"L'apoteosi"
303 rose del CAI non bastano a descrivere l'entusiasmo del pubblico romano alla fine del concerto storico dell'8 febbraio, storico perché segna il ritorno di Claudio Abbado in Italia, perché segna il ritorno dei Berliner, perché dopo le ansie dei mesi scorsi torna la gioia di tutti e di un pubblico legato da autentico affetto e non solo da ammirazione per Claudio Abbado, l'aumento del numero delle visite e delle lettere che riceviamo dal mondo intero sul nostro sito in questo momento lo dimostra, e perché tutto questo "
remet les pendules à l'heure" come dicono i francesi, cioè rimette le cose al posto giusto, cioè, il primo !

I SOLISTI (da La Repubblica dell'8 Febbraio)


Maurizio Pollini
Chiude il corteo di grandi pianisti, mercoledì 14, il leggendario Maurizio Pollini. Al 60enne solista è riservato l'attesissimo Concerto n. 5 op. 73 "Imperatore".

Gianluca Cascioli
Il giovanissimo pianista italiano (è nato nel ?79) torna a suonare con Abbado dopo il tour in Giappone. Per lui, lunedì prossimo, il Concerto n. 1 op. 15.

Evgenj Kissin
Domenica sarà la volta del 30enne pianista russo. l'ex bambino prodigio (debuttò in pubblico a 10 anni con Mozart) affronterà il Concerto n. 3 op. 37.

Martha Argerich
Dopo Brendel, toccherà stasera alla 60enne pianista di origine argentina affrontare i Concerti di Beethoven: a lei il n. 2 op. 19.


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Claudio Abbado a Roma

Roma: 8 febbraio 2001...prime impressioni

La Repubblica, 8 Febbraio 2001, cronaca di una serata

Vedere il programma completo previsto dalla RAI:
Speciale Abbado Festival

Una festa brillante e severa

Ieri sera, nell?Auditorium di Santa Cecilia il primo, attesissimo concerto dei Berliner Philharmoniker diretti da Claudio Abbado

