LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°68

Tellurico
I concerti di Claudio Abbado a Berlino

Guy Cherqui

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Berlino 2004



































































































































































































































































































Il ritorno di Claudio Abbado sul podio della Philharmonie, a capo dei Berliner, è stato abbondantemente commentato dalla stampa tedesca e italiana, e pubblichiamo buona parte degli articoli usciti. Non ci stancheremo mai di dire il nostro piacere a stare di nuovo a Berlino, in questa città multipla piena di ricordi cosi contrastati, che continua a curare le ferite della storia. Al centro, nell’epicentro stesso dello storico strappo che l’ha divisa, la Philharmonie – nome straordinario a due passi di quella che fu la terra di nessuno, di luoghi (il muro, il Bunker) simboli di separazione e di distruzione! –, sala mitica che da quarant’anni scrive la storia della musica classica! In questi giorni, nella Philharmonie, la Sesta di Mahler, che certi definiscono come la premonizione di tutte le catastrofe del Novecento, preceduta dai Sei monologhi tratti dal Jedermann (di Hofmannsthal), musicati dal compositore svizzero (di lingua francese) Frank Martin, in piena seconda guerra mondiale (1943-44), anche se la versione per orchestra è del 1949, immagine del dramma centrale del secolo, musica buia e vibrante di fede, di questa fede che afferma l’onnipotenza divina, severa e implacabile. Programma di colore tragico, che contrasta con lo straordinario calore e l’autentica gioia espresse dal pubblico berlinese – e dei musicisti dell’orchestra, raggianti – davanti al ritorno del "vecchio Re", come intitolava la "Berliner Zeitung".

Per la prima volta dalla fondazione dell’orchestra, 122 anni fa, torna sul podio uno dei loro direttori. Tutti sono morti in carica (anche se Karajan di fatto è mancato tre mesi dopo le dimissioni). Ciascuno aveva costruito qualcosa di nuovo sul suono lasciato dal predecessore, e l’orchestra si era a poco a poco identificato con questo suono. Al momento in cui il successore Sir Simon Rattle inizia un lavoro da gioielliere sul ogni suono, scolpisce l’infinitesimale, allarga ancora il repertorio, conduce una politica esemplare in direzione del pubblico giovane, e scommette sulla tecnica e la lunga durata, la musica che nasce dall’istante torna invece con Claudio Abbado, che punta tutta l’energia e la concentrazione sull’attimo fuggente del concerto che non sarà mai lo stesso, sempre in divenire, e sulla libertà e la gioia di fare musica insieme.

Ed è di nuovo l’incanto, interrotto due anni, ripreso magicamente, con un impegno, una gioia di suonare intatti. “Come se non fosse mai partito” dicevano tutti i Berliner incontrati. Anche quelli che nel frattempo hanno lasciato l’orchestra sono tornati a suonare, anche quelli che non hanno mai nascosto le loro riserve esprimono la loro gioia. « Hab’ das niemals erlebt » (non ho mai vissuto cosa simile) diceva dietro di me una spettatrice anonima . E tutti, pubblico come orchestra, lo chiamano Claudio. Il ritorno, preceduto da una rissa quasi mai vista da anni sui biglietti, e da decine di pannelli “suche Karte”, mostrati da spettatori senza biglietto già duecento metri prima della sala, dimostra quanto Claudio Abbado abbia lasciato un’impronta forte a Berlino, ma anche quanto ha capito questa città ed i suoi abitanti. Tanti giovani anche nel pubblico, fatto raro nella musica classica oggi, soprattutto in occasione di un concerto cosi impegnativo.

Il programma proponeva, come già detto, un’opera poco conosciuta, Sei monologhi di Jedermann (di Hoffmannsthal), musicati da Frank Martin, e cantati da Thomas Quasthoff con un’intensità e un espressività rara. Questa musica, che presenta un Dio terribile e implacabile, suona musicalmente come un dialogo serrato tra archi, ottoni e timpano. Provoca una concentrazione inaudita, e suppone una fede senza concessioni, in mezzo ai tempi tragici che il mondo sta attraversando (siamo nel 1943). La voce di Quasthoff suona, spettrale e dolce nello stesso modo: si capisce perché quest’artista, senza dubbio il più grande oggi nel campo liederistico, che comincia malgrado il suo handicap a cantare all’opera, abbia rifiutato la parte di Alberich nel futuro Ring di Rattle, una parte terribile, senza lirismo, che mette a disagio un artista che ha un suono cosi profondo e cosi morbido.

