EDITORIALE

Ma siamo proprio noi..


Attilia Giuliani












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Ma siamo proprio noi i “Travolti dal caro-Abbado” , ho pensato di primo acchito, vedendo il titolo del Sole-24 ore di domenica 3 ottobre 2004!!! Travolti, non c’è dubbio, lo siamo ormai sempre, ad ogni concerto ci lasciamo volentieri travolgere, trasportare dalla musica che Claudio Abbado così magistralmente e magicamente interpreta; caro-Abbado, certo, chi ci è più caro di lui, a parte gli affetti familiari e gli amici fraterni? E poi, non lo nascondo, il doppio senso mi era già balenato, prima di leggere oltre nel testo dell’articolo; più di una volta abbiamo pensato e ironizzato: “Claudio, quanto ci costi!!!” Ma queste sono scelte, e non c’è miglior spesa per noi, senza rimpianti, che quella di concederci un posto comodo anche se caro, quando decidiamo di trattarci bene e di ascoltare da un buon posto di platea un concerto che sappiamo già che ci darà qualcosa di nuovo, qualcosa che ci scuote dalla routine, che ci fa pensare, sognare, come una terapia nel nostro vivere quotidiano spesso pieno di insoddisfazioni, frustrazioni, disagi! Del resto c’è chi spende senza batter ciglio 150 euro per una cena, per un posto allo stadio, per una giocata quasi sicuramente perdente al casinò, per una maglietta firmata persino, etc etc. E poi se vogliamo risparmiare ci sono sempre posti a buon mercato, a Ferrara, a Berlino, a Firenze, a Vienna, a Lucerna, come a Bologna la settimana scorsa (10 euro in balconata, e forse si sentiva meglio che dalla platea).

Questi i pensieri che mi hanno attraversato la mente, prima di leggere bene l’articolo; ma la solita inguaribile ingenua che sono io e che al primo momento si era divertita, ha dovuto presto prendere atto riga dopo riga che il testo di Carla Moreni era velenoso anziché no, scritto in modo da distorcere la verità e con volute mistificazioni che non sta a noi ribattere e confutare (ci penserà chi di dovere). Ma una cosa è offensiva per noi, “le solite facce, presenze fisse ai concerti di Abbado”, come siamo stati definiti (insieme ad altri, ovviamente, che non necessariamente sono iscritti al Club); non siamo affatto persone che accorrono per presenzialismo o perché si sentono parte di un clan, di una élite, che deve perpetuare i propri riti ogni volta che se ne presenta l’occasione. Siamo sensibili al richiamo della cultura e al fascino che la grande musica sa dare e per questo siamo disposti a sacrifici di ogni tipo (giorni di ferie utilizzati per assistere a un concerto, viaggi disagiati, e anche sacrifici economici perché abbiamo messo la musica di alto livello come prioritaria rispetto ad altre cose che altri, con diverso criterio, giudicano meritevoli di spese ben maggiori: basti pensare all’insulto di abiti dal costo proibitivo che la moda ci presenta ogni settimana, anche dalle pagine del più progressista e politically correct dei giornali…). E poi come fa ad essere bollata come operazione di mero business l’ iniziativa di un’orchestra pensata per mettere dei grandi professionisti d’orchestra o solisti accanto a nuove leve (e già questo giustificherebbe la definizione di orchestra di formazione) che non possono che trarre beneficio dal lavorare insieme a chi è più esperto, un po’ come successo per l’Orchestra del Festival di Lucerna, i cui esiti nessuno può disconoscere? Considerare la cosa un business implicherebbe che si tratti di operazione economicamente redditizia; ma la cultura difficilmente produce reddito ed è giusto che una società evoluta impari a ritenerla una cosa necessaria che ha bisogno del sostegno del governo e di chi è in grado di investirvi del denaro, con un ritorno che sia puramente d’immagine. E quindi se così fosse la spesa di 100.000 euro per il concerto bolognese (ma le cose non stanno come è stato scritto!) lamentata dall’autore dell’articolo, sarebbe semplicemente un investimento per redditi maggiori futuri! Ma non è così; i grandi nomi come Claudio Abbado hanno il potere di attirare a sé energie intellettuali di persone capaci di gestire e attuare piccoli e grandi progetti culturali e poi anche di attirare i capitali necessari per la loro realizzazione! Cosa c’è di male in questo? E dove sarebbe il business? Chi ci crede e aderisce a queste idee non fa certo una scommessa per moltiplicare il suo capitale impegnato in queste imprese! Sta scritto: Non di solo pane… E meno male che c’è qualcuno che la pensa così ! Tutto l’articolo dà l’impressione di un’astiosa presa di posizione contro una persona eccezionale, che è capace di catalizzare attorno a sé persone, idee, progetti, risorse e che fino ad ora ha raccolto solo successi e riscontri positivi dalle sue iniziative, perché il suo segreto è credere nelle cose fino in fondo, è servire la musica e non servirsi della musica per la propria gloria, come altri invece fanno. E questo viene percepito sia da chi ha la fortuna di lavorare con lui (sì, proprio da chi fa musica insieme a lui, espressione su cui si ironizza nell’articolo; e, per inciso, scusate, ma anche se costui fosse pagato bene per far bene la musica, non pensate che ciò sia bene, quando un calciatore o una modella guadagnano 100, 1000 volte di più ?!?!?!), sia da chi sta dalla parte dell’ascoltatore, del pubblico, a cui la musica deve arrivare, non solo come un insieme di suoni, ma come un’architettura in grado di aprire almeno in parte, agli spiriti capaci di recepirla con animo puro, il segreto dell’esistenza. Noi ci sentiamo questo tipo di ascoltatore, quello che ha l’animo puro, non astioso, capace di ascoltare e gioire. E continueremo a farlo, nonostante i veleni profusi!

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