Pubblichiamo gli articoli sulla tournée italiana dei Berliner e di Claudio Abbado

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Tournée in Italia 2002
La Gazzetta di Parma, 9 maggio 2002


CLASSICA-Significativa tappa della trionfale tournée italiana di commiato

Abbado, palco di rose

A Ferrara con i suoi Berliner un tripudio «speciale»

Tra le tappe di questa tournée italiana che Claudio Abbado ha scelto quale suo commiato dall'orchestra berlinese, quella di Ferrara aveva senza dubbio un significato particolare, legato appunto alla città dove il direttore aveva potuto dar vita ad un progetto tanto stimolante quanto rigoroso come quello che ha alimentato «Ferrara musica», impresa cui la nuova «libertà» gli consentirà di dedicare ancor più impegno.
Ed il peso di tale predilezione lo si poteva ben cogliere l'altra sera, pur tra il fervore di quel successo esaltante che ha contrassegnato ogni tappa di questo «viaggio in Italia» che si conclude questa sera al Lingotto di Torino; tra il tripudio del pubblico che alla fine festeggiava Abbado e i magnifici esecutori berlinesi, in pochi minuti il palcoscenico del Comunale si è letteralmente coperto di rose.

Il programma, come spesso predilige Abbado, offriva una particolare incastonatura, nei primi anni del novecento viennese, con due opere che variamente ne riflettevano il clima inquieto, i Rückert Lieder di Mahler e il poema sinfonico Pelleas und Melisande di Schoenberg, opere pressoché contemporanee di due artisti che a quel tempo si guardavano ancora con diffidenza, prima di stringere un rapporto di reciproca stima, nel segno anche di una più che ideale continuità.

Un confronto quanto mai sollecitante, dunque, quello proposto da Abbado la cui educazione, va ricordato, è avvenuta principalmente a Vienna, con il peso anche di una tradizione interpretativa autentica che egli è andato poi distillando in rapporto alle mutate istanze della contemporaneità; il suo Mahler in effetti è sempre risultato liberato da eccessi di materia per ritrovare invece quella tensione che circola attraverso gli stessi contrasti stilistici, un Mahler tendenzialmente asciutto, come quello che anche l'altra sera di è potuto ascoltare, svelato in quella sua dimensione più intima che questi Lieder, zona di trapasso tra la visione panteistica delle prime Sinfonie e il più introverso percorso successivo, vanno evocando, quasi come confessione trepida di una disperazione che solo l'incanto e la bellezza riescono a velare, in realtà rendendola ancor più intensa e trafittiva. Che è quanto l'esecuzione dell'altra sera, affidata alla voce preziosa e sensibile di Waltraud Meier e cesellata da un gioco strumentale penetrante ha lasciato mirabilmente intendere.

Se in queste pagine si poteva percepire ancora lo strazio nostalgico di un mondo che il compositore andava lasciandosi alle spalle, nel Pelleas schoenberghiano Abbado ha lasciato ben intendere quali abissi ben più tormentosi, destabilizzanti addirittura, si aprissero nell'animo del giovane musicista che avrebbe poi segnato in maniera così originale le sorti della musica a venire; e quale diversa proiezione avesse assunto il dramma simbolista di Maeterlinck rispetto all'incantata rarefazione poetica della suprema rilettura debussyana (di cui Schoenberg pare fosse del tutto ignaro).

Apparentato solo nel gigantismo sinfonico a Mahler, Pelleas und Melisande (otto corni, cinque tromboni, quattro arpe?) sembra davvero l'estrema proiezione del grande sinfonismo romantico, esasperato nell'articolazione di una forma, ancora quella sonatistica, che si tende ai limiti delle sue nervature tonali per sfrangiarsi in una materia sonora ribollente, nella violenta screziatura timbrica. L'impulso straussiano - e fu Strauss infatti a dare al compositore la prima suggestione - si disperde subito, proprio nella materia che sembra perdere quella compiaciuta leggerezza per diventare più greve, a volte lutulenta, tormentata da contaminazioni impensabili, la materia di un quadro espressionista si direbbe, cui la straordinaria strumentalità dei «Berliner» e il dominio tanto stupefacente quanto naturale di Abbado nel gestire questo immane scatenamento hanno impresso un'eloquenza tanto avvincente che i quasi tre quarti d'ora, quanto dura la tormentosa vicenda sonora, sono trascorsi quasi in un baleno, lasciando stupefatto il pubblico; che poi ha liberato la propria emozione in un interminabile applauso.

Gian Paolo Minardi