CLAUDIO ABBADO
DOTTORE
HONORIS CAUSA

Il Testo della Laudatio

Dinko Fabris




Potenza 2003

Le nostre foto
Il testo della Laudatio
Cronaca del Wanderer 59









































































































































































































 

Riportiamo il testo integrale della Laudatio letta dal Professor Dinko Fabris, della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università della Basilicata, nel corso della cerimonia di conferimento della Laurea honoris causa al maestro Claudio Abbado.

"Il concerto che Claudio Abbado ha diretto ieri sera qui a Potenza, nell'Auditorium "Gesualdo da Venosa" è una lezione di musica, di arte, di cultura che lascerà il segno in una regione emarginata dai grandi circuiti musicali, artistici e culturali europei. Sarebbe bastata questa lezione a giustificare la laurea onorifica che l'Università di Basilicata oggi attribuisce a Claudio Abbado, dopo i simili riconoscimenti giuntigli dalle Università di Ferrara, Cambridge e Aberdeen. Il rapporto che Claudio Abbado ha instaurato in questa occasione con la Basilicata si inserisce con coerenza in una vita di artista e di intellettuale totalmente dedicata alla ricerca di nuove frontiere e nuove prospettive. Sarà dunque utile ricordare le tappe salienti di questo percorso. Figlio di musicisti con una componente meridionale in famiglia, durante gli studi di pianoforte, composizione e direzione d'orchestra al conservatorio di Milano frequenta le lezioni di letteratura poetica e drammatica tenute da Salvatore Quasimodo, seguendo poi i corsi di perfezionamento dell'Accademia Chigiana di Siena e diplomandosi in seguito a Vienna in direzione d'orchestra con Hans Swarowsky, ottenendo l'anno successivo il suo primo premio come direttore nel concorso di Tanglewood negli Stati Uniti. Nel 1963 vince il Concorso Mitropoulos della Filarmonica di New York divenendo assistente di Leonard Bernstein. Quando ha già diretto le orchestre più importanti del mondo, nel 1968 gli viene affidata la direzione stabile dell'Orchestra della Scala e nel 1977 la direzione artistica del Teatro alla Scala, che manterrà fino al 1986. Nel 1979 è direttore stabile della London Symphony Orchestra. Nel 1984 è direttore della Staatsoper di Vienna, città di cui diviene direttore musicale generale nel 1987. Nel 1989 è eletto dai professori dell'orchestra più prestigiosa del mondo, i Berliner Philarmoniker, direttore artistico e principale, succedendo a Furtwängler e von Karajan: il nome di Abbado entra così a pieno titolo nella grande storia della musica. Intanto, dopo aver fondato varie orchestre giovanili, dal 1989 inizia la sua collaborazione stabile con la città di Ferrara, e dal 1994 diviene direttore artistico del Festival di Pasqua di Salisburgo, dov'era stato invitato per la prima volta da von Karajan. A Berlino intanto sperimenta la programmazione per "cicli", inserendo musica di diverse epoche accanto ai linguaggi artistici più diversi, privilegiando sempre la contemporaneità, come già aveva fatto nei lunghi anni di Milano e di Vienna, anche a costo di attirarsi critiche ingiuste e spesso preconcette. Dopo aver annunciato con largo anticipo di non voler rinnovare il contratto con i Berliner Philarmoniker dopo il 2004, Abbado ha compiuto nel maggio dello scorso anno la esaltante tournée con questo mitico organico, da Palermo (dove aveva tra l'altro inaugurato il Teatro Massimo dopo il lungo restauro) a Torino e Vienna. Come tutti ricorderanno, l'evento musicale più importante della scorsa estata ha visto ancora Claudio Abbado protagonista: invitato a dirigere la nuova Orchestra del prestigioso Festival di Lucerna, un riconoscimento che negli anni Trenta era stato rivolto ad Arturo Toscanini, Abbado ha formato un organico eccezionale, comprendente virtuosi che in passato erano stati prime parti dei Berliner Philarmoniker, i componenti del Quartetto Hagen, le prime parti della Mahler Chamber Orchestra e solisti di reputazione mondiale. E' questa probabilmente l'orchestra più perfetta che sia mai stata formata, essendo il risultato di un insieme dei più grandi solisti in attività. Tutto questo non considerando le tante produzioni operistiche per i teatri più prestigiosi, le innumerevoli registrazioni discografiche, i libri e le attività di utilità sociale e di impegno civile. Di fronte ad uno dei musicisti più importanti di