Una volta di più grazie a Claudio Abbado, ascoltiamo un’opera poco conosciuta, ma che colpisce molto e dà voglia di saperne di più. Ammirevoli i Berliner, come sempre, nella perfezione tecnica alleata all’impegno.

La Sesta di Mahler è una sinfonia tutto sommato poco eseguita da Claudio Abbado. Più spettacolare e forse un pochino più estroversa di altre, monumento di una durata inusitata (1 ora e 20) è fatta da tre movimenti contrastati e violenti, e da un movimento più morbido, dove Mahler lascia spazio al lirismo e al sentimento. Normalmente viene eseguito come terzo tempo, ma c'è una discussione a propositio e Claudio Abbado, seguendo l'esecuzione originale lo propone come secondo tempo, come lo faceva Sir John Barbirolli con la stessa orchestra circa 45 anni fa, - ce lo ha ricordato il nostro socio Achille Saccapani - oppure Simon Rattle nella sua incisione con la City of Birmingham Symphony Orchestra: per lo spettatore crea equilibrio dopo la tensione estrema e la complessità del primo tempo, fatto di contrasti, di tensione, di una divisione senza fine del suono, di un urlo di musica che induce un’atmosfera impietosa. Con una dolcezza che diventa sempre più passionale, il movimento lento lascia lo spettatore profondamente commosso e destabilizzato, dopo la violenza del primo tempo, colpisce la liricità del secondo,forse tra le più belle pagine della letteratura mahleriana, dove Mahler lascia svilupparsi il suo vibrante sentimento della natura, elascia lo spettatore profondamente commosso, prima dello scherzo non tragico, ma piuttosto bizzaro nell'adattare in danza demoniaca la marcia del primo tempo

Notevole evidentemente l’inizio del quarto tempo, con un’esplosione degli ottoni, delle arpe e degli archi il cui suono si diluisce immediatamente in diverse vibrazioni che percorrono l’orchestra, movimento che invecesi conclude con un fortissimo talmente brutale, secco, duro, che sorprende tutti, direttore compreso. Certo, l’enorme martello di legno fatto apposta per il concerto, martello di cui Mahler voleva dei colpi "brevi, potenti, ma cupi per la loro risonanza, di carattere non metallico, come un colpo d'ascia", le campane da mucca, la campana dissimulata dietro le quinte, la varietà delle percussioni, l’impressionante numero dell’organico, tutto questo dà all’esecuzione un colore particolare. Ma questa enormità che potrebbe appesantire appare estremamente dinamica invece, come un corpo percorso da una luce vitale. Quello che prende lo spettatore ancora di più è l’alleanza di una tecnica perfetta, metronomica, di suoni senza nessuna sbavatura (effetto Rattle?), con un impegno del cuore visibile sulle facce di ogni artista, rinchiuso nella sua volontà di dare il tutto. La stampa tedesca, in diversi articoli, sottolinea che i Berliner hanno suonato come se fosse l’ultima volta, con l’energia della disperazione, come se, dice uno, “c’era pericolo di vita”: i musicisti stessi dopo il concerto non sanno spiegare e si accontentano di dire modestamente che l’ambiente era diversa del solito. Avevamo forse dimenticano cosa sono i Berliner, e abbiamo ancora verificato l’incredibile armonia tra orchestra e direttore, e certo la perfezione dell’esecuzione, ottoni e corni (Stefan Dohr!), flauto e oboe (Pahud! Mayer!), ma anche i timpani incredibili, e gli archi…e le arpe…e…e…

Mentre spesso Mahler fa nascere la commozione e ti fa rientrare dentro di te, questa sera provoca qualcosa di diverso, che va dalla commozione alla scossa , una scossa, che avrebbe a che vedere con il terrore, un terrore sacro, tellurico (il Thambos dei greci), qualcosa a che vedere con sentimenti primari, la paura, lo stupore, il sentimento della trascendenza che ti lascia senza fiato, che ti prende davanti a monumenti di dimensioni tali che non puoi abbracciarli di un colpo. Queste sere, ci siamo sentiti piccoli.

Questa magia verrà trasmessa il prossimo 11 giugno alle 20 in Francia e Germania, ed è stata incisa dalla Deutsche Grammophon nell’ambito del progetto Abbado/Mahler/Berliner.

Appuntamento l’anno prossimo, stessa stesura di programma con Berg (7 frühe Lieder) e Mahler Sinfonia n°4 con Renée Fleming: inutile cercare biglietti, è gia esaurito!






























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