LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°64

L'uovo e la piuma

Guy Cherqui

Così fan tutte
Wolfgang Amadeus Mozart

Cecilia Bartoli
Fiordiligi

Magdalena Kozena
Dorabella

Kurt Streit
Ferrando

Gerald Finley
Guglielmo

Barbara Bonney
Despina

Sir Thomas Allen
Don Alfonso

Berliner Philharmoniker
European Voices

Sir Simon Rattle

Regia
: Ursel e.Karl Ernst Herrmann

Scene e costumi
Karl Ernst Herrmann

Osterfestspiele Salzburg
3 Aprile 2004



Menu principale




































































































































































































































































































Che gioia ritrovare Salisburgo dopo due anni di assenza, che gioia rivedere i luoghi, l’ambiente, di evocare ricordi indimenticabili, ma di constatare i cambiamenti e le evoluzioni, gioia di rivedere Michael Dewitte nelle veste dell’intendente giovane del Festival ma anche amarezza nel verificare, in questi luoghi fino all’assurdo, che il diritto di ascoltare le più belle voci del mondo e la più grande orchestra viene riservato alla cerchia stretta di privilegiati ricchissimi: si piange lacrime di coccodrillo sull’assenza dei giovani nelle sale da concerto, accusando radio, mancanza di diffusione, di pratica musicale, politiche culturali da elite, ma il primo motivo potrebbe essere l’accesso impossibile a spettacoli i cui prezzi danno vergogna solo a citarli . Finché la musica classica d’elite sarà grosso modo la cerchia riservata dei ricchi imprenditori e principesse in pensione, pubblico obbligato e qualche volta anche purtroppo incolto (come ce lo hanno dimostrato applausi intempestivi durante il finale del Così fan tutte – he si, anche nella Mecca mozartiana, Mozart non è cosi conosciuto !) , la classica sopravvivrà con la sola buona volontà di questi sponsors d’obbligo, e non dal gusto del più largo pubblico.

Meno male che Saliburgo riserva qualche posto a studenti, meno male direttori quali Boulez o Abbado aprono le prove, meno male che il prezzo di spettacoli “ordinari” rimangono pressappoco accessibili, ma insomma, che politica cieca!


Il programma degli Osterfestspiele 2004 è coerente assai: due opere di Mozart, una in version scenica , Così fan tutte, l’altra , Idomeneo, in versione concertante (data tra l’altro a settembre 2003 a Lucerna), un concerto monografico dedicato a Bartók e diretto da Pierre Boulez, un altro dedicato alla musica francese (Poulenc, Ravel, Debussy), e con contrappunto un pezzo di Thomas Adès compositore inglese amato da Sir Simon Rattle. L’anno prossimo sarà ampiamente dedicato a Benjamin Britten con l’opera “Peter Grimes” (invece dell’annunciato Porgy and Bess), mentre i concerti – il cui programma va da Mozart e Schubert a Ciostakovič – distilleranno diversi pezzi di Britten, con un contrappunto barocco che vede il Giardino Armonico invitato per l’ormai tradizionale settimo concerto : un programma originale, poco “popolare”, conforme all’immagine di quello che viene proposto a Berlino per allargare il repertorio.

Questa sera, la presenza nel cast di Cecilia Bartoli, ferita al piede e zoppicando leggermente, bastava a riempire la sala.

Mentre fuori nei saloni si proietta su schermi il progetto di rinnovo della “Kleines Festspielhaus” con il motto “Una Casa per Mozart”, privilegiando una sala da media capacità (1600 posti circa), si nota che Sir Simon Rattle non ha esitato a presentare “Così fan tutte”, opera considerata intimista, sul vasto palcoscenico del “Grosses Festspielhaus”.

L’acustica straordinaria della sala, il suono incredibile dei Berliner hanno dimostrato che la scommessa, da questo punto di vista almeno, è stata vinta! Al contrario di altre sale, il “Grosses Festspielhaus”, anche dai posti più lontani e più alti, favorisce una relazione di vicinanza assai stupefacente con la musica.

“Così fan tutte” è un’opera ben conosciuta da Sir Simon Rattle: l’ha inciso per la EMI (una versione assai interessante), e il Wanderer può mettere in questo modo in prospettiva la versione di Abbado ascoltata più volte qualche settimana fà, a febbraio e marzo, sul piano musicale e anche su quello registico.



Un uovo e una piuma, appesi ad un filo di bilancia, circondano il boccascena. Un uovo di pietra giace sul fondo del palcoscenico vuoto. Una piuma volteggiando cade dall’alto.

Tutto può cominciare.

Silenzio, buio totale. Un raggio di luce. Un uomo si avvicina, vestito da “Monsieur Loyal” (presentatore da circo), uscito dalla famiglia Adams. Sta nel mezzo del palcoscenico mentre esce da sotto, su una pedana installata al posto della buca del suggeritore una sorta di microlabirinto.

Tutto può cominciare.