LEONETTA BENTIVOGLIO

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ROMA Bravo, Maestro: l'attacco della serata è esclamativo, come un abbraccio stretto, caldo, serrato, con l'inno nazionale e quello europeo offerti entrambi in successione. Bravo, Maestro: i tempi teatrali sono meravigliosi. Arriva il Presidente della Repubblica Ciampi, frenetici applausi, tutto il pubblico è in piedi. Subito compare lui, Claudio Abbado, raggiante, senza tensione, di fronte all'orchestra dei suoi Berliner Philharmoniker, già tutta schierata in palcoscenico. Il gesto del direttore ha un'asciuttezza sovrana.
Fiato sospeso, per un secondo: si accendono fortissime le luci, pronte per la ripresa televisiva, ed ecco il via all'inno di Mameli nel generale tripudio. Dunque viva l'Italia, ma non basta.
Parte, come una repentina sorpresa, l'Inno alla Gioia della Nona Sinfonia di Beethoven: è questa la musica che celebra l'unità europea. Come dire: Beethoven è qui, Beethoven siamo noi, la cultura è di tutti, e la formidabile orchestra tedesca che sentirete suonare è anche la vostra, godetevela, ve la sto offrendo, vi sto dicendo che è la musica che detta al mondo le condizioni dell'amore. Bravo, Maestro: l'inizio è straordinario. E la fine sarà un trionfo colossale, con otto chiamate in palcoscenico per gli artisti e dieci minuti di applausi, dopo una Settima Sinfonia miracolosa, con la signora Ciampi in tailleur rosso scarlatto che s'alza per prima in piedi, insieme alla Melandri, per applaudire scatenata, e sembra non riuscire a trattenere l'emozione.
Così, in una sala dell'Auditorio di Santa Cecilia ferocemente affollata, traboccante, occupata in ogni ordine di posti, anche nello spazio del palcoscenico normalmente destinato al coro, ha preso il via ieri sera a Roma il Beethoven Festival, con Abbado e i Berliner, che sino a giovedì 15 eseguiranno l'integrale delle Sinfonie e dei Concerti per pianoforte e orchestra, e per l'occasione saranno accompagnati da cinque pianisti di notorietà stellare. Una rassegna di sei serate di musica a livelli di altezza inconsueta per Roma, che promettono di "ammalare" di beethovenismo febbrile lungo una settimana una capitale non abituata a tanto: musicalmente pigra, si sa, per tradizione e per assenza di spazi.
Per la sera d'apertura dell'"evento", una folla di spettatori senza sfoggio e senza appariscenza: nessun confronto con le toilettes sfavillanti di certi Sant'Ambrogio alla Scala, né con gli exploit e anche gli isterismi di tante serate di lirica.
Nessun tifo e nessun eccesso nello spazio riccamente addobbato come non s'era mai visto, con decorazioni di fiori bianchi e gialli in arrivo da Sanremo, proprio il comune del festival, così lontano da qui. Pubblico serio, concentrato nell'onda pura della musica, con un'identificazione e un rispetto palpabili. Presenti, oltre a Ciampi con la moglie, corso a salutare Abbado in camerino durante l'intervallo, Mancino, Violante, Visco, Maccanico, la Melandri, l'immancabile Cofferati, Susanna Agnelli, Bordon, Spaventa, Veronesi, Romiti, Rutelli, De Benedetti (il senatore), Scalfari, Bassanini. E ancora Carmen Llera (mancava l'annunciata bellezza di Monica Bellucci) e, al posto dell'attesissimo Benigni, la moglie Nicoletta Braschi in occhialetti da sole.
Il pianista star della serata di ieri era Alfred Brendel, impegnato nel Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra. Ingresso in scena memorabile: alto, impeccabile, un principe serio e ispirato. Poi alla tastiera, con gli occhi serrati dietro le grandi lenti degli occhiali. Lanciato, con i suoi consueti virtuosismi, nello svelamento del più misterioso tra i concerti beethoveniani, con tutto il suo apparato di autorevolezza, carisma, vigore e piccoli tic (il fremito rapido e continuo del mento, l'aggrottarsi ostinato della fronte, i cerotti alle dita). E naturalmente, alla fine, niente bis, come chi vola troppo in alto.
Segue la Settima Sinfonia, serrata, intensissima. E la conclusione di successo reiterato, di adesione convinta, racconta tutta la felicità di chi c'era.


