LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°73

Tribulazioni della Presidente

Attilia Giuliani

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Estate 2004



































































































































































































































































































Cronaca molto molto particolare
di un viaggio treno + bici + musica

Due concerti dal richiamo irresistibile per un abbadiano, ancorché senza la bacchetta del divino Claudio: la III di Mahler a Bolzano con la GMJO e Ivan Fischer il 3 agosto e il “Das Lied von der Herde” , accompagnato dalla sinfonia da camera n°1 di Schoenberg con la MCO e Daniel Harding il giorno dopo, 4 agosto, a Dobbiaco. Mi sono detta: non posso perderli, tanto più che il concerto di Harding, che sapevo già di non poter sentire a Lucerna il 15 agosto, mi offriva la possibilità di ascoltare Anna Larsson che a Budapest era indisposta lo scorso 4 aprile. A questo punto mi è balenata la pazza idea di fare un itinerario treno + bici + musica, partendo da Milano e arrivando come meta finale nella casa di campagna di mia madre sui colli Euganei (e in un’altra occasione vi racconterò anche di quella volta che il Maestro, sì, proprio lui, Claudio Abbado, venne in questa casa una domenica di maggio del 1999 a passare piacevolmente più di qualche ora). Detto, fatto; anzi, pensato e messo in pratica! Così, equipaggiata di borse da viaggio, caschetto giallo (così mi vedono meglio!) e soprattutto di una robusta bici da ciclo-turismo, inizio l’avventura martedì 3 agosto caricando la bici su un interregionale diretto verso il Brennero, arrivando a Bolzano giusto in tempo per una doccia veloce in albergo, e una corsa (sempre in bici, ovvio!) al Teatro Comunale per il concerto. Con un po’ di esibizionismo ho deciso di indossare la maglietta con la scritta del Club, notata da più di uno spettatore che sorride con l’aria di sapere benissimo chi sono gli “abbadiani itineranti”, fedeli alle orchestre fondate da Claudio anche quando lui non c’è.


Teatro pieno fino all’ultimo posto disponibile, cinque minuti prima dell’inizio regalo un biglietto in più (destinato al nostro ineffabile vice-presidente, Stelio Vinanti, che ha dovuto rinunciare per un altro impegno con Luca Ronconi) a una ragazza che era in orchestra fino all’anno scorso e che aveva quasi perso le speranze di entrare.

Mi siedo in platea, in quinta fila, proprio mentre entrano i ragazzi dell’orchestra: è sempre un piacere vederli con quell’aria gioiosa, mai annoiata, felici di far musica insieme ancora una volta, sempre disposti a dare il meglio (è una sensazione palpabile). Entra il direttore, Ivan Fischer e le prime note, per essere sincera, mi lasciano disorientata; la sensazione continua per tutto il lungo primo movimento. Le frasi musicali mi sembrano slegate: il ritmo, le pause, la dinamica non sono quelli che ho in testa. Nonostante mi rimproveri per questo continuo confronto con le esecuzioni della terza di Mahler che ho in mente, non mi ritrovo e inizio ad essere un po’ inquieta. Poi tutto si appiana con l’inizio del secondo movimento, tutto diventa più fluido, naturale, prende la piega del racconto, che è la magia di Mahler, pur con i sussulti, le punte dolorose, le rotture e i rasserenamenti, come giusto succede nella vita, se solo si è capaci di ascoltare il percorso della propria anima o di intravedere quella di chi ci è caro. L’esecuzione si conclude quindi sul doloroso tempo finale, con una scioltezza e un accordo quasi perfetto fra esecutori, direttore e partecipazione del pubblico in sala. Successo caloroso, applausi scroscianti, è indubbia la simpatia che suscita nel pubblico questa orchestra.