Giovani in vestiti da sera, mascherati, tre giocatori di badminton nel fondo, due uomini, una donna (Dorabella?), un'altra che li guarda (Fiordiligi?). In primo piano, Ferrando e Guglielmo si allenano al fioretto, con Alfonso da arbitro, mentre vantano le qualità delle loro belle (La mia Dorabella…)

Tutto comincia.

In questa società dove si passa il tempo a perderlo come ad esempio nelle Terme o nei Club privati per giovani ricchi e oziosi , si gioca a scommettere sulla fedeltà. L’uovo ? la continuità, la fedeltà. La piuma ? Donna è mobile…Più si va avanti nel azione scenica e più la piuma pesa e trascina la bilancia.

Il palcoscenico: vuoto, laccato nero, un uovo gigante di pietra, due paraventi, qualche accessorio. Proiezioni di una natura abbondante prima a raso e poi che invada progressivamente il fondale. Su tutta la larghezza del palcoscenico, un passaggio in fondo, sotto lo spazio di gioco, da dove ogni tanto spettatori muti e mascherati guardano il gioco, come un coro antico onnipresente: si ritrovano al momento della partenza per la guerra, nel giardino, al matrimonio, al ritorno dei due eroi. Il coro non è più composto da falsi soldati o contadini, ma, sempre mascherato, sempre in festa, vagamente inquietante o diabolico, diventa la tribù , la corte mefistofelica di Don Alfonso. Mefistofelica anche la Despina, sorta di diavoletto col vestito strano, anche lui uscito dalla guardaroba della famiglia Adams, riferimento chiaro della coppia Alfonso-Despina, vestito color vino a corne da diavolo, grembiule/string da soubrette leggera, pettinatura fissata col gel con ciuffo in mezzo…Don Alfonso vestito da frac alla coda lunga, da clown, o da un vestito da camera lussuoso, Mefisto casalingo. Ferrando e Guglielmo da fiorettisti si vestono poi da Samurai, - bei movimenti scenici - accentuando cosi la vaga impressione giapponese data dall’allestimento scenico, dove tutto si fa all’aperto (dietro i paraventi i due uomini e le due donne si vestono e svestono). Le due donne sono vestite da bianco, da ragazzine perverse, una con calzette azzurre (Dorabella), l’altra con tacchi a spillo, poi con vestiti “twist anni 60” da adolescenti insopportabili . Si capisce che non si può prendere nulla sul serio, nel gioco degli scambi, e ben poco credibili sono le arie “smanie implacabili” o “come scoglio” cantate da ragazzine modello birichino con giochi di scena esageratamente esagerati di una Bartoli zoppicante o un drammatismo “fin de siècle” di una Dorabella che mima la fedeltà.La tradizione pero viene rovesciata: le due donzelle sanno tutto fin dall'inizio dello scherzo degli amanti, cadono consapevolmente nelle "trappole".

Nella più pura tradizione drammaturgia tedesca, lo spettatore è sempre costretto a decodificare le intenzioni brechtiane dei registi. Distanziamento, intellettualità, artificialità, tutto si legge in un gioco molto (troppo) marcato, come viene dimostrato dal modo in cui Thomas Allen articola il testo, masticandolo lentamente, spingendo su ogni suono, ogni sillaba, esagerando ogni silenzio in modo completamente antinaturale che contribuisce a instillare l’idea del teatro nel teatro, senza pero ingannare nessuno, visto che Dorabella segue ogni momento chiave della farsa, nascosta in un angolo o l’altro del palcoscenico: si gioca all’amore, al tradimento, alla sorpresa, al matrimonio, senza mai prendere qualcosa sul serio, neanche la musica visto che il continuo (Rachel Andrist) sta anche lui sul palcoscenico. Si fa sempre finta.

Il tutto sarebbe molto intelligente e molto stimolante se la regia produceva idee di qualità lungo tutto lo spettacolo. Purtroppo la metà del primo atto e quasi tutto il secondo soffrono di languore e di atonia! I cantanti a malapena occupano l’immenso spazio, e il secondo atto, reso più difficile per l’abbondanza di arie e di stasi nell’azione, manca della minima originalità. La tempesta che chiude il primo atto ci lascia soddisfatti, matrimonio e finale del secondo atto ci lasciano invece insoddisfatti dalla banalità delle situazioni: non si va mai fino a fondo.

La leggerezza proclamata da tutti è anche spesso una leggerezza di facciata, affermata, messa in evidenza ma anche torbida…C’è qualcosa di inquietante nel coro mascherato uscito da un universo alla Hoffmann, c’è qualcosa di pesante, a volta insopportabile, nei silenzi prolungati, sul palcoscenico e nella buca dell’orchestra: tutto sembra invitarci a vedere dietro il sorriso, ma si vede solo il vuoto ! I protagonisti non finiscono a letto tutti insieme come da Martone/Abbado, ma prigionieri dal labirinto evocato all’inizio, inghiottiti dal gioco stesso…

Questo lavoro degli Herrmann a chi si deve spettacoli ammirevoli quali la “Clemenza di Tito” o “Les Boréades” (A Salisburgo), non sembra pienamente convincente. E’ questa insoddisfazione non nasce del partito preso di stilizzazione e di problemi di occupazione del vasto spazio a disposizione; disturba invece l’impressione che tutto viene detto molto presto e che lo spettacolo non trova mai il suo ritmo, non respira abbastanza, e non risolve nulla: il tempo sembra lungo alla fine, a volte quasi noioso.