tutti i tempi il nostro discorso rischia facilmente la retorica: Claudio Abbado è certamente il direttore d'orchestra italiano più importante del nostro tempo e la sua "carriera" (uso un termine detestato da Abbado, ma nel senso settecentesco di biografia artistica) onora il suo paese e tutti noi che crediamo nella cultura come veicolo di comunicazione e di scambio tra i popoli. Nel contesto che ci vede qui riuniti, proverò invece a mettere in luce alcune caratteristiche che accomunano la visione umanistica dell'arte di Claudio Abbado ai metodi della ricerca scientifica universitaria. Nella voce a lui dedicata da Edward Greenfield nel New Grove Dictionary of Music and Musicians, seconda edizione del 2001, ossia nell'enciclopedia della musica più diffusa ed autorevole nel mondo, Claudio Abbado è indacato come un caso ben distinto dalla tradizione "italiana" dei direttori d'orchestra. Le caratteristiche stilistiche che rendono la direzione di Abbado per la prima volta autenticamente "internazionale" trovano molti punti di contatto con la sua visione umanistica della cultura. Nei suoi scritti lo stesso Abbado ha più volte insistito sul fatto che il suo lavoro musicale riflette in realtà la sua "visione del mondo": "Poiché sono un direttore d'orchestra, il mio impegno è leggibile, spero, dagli ascoltatori particolarmente attenti, nei pezzi che scelgo e nel modo in cui li dirigo" (Musica sopra Berlino, 34). Inoltre "la musica può dare espressione alle idee, ai valori, alle emozioni, e può spingere la società a recuperare la fantasia e la fiducia" (id., 70). Il concetto di "fantasia" associata alla rigorosa indagine scientifica è in fondo il segreto della ricerca in tutti i campi del sapere, come provano le più grandi scoperte tecnologiche. Ecco come definisce il suo metodo Abbado, parlando delle sue programmazioni dell'ultimo decennio a Berlino: "scegliere di procedere per temi annuali significa credere nell'analogia, nell'associazione, nella metafora. Di conseguenza, accanto alla ricerca e agli studi più seri, bisogna lasciare libero corso alla fantasia. Ed è necessario, come Shakespeare ci insegna, tenere anche conto del contesto, del pubblico, delle personalità che partecipano" (p.117). E altre volte Abbado torna su questo "insieme di fantasia, libertà espressiva e indagine rigorosa che da sempre considero indispensabile per la musica" (p.18). Questa peculiare e coerente scelta metodologica del fare cultura di Claudio Abbado, emerge con chiarezza non soltanto nelle innumerevoli incisioni discografiche, ma anche nei suoi scritti, non abbondanti ma tutti acutissimi. Fino a pochi anni fa unica fonte per ricostruire il pensiero teorico di Claudio Abbado erano le interviste, rilasciate solo eccezionalmente e in presenza di interlocutori particolarmente sensibili (Abbado non ha mai amato lo star-system e i metodi della costruzione di immagine attraverso i mass media). Dopo aver prodotto nel 1986 La casa dei suoni, un libro di avvicinamento alla musica classica per bambini, nel 1997 uscì la prima edizione del suo libro Musica sopra Berlino, scritto in forma di dialogo-intervista con la musicologa Lidia Bramani, di cui una nuova edizione allargata ed aggiornata è uscita per Bompiani nel 2000 ed è tuttora in commercio. Se ne avessimo bisogno, potremmo considerare questa la dissertazione di Claudio Abbado che riflette la sua peculiare metodologia critica e la sua "visione del mondo". Il titolo è ovviamente un omaggio al capolavoro cinematografico di Wim Wenders, Angeli sopra Berlino, del 1987, con un voluto richiamo alla miracolosa fioritura culturale nella Berlino del dopo muro in cui Abbado si trovò ad operare come protagonista e non semplice osservatore. Da questo libro, che richiama in qualche modo anche lo spirito delle conversazioni di Igor Stravinski con Rober Craft o la Poetica della musica del compositore russo, saranno tratte in gran parte le nostre osservazioni e citazioni. E' tuttavia indicativo che si siano moltiplicate in questi ultimi anni le iniziative editoriali intorno a Claudio Abbado, come omaggi o riflessioni collettive. Citerò soltanto l'album "Abbado" pubblicato dalla Associazione De Sono di Torino lo scorso anno e soprattutto la raccolta di saggi Claudio Abbado Dirigent, pubblicata a cura di Ulrich Eckardt in tedesco dalla Nicolaische Verlagsbuchhandlung in occasione dei 70 anni del Maestro e tradotta in questi giorni in italiano dal Saggiatore di Milano. Tutti i 12 saggi