LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°66

Abbado a Roma

Maria Vittoria Zocchi

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GMJO Easter Tour 2004



































































































































































































































































































IL CLAUDIO MAGICO A ROMA

Verso la fine il grande Auditorium è avvolto nel buio, ma il palcoscenico con le sue luci basse e soffuse, risplende illuminato da questo squadrone di giovani capitanati dal loro direttore. Amalgamati dalla musica, dalla passione, sembrano il prolungamento del gesto fatato di un Claudio Abbado Magico, che non si stanca mai di stupirci, di farci ricredere, di sospingerci oltre, dove non pensavamo neanche ci potesse essere un dove.

Sappiamo che la IX sinfonia di Mahler eseguita a un anno dalla sua morte, è indicata come quella dell'addio. Addio alla vita, al mondo, alla musica, all'amore, in breve, un testamento spirituale. Per di più le varie edizioni, che ben conosciamo, eseguite nel corso degli anni da molti grandi direttori d'orchestra erano quando più, quando meno orientate su una lettura struggente, a volte addirittura straziante.

Con il Claudio Magico, che non smette mai di approfondire, di rileggere, di studiare, TUTTO cambia, sono orizzonti ben diversi che intravediamo. Nella sua lettura non ci sono addii, crepuscoli ma solo l'immagine di qualcuno che scioglie le vele, per lasciarsi dietro qualcosa di sperimentato e così superato che il ripensarlo spinge all'ironia, o a un sorriso un po' amaro, altre volte a una specie di eccitato rammarico, ma sempre con ampi spazi per quanto c'è di dolce nel ricordo, qualcuno che si prepara ad essere finalmente se stesso, a liberare la sua autenticità. E' vero, anche la morte può essere rappresentata così, ma il 14 aprile in quella sala non c'era il suo gelo, ma un caldo anelito di vita, rigenerante e vera.

Questo mi hanno detto i primi tre movimenti diretti da Abbado/Mahler (ormai sono una cosa sola), con le varie citazioni dalle altre sinfonie, all'inizio è: "O mensch gibt Acht" dalla III, poi la IV insomma si tirano le somme, si chiudono i conti con la vita, e non sono conti passivi, il vero capitale di Mahler è ancora tutto lì, intatto (quando è affidato a Claudio Abbado) perchè mai abusato, elargito solo qui e là (seehr langsam della III, adagio della IV, adagietto della V, inizio 2° movimento della VI e poi i Lieder) sto parlando della sua DOLCEZZA, liberata a piene mani nell'adagio conclusivo. Qui la musica è altro, qui Mahler è altro, la melodia non viene mai interrotta, ma sale sublimandosi, leggera verso spazi infiniti, il Claudio Magico l'ha liberata dalla tristezza, con lui è un lasciarsi andare finalmente a quello che veramente sei, ".un naufragar m'è dolce in questo mare", essere.. al di là è vero, ma nell'oltre del Ruckert Lieder "Ich bin dem welt abhanden gekommen" che si conclude così: "........io resto solo, nel mio cielo, nel mio amore, nel mio canto!".

Questo è stato l'ultimo movimento, che il Claudio Magico ci ha regalato, un'approdo alla vera dimensione, con i violini che vanno solenni sostenuti da viole e violoncelli, mentre i contrabbassi raccolgono insieme il canto di tutti in un abbraccio sublime per traghettarlo dolcemente lontano; via dal rumore di tante parole che non significano niente, dai servilismi vili, dalle menzogne, dall'amore negato, dalla mediocrità ottusa. Via, .. via, ma,.. senza rabbia, senza condanne, soprattutto (e questo solo Abbado riesce a renderlo) senza rimpianti, un dileguarsi come un travasarsi nel mondo cui si è scoperto di appartenere, quello dell'aristocrazia dei sentimenti e delle idee.

In perfetta sintonia con tutto questo, a poco a poco, in sala si spengono le luci, lasciando solo quelle dei leggii. Ogni sezione si smorza adagio nel silenzio, il mondo e i suoi falsi miraggi non hanno più voce; il suono che si era via via rarefatto diviene impalpabile in quell'ultima nota dominante che rimane leggera come una bolla di sapone sospesa fra le braccia allargate di Claudio Abbado. Dopo un lungo lento minuto, quelle braccia iniziano impercettibilmente ad abbassarsi, mentre tutto lo sterminato Auditorium aspetta in un silenzio sospeso (con qualche schiaritina di voce di troppo).

Poco più di un minuto carico di tensione gocciola via lentissimamente, fino a quando al seguito di un GRAZIE, sparato dal cuore di uno spettatore delle prime file parte una bordata di applausi di urli, di CLAUDIOOOOO, di BRAVOOOOO, inimmaginabile da questo pubblico, un'ovazione che travolge tutti in un'empatia totale.

Eravamo una cosa sola, Vip e non VIP, Politici e Privati, eravamo tutti ABBADIANI nel più alto senso che si possa dare a questa parola.

Miracoli possibili solo al Claudio Magico, quando alza la bacchetta e diventa Gustav Mahler.

da un Wanderer stanziale






















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