La Repubblica , 8 Febbraio 2001, La critica

Un'interpretazione febbrile
per il trionfo del dionisiaco

E c'è il "doppio" Brendel: scontroso di persona, intimo e cordiale alla tastiera

MICHELANGELO ZURLETTI

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L'avvenimento musicale dell'anno è cominciato: Santa Cecilia ha aperto ieri sera l'attesa maratona beethoveniana. Ma bisogna dire subito perché è un avvenimento. Non lo è certo il nome di Beethoven né il corpo delle Sinfonie: autore e opere che ricorrono nel cartellone ceciliano tutti gli anni (e abbiamo anche avuto, per due volte negli ultimi anni, l'intera serie nelle prestagioni autunnali). Anche i Concerti per pianoforte compaiono spesso, pur se con minor frequenza. Se non è l'autore e non sono i titoli è ovvio che l'evento si spiega con gli interpreti. Che sono i Berliner Philharmoniker diretti da Claudio Abbado e, per quel che riguarda i concerti, pianisti di gran nome come Argerich, Brendel e Pollini, uno di fama più recente, Kissin e un giovanissimo molto promettente, Cascioli.
A fare l'evento, ancora, la successione quotidiana delle manifestazioni: concerti e sinfonie variamente mescolati ogni giorno. Da mesi ormai Santa Cecilia proclamava il tutto esaurito. Naturalmente con una quantità di richieste inevase. Il che vuol dire che non solo la Nona, la Quinta, la Terza e l'Imperatore avranno la sala piena ma anche i primi due concerti, la Seconda Sinfonia (bellissima) e la Quarta, ossia i lavori solitamente meno frequentati.
Ma a nostro avviso anche due altri elementi concorrono a formare l'evento: le prove mattutine aperte da Abbado agli studenti, con particolare riguardo per gli studenti del Conservatorio e i seminari (questi a pagamento) che le prime parti dei Berliner terranno per i giovani strumentisti romani. E non è chi non veda nei due casi due ghiotte occasioni per esperienze irripetibili.
La prima serata, intanto, ha sparato i titoli ghiottissimi della Settima Sinfonia e del Quarto Concerto (in più, per cominciare, l'Ouverture da Egmont). Un Abbado in gran forma, luminoso, come toccato da nuova ansia di vivere dopo i lunghi travagli estivi. E anche più stringato. I due movimenti estremi della Settima guadagnano entrambi almeno un minuto sulla registrazione effettuata con i Wiener. E se anche l'Allegretto si distende un po' rispetto all'edizione discografica, l'impressione rimane sempre quella di un'esecuzione molto stringata, febbrile, addirittura dionisiaca se pensiamo agli ultimi due movimenti.
In gran forma anche Alfred Brendel, bravissimo esecutore del Quarto Concerto. Un concerto profondamente rinnovato sia per quanto attiene la parte pianistica che nel rapporto del solista con l'orchestra. Tanto che alcuni movimenti sembravano del tutto nuovi (nuova era anche, per noi, la brutta cadenza del primo movimento: che però pare essere sempre di Beethoven; ma rimpiangiamo la solita). Curioso personaggio, Brendel, all'apparenza duro e scontroso e invece intimo e cordiale quando suona (e di quali intimità sia capace dice il movimento lento del concerto, quell'enigmatico Andante con moto che è uno dei movimenti più belli di Beethoven).
Gli dobbiamo negli anni passati alcune straordinarie esecuzioni sonatistiche di Haydn, Beethoven, Schumann. Siamo lieti di poter aggiungere all'elenco un'altra bella prova. Quanto ai Berliner, sono magnifici: e già l'Egmont era un'esecuzione strepitosa. Ma avremo tempo per riparlarne.
Il Corriere della sera , 8 febbraio 2001: La cronaca




Ieri a Santa Cecilia la prima delle sei serate dedicate al compositore. Brendel al pianoforte. In platea anche i presidenti delle Camere