contenuti in questo volume costituiscono percorsi preziosi per conoscere ed approfondire la personalità di Claudio Abbado direttore e studioso, in particolare il primo dello stesso curatore Eckardt, in cui sono acutamente evidenziati comportamenti ricorrenti di Abbado che ne rivelano la coerenza metodologica. Dall'insieme degli scritti e delle testimonianze disponibili, abbiamo provato a ricavare altri elementi utili ad illustrare la visione "umanistica" della cultura di Claudio Abbado.Gli scritti di Abbado sono pervasi dal ciclico tornare di alcuni concetti o parole chiave, che possiamo utilizzare come segnali interpretativi del suo sistema metodologico. Per esempio il ricorrere di termini come "Ho scoperto", "Non dico cos'è la meraviglia", "mi ha sorpreso" e poi "noi ci entusiasmiamo": la capacità di sorprendersi e di farsi sorprendere è una rara e preziosa attitudine umanistica senza la quale la ricerca scientifica semplicemente non potrebbe esistere, almeno come si è andata codificando in Europa da Galileo in avanti. Nelle sue parole: "La mia cosiddetta carriera è sempre stata un viaggio di esplorazione, di scoperta" (Eckardt, p.27) La scoperta si collega alla propensione di Claudio Abbado a lavorare con i giovani. Come il protagonista di un celebre ciclo di romanzi di Mutis, Bashir il "sognatore di navi", Abbado è un "sognatore di orchestre". Solo che lui le orchestre le fonda realmente e le sostiene poi sempre senza mai abbandonare uno solo degli orchestrali che le compongono. I casi più vicini a noi sono quelli della Chamber Orchestra of Europe, poi della Mahler Jugendorchester ed infine della Mahler Chamber Orchestra: da queste esperienze, secondo i primi contatti, potrà nascere anche in Basilicata una sede per i corsi di alto perfezionamento orchestrale della Accademia Mahler che aveva finora due sedi italiane, a Bolzano e Ferrara. Abbado ha sempre considerato importante lavorare con giovani musicisti provenienti da nazioni diverse. Come dice lui stesso: "Per me è un rapporto importante. I giovani si avvalgono della mia esperienza e, non essendo ancora ostacolati da problemi economici e sindacali, possono dedicarsi totalmente, con grande amore, alla musica. Lavorare con i giovani ti porta a guardare verso il futuro, a rifiutare l'immobilità delle abitudini e dei modi di pensare" (p.94) Ecco un pensiero che si colloca perfettamente nella tradizione dell'insegnamento universitario, dove il contatto tra i docenti e i giovani studenti è la garanzia prima del rinnovamento di energie vitali per la ricerca. Oltre a sognare orchestre Abbado come un Odisseo dei suoni, autentico Wanderer, continua a sognare territori inesplorati: viaggi in genere scomodi perché non battuti, non prevedibili ma proprio per questo rendono il piacere della scoperta. Tutta la carriera di Abbado è fatta di viaggi di questo tipo, di esplorazioni ai limiti del conosciuto e spesso del frainteso. Si pensi alle prime esecuzioni di Manzoni, Nono, di tutte le avanguardie del Novecento in genere, in una fase in cui queste non erano accettate nei cosiddetti templi della musica classica. Ma le esplorazioni avvenivano anche all'interno di un repertorio in apparenza ormai standardizzato, come quello romantico di Schubert, Brahms, Beethoven, e poi nell'opera lirica, da Rossini a Verdi, a Mozart e Wagner. Poi i rapporti con le altre arti, con i pittori, con gli scrittori e i poeti, con gli attori e i registi, perfino di cinema: pensiamo a Tarkovskij o a Olmi. Ma pensiamo anche ai nomi di Strehler, Ronconi, Peter Stein, Peter Brook, e alla sua dichiarata ammirazione per Greeneway. Da una fase all'altra, l'esplorazione ha coinvolto la musica antica, sempre più indietro fino a Monteverdi - straordinario Combattimento di Tancredi e Clorinda con Abbado al cembalo - e da ultimo, recentissimo, lo scavo alla ricerca del significato del più enigmatico musicista di fine Rinascimento, Carlo Gesualdo da Venosa, che porta Claudio Abbado in Basilicata. Questi recuperi avvengono in una chiave che possiamo definire nel metodo e nella rigorosa impostazione come "filologia musicale". Ma non si tratta per nulla di un recupero archeologico purista, bensì dipendente da una convergenza di più codici. Alla base vi è un frame che privilegia in Abbado la visione della musica in un determinato contesto sociale o forse meglio definito "urbano". La musica è in relazione con la città o con un territorio. Non per nulla si è detto più volte che Abbado si è