LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°61

Miracolo di primavera

Guy Cherqui




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Assistendo al concerto straordinario offerto dalla Mahler Chamber Orchestra, da Martha Argerich e Claudio Abbado il 20 febbraio, mi dicevo, "ancora una serata miracolosa", e vorrei provare a cercarne le ragioni. Straordinario il programma, del tutto insolito, che mescola musica di camera per piccolo organico e concerto per pianoforte, che mescola gli universi di Prokofiev e di Hindemith a quello di Beethoven, un concerto dove Claudio Abbado lascia i solisti del Mahler Chamber Orchestra soli sul palcoscenico durante la prima parte, riservandosi solo il Beethoven, un concerto con niente meno che due maestri del pianoforte, Bruno Canino in prima parte e Martha Argerich in seconda parte, un concerto dove, per la prima volta, Martha Argerich suonava in pubblico il Terzo concerto per pianoforte di Beethoven in do minore op.37. Tanti elementi sorprendenti ed insoliti hanno dato questo risultato eccezionale.

Eccezionali i solisti della Mahler Chamber Orchestra, guidati da Antonello Manacorda e Bruno Canino, dove si nota in particolare Romani Guyot al clarinetto, Raymond Curfs imperiale alle percussioni nel pezzo di Hindemith, e Konstantin Pfiz, al violoncello, ben noto al CAI.

L’opera di Prokofiev è particolarmente idonea a mettere in luce i virtuosismi strumentali, al violoncello ed al clarinetto in particolare. La Kammermusik n°1 con finale 1921, di Paul Hindemith, che sarà anche eseguita a Lucerna il 23 agosto, con altri solisti, con il suo finale esplosivo, che ha provocato un trionfo di pubblico (come alla prima esecuzione a Donaueschingen), ricorda spesso Stravinsky; i dodici strumentisti suonano senza direttore (Abbado ha invece registrato la parte con i Berliner alcuni anni fa) e dimostrano con il loro virtuosismo, ma anche con il modo in cui ciascuno si ascolta, ciò che vuole dire fare musica insieme, e nello stesso tempo dimostrano anche da dove viene la coesione straordinaria di quest'orchestra.

Si sarebbe potuto credere che questa prima parte fosse piuttosto un aperitivo, che il momento forte della sera stava per arrivare, e invece questa prima parte ha aperto orizzonti molto stimolanti per futuri programmi, visto l'impatto che ha avuto sugli spettatori.

Il concerto di Beethoven era ovviamente molto atteso, da un lato perché un concerto di Martha Argerich è sempre un evento, e dall’altro perché Claudio Abbado non lo aveva più eseguito dai tempi di Vienna nel 2001 (con Kissin ed i Berliner), infine perché nulla era filtrato dalle prove, completamente chiuse al pubblico. Oggetto di una incisione, avremo presto la possibilità di potere ascoltare in CD questo pezzo mai suonato finora da Martha Argerich!.

Non è possibile dedicarsi ad un'analisi dettagliata di ciò che abbiamo sentito, mentre è possibile confidare al lettore ciò che più ci ha colpito in questa esecuzione. Già nel 2001 avevamo osservato il Beethoven di Abbado, un Beethoven interpretato alla luce delle ricerche di un Harnoncourt, molto segnato dal lavoro sulla musica barocca e sul Settecento. Ma il suono dei Berlinesi è così rotondo, così pieno, che alcuni effetti forse ci erano sfuggiti . L'acustica asciutta della sala di Ferrara, la prossimità dei musicisti dà ancora più valore al lavoro analitico di Abbado, che tira questo Beethoven verso un romanticismo per niente fiorito, ma all'opposto molto violento, contrastato, energetico, ma nello stesso tempo struggente, un romanticismo alla Goethe. I suoni appaiono netti, a volte taglienti, i pianissimi sono di una leggerezza che sembra impossibile ottenere da musicisti ordinari. Il nervosismo era evidente nel primo movimento, tanto alla tastiera che all'orchestra, nervosismo che il secondo movimento ha definitivamente portato via: l'interpretazione magistrale della Argerich, fatta di questa semplicità –apparente- che strappa lacrime, senza alcun ornamento, seguendo il testo ed il testo solo, il terzo movimento fatto come un vortice allucinante ripreso in bis ancora più acrobatico, con questo tocco leggerissimo di fantasia e d'ironia che dimostrava che ormai l'opera era là, nelle sue mani, e che eravamo alle soglie del miracolo.

Il miracolo ha avuto luogo: ha avuto luogo perché una volta di più con Abbado ed i suoi amici, c'è un'intimità palpabile negli scambi solista-direttore, negli sguardi, nei sorrisi complici, che partecipano dell'ambiente propizio ai grandi momenti, ed il pubblico si fa discreto, non si sente più tossire, muoversi, squittire, diventiamo i “voyeur” di ciò che avviene in scena . Fu la stessa sensazione che condividemmo a Salisburgo per un concerto Beethoven con Pollini nell’ aprile 2001, e fu anche quella una sera da leggenda.

Quindi, quando l'esplosione finale e la gioia evidente di tutti, musicisti e pubblico, è stata accompagnata dalla pioggia tradizionale di fiori del CAI, che sono andati ad ornare i capelli delle ragazze in orchestra e gli strumenti, compresa la tastiera del pianoforte, e quando Dioniso, ancora una volta, ha accompagnato il bis tutto fiorito che Martha e Claudio hanno offerto - una ripresa dell’ ultimo movimento nella sua totalità, ancora più vertiginosa e commovente, - tutto questo è suonato come un vero preavviso di primavera.


















































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