PRAEMIUM IMPERIALE 
A CLAUDIO ABBADO

Corriere della Sera
23 Ottobre 2003



























































































































































































































































 

Abbado, un premio imperiale e una nota fuori posto


Il maestro ha ricevuto in Giappone il «Nobel dell' arte». Poi ha accusato Berlusconi per il conflitto d' interessi

Torno Armando

Nelle dichiarazioni che hanno preceduto la consegna del «Praemium imperiale» a Tokio, il direttore d' orchestra Claudio Abbado ha letto una dichiarazione sul conflitto d' interessi del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. È la prima volta che la politica viene evocata nei discorsi che fanno da corona a questo premio, una sorta di Nobel dell' arte, dedicato a musica, architettura, scultura, pittura, cinema e teatro. Quest' anno l' alloro vale la cifra di circa 118 mila euro. Che dire? Innanzitutto Abbado ha usato le parole dello scrittore tedesco Peter Schneider, poi ha sottolineato che «ci sono cose giuste, che vanno dette, che non sono né di destra né di sinistra». E dopo questa precisazione, il maestro Claudio Abbado ha continuato ricordando, tra l' altro: «Sono fatti importanti, non solo per l' Italia, ma nel mondo». Sull' importanza del conflitto d' interessi non aggiungiamo parole a quanto è stato detto nei dibattiti e nelle considerazioni delle forze politiche italiane negli ultimi anni. Possiamo solo ricordare che il problema è continuamente discusso e quindi c' è (assomiglia, per fare una battuta, alla sintesi di Cartesio: «Penso, dunque sono»); e che tale conflitto non fu risolto dalla sinistra a suo tempo come ora non lo è dalla destra. La dichiarazione di Abbado - passando oltre la pura questione politica - non ci stupisce. Non perché Abbado sia o no un uomo di sinistra, ma per il semplice fatto che la musica è l' arte più vicina alla politica che ci sia. Forse qualcuno si ricorderà lo scandalo che suscitò a suo tempo Maurizio Pollini (inizio anni ' 70, più o meno) quando prima di un concerto chiese di leggere una dichiarazione contro la guerra americana in Vietnam. Fece male, fece bene? Egli desiderava semplicemente anteporre alla sua esecuzione un problema più grande. Ora, questo è un esempio vicino a noi nel tempo e nei contenuti, ma potremmo enumerare tutti i casi che si desiderano. Cominciando da Wagner, che capì l' assoluta valenza politica della musica, via via risalendo la storia sino ai canti sacri. O, se vogliamo tornare in pieno ' 900, da Richard Strauss a Toscanini. Già, Toscanini. Il suo concerto di riapertura della Scala a Milano, dopo la Seconda guerra mondiale, fu la fine culturale del fascismo, una specie di certificato di morte con cui si voleva spegnere una certa visione del mondo. Claudio Abbado è uomo intelligente e di buone letture. Il conflitto d' interessi è un problema. Nulla osta che una grande bacchetta esprima un giudizio politico. Ma quello che ci lascia perplessi è la sede in cui lo ha fatto. Per una volta il celebre direttore d' orchestra ha evocato una nota stonata, o meglio ha commesso un peccatuccio di stile, che non ha giovato all' immagine stessa dell' Italia. Non si creda che la sede sia un fatto secondario. Una certa cosa detta in un posto o in un altro cambia completamente valore. Se, ad esempio, il presidente del Consiglio avesse fatto sapere ai cronisti durante una dichiarazione politica che Abbado ha diretto male il tal concerto, avrebbe commesso a sua volta un peccato di stile, del quale vi lasciamo immaginare le conseguenze. Certo, un artista ha forse più diritti, ma in ultima analisi anche più responsabilità nei confronti delle coscienze. In certe religioni la liturgia è più importante dei dogmi; se si elimina la prima i secondi possono anche trasformarsi in noiose verità inconsistenti, a cui nessuno è disposto a credere. Stimiamo troppo Abbado per permetterci un silenzio. Egli ha ricordato un problema che c' è. In un altro contesto avrebbe convinto di più. Non a caso Oscar Wilde scrisse in L' importanza di chiamarsi Ernesto: «Nelle questioni veramente importanti lo stile, non la sincerità, è la cosa vitale».
Armando Torno
























































































































































































































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