trovato sempre al posto giusto nel momento giusto: ma forse è stato lui stesso con la sua presenza a creare il momento giusto: alla Scala di Milano ha aperto il teatro al nuovo e nuovo pubblico; nella capitale della conservazione, Vienna, ha usato la Nuova Musica come iniezioni di adrenalina; per Berlino ha agito quasi come seguendo un progetto di rinnovamento urbanistico e non solo artistico; Ferrara è uscita dallo splendido isolamento di cittadina d'arte somma ma di periferia divenendo con la sua Mahler una capitale musicale europea. Ci sarà un caso Basilicata dopo questa sua esperienza? Non è escluso, anche se la città parte male, se restiamo al metro di valutazione abbadiano del grado di civiltà musicale di una città calcolabile dalla lunghezza dell'intervallo di silenzio tra la fine di un brano e lo scoppio dell'applauso del pubblico: Berlino vinse il confronto con l'interminabile silenzio dopo la fine della Nona Sinfonia di Mahler. Anche se non possiamo entrare nel problema sconfinato dell'interpretazione, dovremo almeno sottolineare l'aspetto più rigoroso dell'interprete Abbado: la sua visione - come abbiamo riferito, assai diversa dalla "tradizione direttoriale italiana" - è basata su un approccio analitico del testo musicale. In questo si riconosce una scientificità del suo metodo di studio e di ricerca, alla base di una interpretazione che naturalmente non prescinde dalla sensibilità e dalla passione. Collegata a questa profonda capacità analitica è la ricerca degli strumenti filologici collegabili alla esecuzione. Ciò avviene per Abbado nel repertorio di tutte le epoche e non, come ci si aspetterebbe, soltanto per la musica più antica. Casi assai ben conosciuti sono il suo recupero dei testi originali di Rossini (Viaggio a Reims, Cenerentola) Verdi (Simon Boccanegra, drammi shakespeariani), Debussy (Pelleas et Melisande); il caso di Monteverdi (ma anche Orfeo con Pergolesi e i Napoletnai del Settecento). Infine, il nuovissimo caso Gesualdo. Tralasciamo tra le tante possibili diramazioni del pensiero critico di Claudio Abbado, tanti aspetti fondamentali, soprattutto del suo pensiero "estetico". Non è possibile tuttavia tralasciare il "pensiero etico" di Abbado, che si collega ad un principio della circolarità della storia basata sulla memoria che è, forse inconsciamente, un personale recupero di Vico. Claudio Abbado, pur rifuggendo da ogni facile proclama ideologico, non ha mai nascosto il programma socialmente attivo insito nelle sue scelte artistiche: "Sono portato a rovesciare una credenza diffusa: non è la ricchezza che produce civiltà, ma la civiltà che produce ricchezza... Non è un caso che proprio i paesi che credono maggiormente nella cultura siano i più ricchi...Chi ha fiducia nella cultura è capace di anticipare il futuro in tutti i sensi e sotto tutti i punti di vista. Purtroppo è la norma pensare il contrario: che sia la ricchezza a permettere alla cultura di crescere e di diffondersi, come se si trattasse di un oggetto di lusso o di rappresentanza..." (p.66) Dopo la prova del concerto di ieri mattina, qui a Potenza, Abbado ha voluto incontrare un gruppo di giovani musicisti ed in particolare di neodiplomati in direzione d'orchestra che gli hanno chiesto come poter avviare una attività di direzione in una situazione difficile come quella meridionale: il Maestro ha risposto che non servono soldi né aiuti ma soltanto un piccolo gruppo di amici musicisti disponibili a suonare, basta usare prima un quartetto e poi aggiungere qualche strumento e la base di una orchestra è fatta. Questa apparente utopia è invece l'ossatura della visione umanistica di Claudio Abbado. "Nuotare incontro al sogno", titolo di un saggio di Nike Wagner citato nel volume La musica sopra Berlino, può adattarsi bene anche al nostro incontro di questi giorni in Basilicata con Abbado. Il sogno è forse la comune utopia del non arrendersi alla trionfante e sprezzante ideologia della non cultura, soprattutto in Italia. Il nuotare è la visione simbolica dell'acqua che aveva cominciato ad attrarre Abbado durante i cicli berlinesi, con i miti greci, poi Wagner. Oggi è l'acqua di Basilicata e il sogno di arrivare un giorno a comprendere la segreta arte nascosta nei madrigali del Principe di Venosa. Grazie Maestro Abbado"".






































































































































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