ABBADO NELLA STAMPA La Repubblica
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I lettori di "Repubblica" con Abbado. Ora Parla Clément. Articolo 21 lancia l'appello Il direttore d´orchestra aveva denunciato il monopolio dell´informazione tv LEONETTA BENTIVOGLIO ROMA - La protesta di Claudio Abbado contro l´assenza di Arte dalla tivù italiana ha colto nel segno. Una messe di lettere, telefonate e messaggi e-mail alla nostra redazione è giunta a sottoscrivere entusiasticamente l´intervista che il grande direttore d´orchestra ha rilasciato lunedì scorso a la Repubblica, segnalando l´esclusione dai nostri teleschermi del canale europeo dedicato alla cultura e privo di pubblicità, e attaccando senza mezzi termini «il monopolio dell´informazione televisiva in Italia». Ora si sta ipotizzando, a partire dalla prossima settimana, l´apertura di un Forum d´interventi e iniziative in favore dell´introduzione di Arte in Italia (sul sito www.articolo21.com, che s´occupa di temi legati alla libertà d´espressione). (continua) Nel frattempo Jérôme Clément, presidente di Arte, dichiaratosi «felice della presa di posizione netta e forte di Claudio Abbado», ha accettato di rispondere ad alcune domande. Perché l´Italia è il solo paese dov´è impossibile ricevere Arte? «La nostra rete non è diffusa da Sky Italia. Tempo fa concludemmo una serie di accordi con la Rai, ma vennero applicati solo per pochi mesi, tra il 1996 e il 1997. Siamo venuti spesso in Italia, paese che amiamo molto, e nel ?98 abbiamo organizzato un convegno sulla cultura italiana a Parigi e sulla cultura francese a Roma. Resta comunque desolante il fatto di non poter essere visti nel vostro paese, e di non poter lavorare con talenti italiani, a parte eccezioni come Nanni Moretti o Mimmo Calopresti, dei quali abbiamo coprodotto i film». La rete ha una diffusione compatta in Europa? «È un canale di specifica identità europea, nel senso che s´interessa a tutto ciò che esiste e si fa in Europa. Un giornale della cultura rende conto tutti i giorni, alle 20, degli avvenimenti culturali europei. Eravamo presenti all´apertura della Fenice, come lo siamo ai Festival di Salisburgo, Aix en Provence, Avignone e Berlino. Ma seguiamo anche quel che accade in Russia, in Asia e nelle Americhe, per quanto riguarda il cinema e i documentari. Trasmettiamo in tutta Europa, e anche al di là, nel bacino mediterraneo e nel Caucaso. Ogni settimana siamo seguiti da dodici milioni di telespettatori in Francia e in Germania, a cui vanno aggiunti il Belgio, l´Austria, la Svizzera e ancora Israele, con 80.000 persone. Senza contare il Marocco, l´Algeria e la Tunisia. Si va in onda dalle 14 alle 3 del mattino, e produciamo il 70% dei nostri programmi». Che tipo di accordi avete coi vari paesi europei, a parte, ovviamente, l´Italia? «Il Belgio, l´Austria e la Polonia sono nostri membri associati, e in Svizzera, in Spagna, nei Paesi Bassi e in Filnandia le varie televisioni pubbliche hanno favorito la diffusione dei nostri programmi. Abbiamo una relazione molto fruttuosa anche con la BBC». È possibile riavviare una trattativa con la Rai? «Stiamo riprendendo i contatti per cercare di essere trasmessi in digitale. Abbiamo fatto di recente un´offerta concreta alla Rai, e non sappiamo ancora se le sarà dato un seguito. Perché un canale della tivù digitale terrestre non potrebbe essere dedicato a Arte? Perché i telespettatori italiani dovrebbero essere i soli in Europa a esserne privati? Dopo la creazione di Arte, nel 1992, non ho mai smesso di lavorare per trovare un accordo con l´Italia, anche se l´instabilità dei dirigenti e l´assenza di una chiara volontà politica finora lo hanno impedito».
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