Partita la «maratona» Beethoven, Abbado incanta Roma

Sobrietà e rigore Dopo l'inaugurazione nessuna cena ufficiale


ROMA - Quando Claudio Abbado si volta verso il pubblico, ha l'entusiasmo di un bambino felice sulla sabbia, socchiude gli occhi e chissà se il suo pensiero corre al grido di Dostoevskij: «La bellezza salverà il mondo». Il 68enne maestro milanese ha appena terminato di dirigere la scintillante Settima di Beethoven, nell'edizione critica da lui ora incisa, che sembra aderire alla sua pelle come le ninfee per Monet e i girasoli per Van Gogh. Abbado ama questa nuova benzina musicologica perché, raccogliendo materiale originale, concilia il rigore con le ali della fantasia e della libertà creativa. L'Auditorio di via della Conciliazione ieri all'apertura della «maratona» Beethoven (6 serate, tutte esaurite, con le Nove Sinfonie e i Cinque Concerti per pianoforte, ogni volta un solista, peso massimo diverso) era vestito a festa. Le prime note quelle dell'inno italiano e, come richiamo alla fratellanza, l?Inno alla Gioia, dalla Nona. Sanremo ha donato una cascata di gerbere bianche e gialle e strelitzie. Ad applaudire l'infallibilità di Abbado (è dovuto tornare da solo alla ribalta dopo che l'orchestra aveva rotto le fila), la magnificenza sonora dei Berliner, dove distingui tutti gli strumenti, e il pianista austriaco Alfred Brendel, con i suoi occhiali rettangolari anni '70, intellettuale, colto, pensoso, ci sono il presidente della Repubblica Ciampi, Mancino e Violante in rappresentanza di Senato e Camera, i ministri Melandri, Bassanini, Maccanico, Veronesi, Susanna Agnelli, Cesare Romiti, Cofferati, Nicola Piovani.
Non c'è spazio per la cornice mondana. Sobrietà e rigore. Ieri, dopo l'inaugurazione, nessuna cena ufficiale. Non tutti gli sponsor del festival (Telecom, Accenture, Ente Tabacchi Italiani, Deutsche Bank, Finmeccanica, Eni) hanno voluto organizzare ricevimenti. Il più sontuoso domenica per il pianista russo Evgenij Kissin, alla presenza della principessa asburgica Turn und Taxis, appartenente a una delle più vecchie casate europee.
Ecco il compositore Luciano Berio, presidente dell'Accademia di Santa Cecilia: «Abbado è un grande direttore e una persona eroica. Tutta l'energia che ha sprigionato gli viene dall?interiorità, è la musica che dà tutto questo, gli siamo molto grati. E' un evento anche per noi, che lunedì andremo col nostro complesso (la prima volta assoluta per un'orchestra italiana), nella sala dei Berliner». «Vi assicuro che questo ciclo è un'occasione unica anche per noi», dice Daniele Damiano, primo fagotto, uno dei 4 italiani dei Berliner. Claudio Abbado e i Berliner, per una settimana a Roma in compagnia di Beethoven, è davvero un evento: è la prima volta che una città offre l'intero arco espressivo di Sinfonie e Concerti beethoveniani, c'è il timbro dell'irripetibilità.
Il tour de force romano di Abbado prosegue subito. Stasera avanti un altro campione della tastiera: l'affascinante, imprevedibile Martha Argerich.

Valerio Capelli

Il Corriere della sera: prima (piccola) critica

Musica vivace e scalpitante lontana dall'omaggio retorico


Fin dalla prima sera una cosa è certa: questo ciclo non sarà un omaggio retorico al monumento Beethoven, con la mano sul cuore e le gote gonfie. Sarà un Beethoven sfaccettato, polimorfo, contraddittorio anche; molto più interessante e nuovo. I 5 pianisti non potrebbero essere più dissimili fra loro: iersera Alfred Brendel ha suonato il «Quarto Concerto» con molto understatement ed evitando ogni forma di enfasi. Certo gli altri 4 sgraneranno le successioni di «terze» con più scioltezza: la Argerich è una cinciallegra svolazzante, Kissin un virtuoso «flamboyant», Cascioli un ragazzo dotatissimo, e Pollini è Pollini. Cinque mondi diversi, che meriteranno un'attenzione diversificata da parte del pubblico. E vi torneremo in sede di recensione. Lo stesso Abbado cambia l'organico di Sinfonia in Sinfonia: Beethoven scende finalmente dall'altare della Patria (che aveva senso con Toscanini e Karajan)e diventa vivace, scalpitante, impertinente persino. E, fin d'ora: che meraviglia il finale dell'«Egmont», che luce, che scintille!
(f.m.c.)
Il Corriere della sera: prima (vera) critica

Abbado-Beethoven, una disperata felicità

Dirigere dopo i sessant' anni, senza più trattenere le energie



Freschezza e intensità hanno segnato l' esecuzione della «Settima»
Colombo Francesco Maria