Fuori del Teatro, solito crocchio con gli amici di lunga data, Roberto Rinaldi (di cui avete già letto i resoconti su queste pagine), Enzo Caramaschi, instancabile organizzatore a Bolzano di eventi e iniziative musicali legati alla GMJO e alle altre orchestre fondate da Claudio Abbado, Alexander Meraviglia, manager dell’orchestra e altri ancora. Cena sud tirolese adeguatamente innaffiata e poi a nanna; il giorno successivo devo pedalare da Fortezza a Dobbiaco (Bolzano-Dobbiaco mi era sembrato eccessivo, fuori allenamento come ero). Mercoledì 4 agosto: bella giornata, promette di fare molto caldo, pazienza, ormai il dado è tratto. Percorro in treno il tratto Bolzano-Fortezza in una vettura stracarica di ciclisti, per lo più muniti di mountain-bike. La mia povera bici viene sballottata di qui e di là, ma non mi accorgo subito del danno che ha subito: il primo tratto è in discesa, poi, alle porte di Bressanone, quando imbocco la statale della Val Pusteria, inizia la leggera salita, intramezzata da vari sali-scendi di diverse pendenze che caratterizza tutto il tratto fino a Dobbiaco. Mi metto di buona lena ma dopo i primi dieci Km mi sembra di essere già affaticata, mi sembra che qualcuno mi trattenga da dietro per la sella: dovete sapere che una delle cose che un ciclista evita è proprio quella di sollevare le ruote e farle girare per vedere se sono completamente libere. Infatti nel 99 per cento dei casi la ruota scorre perfettamente, sono le gambe che non rispondono! E quindi in genere ci si guarda bene di fare una tal prova, soprattutto di fronte ad altri, per non dover ammettere che lo sforzo eccessivo non è dovuto a una ruota frenata, bensì alla propria scarsa forma fisica! Quindi imperterrita e cocciuta avanzo sempre più a fatica fino a Brunico, dove però, di nascosto, mi decido a fare la fatidica prova, per scoprire che in effetti la ruota non è più perfettamente piana, deve aver subito un colpo in treno, e quindi tocca continuamente le ganasce del freno, con il risultato di farmi pedalare come se fosse frenata in continuazione! Cerco di armeggiare per allentare il freno, ma niente, non ottengo grandi risultati e proseguo per una sterrata che mi hanno indicato, bellissima, nel bosco, ma sicuramente ben più faticosa della statale. Altri 20 Km così, poi, esausta, mi fermo e decido di togliere il freno posteriore. Come se non bastasse, dopo questa operazione, dimentico il telefonino sul tavolo del bar dove mi ero rifocillata; me ne accorgo solo dopo 5 Km (in forte salita, ovviamente, se no non c’era gusto!). Torno indietro e mi rifaccio la strada, un po’ esasperata, quando arriva provvidenziale la telefonata di Stelio che mi viene incontro e mi carica le borse in macchina (è già qualcosa!) e mi riconforta un po’ con la sua abituale ironia. Per farla corta, arrivo a Dobbiaco alle 5 e mezza, veramente sfinita e sudata fradicia: doccia, cambio d’abiti e di nuovo in bici in cerca di un ciclista. Fortuna vuole che tre simpatici ragazzotti di un noleggio di mountain bike mi sistemano la ruota alla bell’e meglio, in modo da poter ripartire l’indomani in condizioni migliori.

Fatica e disagio spariscono d’incanto già all’ingresso della sala del concerto, nel grande complesso alberghiero voluto da Francesco Giuseppe che a Dobbiaco amava venire a villeggiare, come farà più tardi Gustav Mahler nelle estati tra il 1907 e il 1910. Incontro di nuovo varie facce note, compresi molti orchestrali della MCO, come Antonello Manacorda e Chiara Tonelli, (saluti, battute: ciao, come va? – non ti avevo visto ad Aix settimana scorsa per Traviata, etc etc.). Il concerto è assolutamente strepitoso, ma di questo non vi voglio anticipare altro perché molti di voi lo ascolteranno a Lucerna e non voglio guastarvi la sorpresa. Non c’è come la musica che ripaghi di tutto: mi sento soddisfatta (anche per la foto scattata con Daniel Harding, eccola:)

Tutta la fatica della giornata è sparita, neppure un po’ d’ansia per la pedalata che mi aspetta l’indomani. E difatti, in un’aria mattutina tersa e fresca per la pioggia caduta nella notte, riprendo il cammino (oramai siamo al 5 agosto) verso Cortina sulla statale d’Alemagna, i primi 20 Km in leggera e continua salita. Ma questa volta tutto sembra più facile, nonostante la ruota non ancora perfettamente a posto: tengo un rapporto piuttosto duro ma non faccio fatica. Poi, da Cima Banca inizia la discesa su Cortina, una vera goduria, i freni tengono bene, c’è solo da controllare la bici sull’asfalto a tratti ancora bagnato. Sosta sul famoso corso per una bibita e un gelato: è un vero cinema, la gente qui è piuttosto ridicola: o gira vestita in costume del luogo (soprattutto le donne e soprattutto le meno giovani) oppure è abbigliata di tutto punto come se dovesse iniziare una scalata, con scarponcini, pantaloni, camicie e maglioni all’ultima moda e nei tessuti più innovativi. Insomma sanno di falso come pochi. Tutto diverso nei paesini del Cadore più a valle che attraverso, sempre librandomi sulla bici in discesa, con qualche raro falso piano o salita ogni tanto: sono molto più genuini, con la gente “normale”, che va in montagna per godersi la montagna e non per esibirsi sul corso principale… Va bè, pazienza, scusate se vi ho raccontato anche questo, ma la sensibilità del vero abbadiano è sempre un po’ urtata da queste manifestazioni esteriori un po’ false!

Siamo alla fine del viaggio: a Calalzo carico la bici sul treno e smonto a Padova dopo tre ore, per coprire gli ultimi 20 Km (totali percorsi: 150) che mi separano da Galzignano Terme, dove trovo la mamma (veterana del CAI, classe 1917) sul cancello ad accogliermi!








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