A questo spettacolo interessante assai nonostante tutto risponde un’orchestra non sempre coerente. Si ricorda come Rattle aveva sposato la regia delle Boréades (firmata dagli Herrmann), proponendo un’interpretazione danzante e scapigliata del capolavoro di Rameau. Non riesce a convincere nel Così fan tutte. Certo, bisogna assolutamente gridare, urlare l’entusiasmo e l’ammirazione sperduta per la performance dei Berliner in formazione ridotta (45 musicisti) in perfetta forma, il cui suono stupisce dalla sua purezza, la sua rotondità, la sua pienezza dai dettagli rivelati dalla chiarezza cristallina della lettura (e dove Rattle ha ovviamente la sua parte!) . Ma l’interpretazione di Rattle ci sembra un po’ “arretrata” rispetti a questo che abbiamo potuto sentire altrove. Non è che quello che ascoltiamo sia discutibile, ma fa riferimento ad uno stile un po’ superato, déjà vu. Malgrado l’attenzione a seguire il ritmo della regia (Ah! questi insopportabili silenzi!)e la dizione particolare dei cantanti, l’approccio musicale rimane molto tradizionale, un po’ lento, serio – anche serioso- (importanza smisurata data ai fortissimi, agli ottoni), un po’ troppo leccata, dove l’effetto si sostituisce alla profondità. In un certo senso Riccardo Muti negli anni 80 a Salisburgo andava molto oltre, dava una lettura più tagliente, per non parlare del pianeta Abbado, che fa dell’orchestra un autentico personaggio del dramma mentre Rattle accompagna il dramma senza mai entrarci. Il suono dei Berliner ci dà ebrezza, ci incanta come ai tempi di Karajan, ma ci porta indietro, non avanti, ci dà suono puro, ma non vita.

La compagnia di canto nell’insieme è superiore a quello che abbiamo sentito un mese fa con Abbado. Si può discutere a lungo sullo stile di Cecilia Batoli, con il suo modo assai volgare, un po’ ragazzaccia che dà a Fiordiligi un aspetto vagamente “spaccanapoli”; si può discutere una voce e un’emissione particolari, molto personali – che non mi convince -, ma non si può discutere la performance tecnica assolutamente perfetta, anche allucinante di acrobazia. Indiscutibile del tutto la Dorabella di Magdalena Kožená, trionfatrice della serata. Habemus Dorabellam!

Kurt Streit, dopo qualche difficoltà iniziale, esce con onore dalla parte micidiale di Ferrando, così come Gerald Finley, assai impersonale pero nei panni di Ferrando, voce di vetro puro stile anglosassone. Thomas Allen propone invece un Don Alfonso in gran stile, con rara eleganza: il testo viene pronunciato e proposto in modo ineccepibile, e rende perfettamente il personaggio ambiguo, diavolo da circo, ma pure inquietante. Non è il caso di Barbara Bonney, incapace di articolare l’italiano in modo accettabile, e che produce solo zuppa sonora.

Uno spettacolo interessante, intelligente, a volte sconcertante, un vero spettacolo da Festival, che pero non riesce a convincere del tutto.









































Le ultime cronache

Così fan tutte (Cronaca n°64)(Osterfestspiele Salzburg 2004)
Gli eredi (GMJO Tour) (Cronaca n°63)(Bolzano 2004)
Così fan tutte (Cronaca n°62)(Ferrara 2004)
Il miracolo della primavera (Cronaca n°61)(Ferrara 2004)
Così fan tutte (Cronaca n°60)(Ferrara 2004)
Abbado a Potenza (Cronaca n°59)
Cronaca di fine stagione (Cronaca n°58)
La Bottega di Abbado (Lucerna 2003)
Mahler Sinfonia n°2 (Lucerna 2003, Abbado)
Brandeburghesi magici (Lucerna 2003, Abbado)
Nascita di un'orchestra (Lucerna 2003, Abbado)
Il Wagner di Abbado (disco DG)
Trovatore ad Amburgo
(Marzo 2003)
La musica come fonte di vita (Abbado, Reggio E. Feb. 2003)
Serate ferraresi (Abbado, Feb.2003)
Wonderful Evening,
San Silvestro a Berlino
(Rattle, 31 dic.2002)

Seguire il Wanderer

Tutte le cronache del Wanderer

I luoghi della memoria

La memoria del sito

Saperne di più
sul CAI


Scriverci
(Per iscriverti, per prenotare)

e-Mail