EDITORIALE

La Scala riapre












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La Scala riapre.

Dopo 4 anni di restauro, la Scala riapre e per tutti gli amanti della musica, di questo teatro, e in particolare per tutti gli abbadiani, è fonte di gioia impaziente il ritrovare il “loro” teatro. Molti di noi sono arrivati alla musica o alla lirica frequentandone il loggione, spesso quando Claudio Abbado ne era il direttore musicale. La loro “vita per la musica” è stata segnata dalle vicende scaligere, qualche volta delusioni ma anche spesso scoperte o semplicemente gioie nate dagli spettacoli visti nella sala del Piermarini,. Questa felicità vale in primis per i milanesi che ritrovano il loro teatro, ma vale anche per gli altri, per coloro per i quali il Teatro alla Scala rimane uno dei luoghi dove soffia uno “spirito” particolare, imparagonabile con altri Teatri (con la notevole eccezione del Festspielhaus di Bayreuth). L’agitazione mediatica delle ultime settimane attorno all’avvenimento non è altro che la traduzione nei giornali della nostra curiosità, della nostra allegria, della nostra impazienza a scoprire il nostro teatro di nuovo aperto al pubblico. Ringraziamo dunque tutti coloro che, lavoratori, artisti, politici, dirigenti, hanno ideato questo restauro, e soprattutto che hanno permesso che fossero rispettate le scadenze!

Non vogliamo entrare nella polemica architettonica: ogni scelta ha i suoi seguaci e i suoi nemici, non ritengo Mario Botta un grande maestro di oggi, ma la sua scelta non mi sembra del tutto assurda, e uno dei suoi critici, l’architetto Vittorio Gregotti, ha consegnato alla città un teatro (gli Arcimboldi) certo tutto sommato efficiente, ma non particolarmente originale né esteticamente interessante.
Foto Teatro alla Scala

Se il teatro funziona, se la sala ha ritrovato il suo antico splendore, saremo felici. Certo la macchina teatrale concepita dal Piermarini è stata sostituita, ed è molto triste, ma c’è adesso un palcoscenico moderno, che permette sicuramente un’alternanza di più spettacoli, più titoli, e più possibilità tecniche…Ci sarà nostalgia, di sicuro, ma il Teatro deve andare avanti.

Dunque accogliamo con ottimismo questa nuova Scala, o questa versione XXI secolo della nostra Scala, così cara al nostro cuore.

Ma questa riapertura in grandissimo stile ci spinge ad una riflessione più profonda, in forma di bilanci, e di interrogazioni sul futuro. Ce lo suggerisce l’opera in programma, l’Europa riconosciuta di Salieri, che inaugurò il nuovissimo Teatro alla Scala, 226 anni fa. Scegliendo questo titolo, il maestro Riccardo Muti desidera sicuramente indurre l’idea che si tratti nel 2004 di una nuova fondazione, di una nuova era, di qualcosa di paragonabile alla letterale rinascita del Teatro: e sia!

Però per forza ci rimangono dei dubbi sulla scelta artistica di un’opera nata 226 anni fa senza mai essere ripresa neppure alla Scala…Ci sarà una buona ragione, forse si tratta di un’opera drammaturgicamente e musicalmente poco significante ma spettacolare assai da impressionare il pubblico (come sembra confermare Luca Ronconi nell’intervista rilasciata a La Repubblica), e dunque di una specie di operazione “paillettes”. Mettere sotto questo segno superficiale la “rifondazione” simbolica di un teatro mi sembra un po’ azzardato tanto più che l’opera nata e morta 226 anni fa è curata da un team regista-scenografo pur famosissimo e di altissima qualità, ma che regnava (in quanto “coppia artistica”) sui teatri negli anni settanta…Cioè tutta la scelta artistica così simbolica di questa serata si fonda sulla nostalgia e sul passato, glorioso (Ronconi, Pizzi) o no (Salieri) del teatro. In un’occasione così forte, una scelta più orientata sul futuro sarebbe forse stata più opportuna, anche per dare un orientamento al progetto artistico.

Ma nessuno ancora ha parlato del progetto artistico che c’è (o dovrebbe essere) dietro il restauro del Teatro. E questo ci preoccupa. Non possiamo pensare che tutto questo denaro sia stato speso senza un pensiero per quanto minimo sul futuro: Milano ha ormai due teatri d’opera funzionanti, la Scala e gli Arcimboldi, e l’amministrazione del teatro dovrebbe gestire una doppia programmazione. C’è un silenzio assordante su questo futuro. Tutti parlano del 7 dicembre, ma nessuno del dopo.

Questa assenza di progettazione artistica colpisce di più ancora se si fa il bilancio degli anni recenti: a livello artistico, tanti titoli, ma pochi grandi spettacoli che abbiano segnato la storia del Teatro e in grado di ricordarci momenti magici come quelli vissuti nel periodo precedente.

A livello musicale, pochi grandi direttori (in 18 anni…), a livello programmatico, una linea poco, anzi pochissimo lineare , da quando il bravo Cesare Mazzonis se ne andò. La successione disordinata di tanti direttori artistici, scelti per la loro duttilità, l’assenza di coerenza, mirando prima sul classicismo, poi sui grandi titoli, poi su un mix di scelte dando l’idea che non c’era armatura vera nel pensiero della direzione, è sfociata nell’assenza pesante di produzioni rilevanti del Teatro alla Scala nel panorama dei teatri lirici internazionali, per mancanza di proposte artistiche stimolanti e di politica iscritta nella continuazione, e nella presenza del teatro nel solo mondo del turismo e dell’immagine.

Nel vuoto di proposte culturalmente e socialmente valide (la politica della Scala verso il territorio si è impoverita) e davanti ad una politica artistica al minimo irregolare (ricordiamo tra l’altro l’immagine perlomeno pietosa della Tetralogia, il Don Carlo contestatissimo e molte prime di livello discreto ma non eccezionale -come l’Ifigenia di due anni fa), sono scoppiate le rivalità interne, ancora recenti, con soluzioni che non sembrano avere finora prodotto un miglioramento delle proposte.

L’ultima “riapertura” della Scala, molto più simbolica e importante per l’Italia, nel 1946, in un momento in cui il paese era a terra e usciva dal fascismo, fu simbolizzata dal ritorno di Arturo Toscanini, dopo anni di esilio volontario negli Stati Uniti: questa riapertura segnava nuovi tempi, e questa ricostruzione indicava la direzione da seguire al paese. Di fronte a questi ricordi, ridimensioniamo il 7 dicembre 2004, pur importante, ma che rimane comunque solo una riapertura dopo un restauro “tecnico” del Teatro non motivato da eventi terribili, una guerra o anche - come alla Fenice – un devastante incendio.

Nonostante il nostro sguardo senza dubbio contrastato sulla produzione attuale della Scala che davvero rende triste molti spettatori, tra cui molti arrabbiati per gli attacchi al loggione, ultimo segno vivace della tradizione in un teatro poco reattivo, il Club Abbadiani Itineranti augura sinceramente al suo Teatro alla Scala versione 2004 un futuro davvero splendido, segnato da nuove scelte coerenti, da serate indimenticabili, da trionfi da far crollare il neorestaurato teatro (l’ultimo autentico trionfo è stato, se non erro, l’Otello diretto da Carlos Kleiber nel 1987), e dal ritorno sul podio un giorno non lontano di chi sapete….

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