Il celebre direttore a Roma con i Berliner Philharmoniker per il ciclo completo di sinfonie e concerti Abbado-Beethoven, una disperata felicità Dirigere dopo i sessant' anni, senza più trattenere le energie «Non eseguire Beethoven» era il titolo di un saggio famoso del più geniale fra i nostri musicisti-scrittori, Gianandrea Gavazzeni. Perché eseguire Beethoven, se ogni volta l' omaggio coincide con l' enfasi affermativa, con l' irrigidirsi dello stile sopra eterni canoni? E' un tema solo in apparenza provocatorio. Negli stessi anni in cui Gavazzeni si poneva la domanda, dall' altra parte del mondo (in Canada) Glenn Gould sceglieva di non suonare più in pubblico, di non sottostare all' apparato retorico del concerto. Oggi Beethoven, che per tre decenni è stato poco presente nei cartelloni delle istituzioni concertistiche, conosce un momento di grandissima popolarità esecutiva: a Salisburgo, per esempio, si sono ascoltati due cicli (Harnoncourt, Rattle) in poco tempo. Più che mai vale il monito «non eseguire Beethoven»: se non per ritrovarlo con una freschezza, un senso del rischio, un' intensità febbrile, una specie di annullamento della personalità dell' interprete nell' esultanza collettiva, come accade in questi giorni a Roma (a Santa Cecilia) grazie a Claudio Abbado e ai Filarmonici di Berlino. Abbado, l' unico direttore nella storia ad avere inciso le Sinfonie beethoveniane con i Berliner e i Wiener Philharmoniker, riapre ora le pagine con l' attitudine di chi abbia tutto da scoprire. Utilizza un' edizione critica (curata da Jonathan Del Mar) che è interessantissima per come ritrova legature, indicazioni di fraseggio, prescrizioni di dinamica dilavate lungo la tradizione. Adotta un organico ridotto per consen tire la trasparenza della polifonia (una trasparenza di colori freddi e puri, molto diversa rispetto alla trasparenza sfumata che otteneva Karajan), e pone in un rapporto nuovo le famiglie strumentali, con un rilievo strepitoso del timbro dei fiati, pungente, angoloso, frizzante. Questo consente, per esempio, di scoprire come certi tratti dell' anticlassicismo beethoveniano (le asimmetrie metriche, le sorprese del ritmo, i contrasti repentini di volume) ritornino sul parametro del colore orchest rale. Se non fosse così (e non è così in molte esecuzioni ampollose del passato e del presente), dovremmo ammettere che il «timbro» di Beethoven è meno originale del ritmo o della morfologia della frase di Beethoven. Tutto questo fa parte delle preme sse: come ne fanno parte l' accentazione persino violenta richiesta a volte da Abbado, ma soprattutto la varietà infinita dei tipi di accentazione; e naturalmente il senso della continuità e fluidità del discorso musicale, che procede secondo una dir ettiva conseguente che riesce ad essere, a un tempo, una sorpresa e una necessità. Poi, ed è la cosa più importante, c' è il dilagare dell' emozione. E' bellissimo come un direttore universalmente ammirato come Abbado ma considerato, semmai, un po' « freddo», a quasi settant' anni perda ogni prudenza, ogni calcolo del proprio ruolo: oggi, Abbado si lancia nella musica di Beethoven con una sorta di (possiamo dirlo?) disperata felicità. La luce bianca, che ad ogni ritorno del tema nel finale della Settima diventa più esplosiva e intollerabile, giunge alla fine a sovrastare direttore, orchestra e pubblico: è come se ci schiantassimo contro quel vortice di forza e di velocità; è una forma di ebbrezza che fa persino paura. Ci sembra che Abbado no n cerchi più di «trattenere» le energie: ne è il dominatore durante le fasi della concertazione, che si intuisce analitica e dettagliatissima; ma al momento del concerto ne è il suscitatore prodigioso. E qui tocchiamo un punto fondamentale, che si ri collega all' inizio. Wilhelm Furtwaengler, il direttore che Abbado dichiara essere «il più grande», diceva che la vocazione dell' interprete, in questo tempo alessandrino, coincide con un' «ingenuità ritrovata», l' emozione di chi abbia percorso tutt e le vie e letto tutti i libri e conosciuto tutte le aporie dell' esistenza, eppure torni a consegnarsi alla bellezza. Nel senso inteso da Furtwaengler, Claudio Abbado è oggi il più «ingenuo» dei direttori beethoveniani: per questo, il più grande.
Francesco M. Colombo