del Simon Boccanegra dove, soffermandosi sul «parlar giusto e sobrio di un'epoca matura», annotava:«Quante pause, quanti silenzi, addirittura storici. Che vita enorme e veneranda, fluida ombra dell'anima. Che trasparenza profonda. Quanta misura e che mano leggera».
Il senso della misura e della leggerezza, appunto, inteso come termine di un'intensificazione emotiva liberata da incrostazioni eccessive o di maniera, ma tutta giocata sulla meravigliosa tastiera offerta dalla Chamber Mahler Orchestra, coi suoi archi avvolgenti e pastosi, la luminosità degli ottoni, la forza insinuante dei legni, l'argento degli strumentini; e pure dalla duttilità del coro, istruito dal nostro Gandolfi (reviviscenza di una lontana, indimenticabile collaborazione scaligera con Abbado) , nel saper rispondere alla complessità di situazioni, vocali e drammatiche, cui è chiamato in quest'opera.
Dello scompenso tra l'intensità di una simile visione musicale e la resa vocale si è già detto nella recensione alla prima ferrarese; il discorso non è parso troppo diverso anche ora: limitata la suggestione delle voci «basse», quelle che fanno il colore intrinseco dell'opera, risultando poco scavato il personaggio di Simone (Vladimir Chernov), ed ancor più quello di Fiesco (Julian Konstantinov) mentre con maggior evidenza, in un ruolo dalla caratterizzazione più scorciata, risultava il Paolo di Lucio Gallo.
Ma pure quel lirismo con cui Abbado ha illuminato la purezza del sentimento amoroso, screziandolo di preziosi riverberi naturalistici, marini, non ha trovato pieno sfogo nel canto, talora un po' inerte di Vincenzo La Scola e ancor meno nella precarietà timbrica di Amelia (Marina Mescheriakova).
Anche lo spettacolo, firmato da Carl Philip von Maldeghem per la regia, da Lorenzo Cutuli per scene e costumi e da Luca Scarzella per i video, è parso gradualmente staccarsi dal contesto musicale, mostrando ancora una volta quanto il linguaggio delle proiezioni legato al melodramma, per elegante e suggestivo che sia (e forse proprio per questo) possa spesso risultare sibillino e ingannevole.
Gian Paolo Minardi