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Claudio Abbado a Roma

Roma: ...Il Corriere della Sera dice la sua...

Il Corriere della sera, 15 febbraio

Vedere il programma completo previsto dalla RAI:
Speciale Abbado Festival

Il suono innanzitutto: il senso di ogni nota tra energia e colpi di scena

I solisti, da Cascioli alla Argerich sono stati grandissimi Unico neo la vanità di Kissin


ROMA - Non ricordiamo un pubblico, in Italia, festeggiare un direttore d'orchestra come avviene in queste sere a Roma: qualcosa del genere accadeva con Karajan a Salisburgo. Eppure Claudio Abbado, quell'uomo magro che ogni volta, richiamato al proscenio quando l'orchestra se ne è andata, apre un sorriso disarmato e tenerissimo, non è il protagonista del ciclo ospitato a Santa Cecilia: il protagonista è Beethoven. Le Sinfonie e i Concerti pianistici tornano non per affermare la supremazia di un genio, ma per farci scoprire un universo multiforme, diramato in un'arborescenza fittissima a volte ma più spesso rada, luminosa e leggera. Le stesse pagine e melodie che riascoltiamo, nelle solite esecuzioni ripetitive, come echi della memoria nel presente, si fanno avanti da sole e dicono: eccomi. Prendiamo a farne conoscenza, e a poco a poco capiamo di non sapere nulla di loro. Sembravano statue immobili, e invece ci accorgiamo che respirano, fremono, scalpitano, sorridono, fanno l'occhiolino, seducono.
Qui sta il miracolo del ciclo sinfonico beethoveniano regalatoci da Abbado. Non saprei citare un solo passaggio in cui il grande direttore voglia «dimostrare» qualcosa o rivoluzionare la tradizione. Eppure tutto suona fresco, mattutino.
Il suono, innanzitutto. Grazie all'uso di infinite e infinitamente raffinate tecniche di emissione, esso è vario, morbidissimo dove necessario ma altrettanto brillante e iridescente. Si riesce a udire letteralmente ogni nota, ma anche a capire il senso di quella nota rispetto alle altre, la gerarchia interna, la funzione verso alla forma complessiva, il ruolo nel divenire della musica. Appunto, la musica vive, irraggiata da un'energia esuberante e rigogliosa. Gli stacchi di tempo e l'articolazione del fraseggio sono ripensati da capo, con esiti di travolgente bellezza (un esempio: il trio dello Scherzo della Seconda Sinfonia). E spalancano sorprese, colpi di scena, piccoli terremoti interiori, tutto quello che fa l'estro e la genialità di Beethoven. I suoi contemporanei ne erano persino spaventati, noi avevamo fatto l'abitudine: adesso si ricomincia da capo.
Ecco perché è Beethoven il protagonista: come sono snelle, flessuose, e ricche ciascuna del proprio carattere (e caratterino) le Sinfonie! Quello che ce le fa soprattutto amare è la loro grazia: Abbado assottiglia le linee senza perdere un'oncia della dolcezza del legato, e il profilo tematico beethoveniano (esempi supremi: il primo tempo della Quarta e poi l'ultimo, suonato con un virtuosismo davvero sovrumano; lo Scherzo della Sesta; il finale dell'Ottava) ne risulta ingentilito. È la grazia delle adolescenti, che comprende anche scontrosità e ruvidezze: ruvidezze adorabili. Ci siamo troppo abituati alle Sinfonie di Beethoven come a rispettabili matrone; più ci accorgiamo della loro grazia, più aumenta il loro mistero. Annullando l'enfasi, saltando in un colpo il cerimoniale, Abbado ci fa guardare negli occhi queste creature così belle, e lo sgomento ci fa inghiottire ogni parola.
I Filarmonici di Berlino, che oggi hanno una personalità inconfondibile e suonano con una disciplina, una serietà, uno smalto, una trasparenza e una potenza inarrivabili, sono tutt'uno con Abbado nel farci scoprire il mondo di Beethoven. E i solisti, a parte Evgenij Kissin che è uno straordinario virtuoso inutile (e che ha compiuto la scelta disdicevole di concedersi un bis), sono grandi: Pollini monumentale, Cascioli dolcissimo e fantasiosissimo, la Argerich semplicemente sublime, con un'elettricità, una finezza, una gioia di vivere nelle dita che non conoscono eguali. Ecco tutto: è fin troppo facile affermare che si tratta del più alto ciclo sinfonico realizzato in Italia negli ultimi decenni. Non lo facciamo perché qui non sono in gioco supremazie e primati; è in gioco la nostra vita, la totalità dell'emozione, la felicità turbata che la bellezza dona: quando usciamo dall'Auditorium, nella sera romana, vediamo colori nel cielo che non avevamo mai visto.

Francesco M. Colombo