BOCCANEGRA 2002

La Repubblica

La Repubblica, 18 giugno 2002

Ma al termine della rappresentazione il regista Peter Stein non si presenta a salutare il pubblico
Magico Abbado sfida il destino
Trionfa a Firenze con il "Simon Boccanegra"

Grande la compagnia Splendida Karita Mattila
DINO VILLATICO


FIRENZE - Il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi costituisce per Claudio Abbado la riflessione di una vita, dall´allestimento scaligero del 1971, insieme a Giorgio Strehler, giustamente famoso, a questo fiorentino (e prima salisburghese), con Peter Stein. Ma anche per Verdi il Simon Boccanegra è un´opera che costituisce la riflessione di una vita. Non poteva essere diversamente. Gli affetti familiari e i gli intrighi del potere ne sono la sostanza drammatica, i nessi tra la vita del cuore e le vicende politiche in cui si è coinvolti sono strettissimi.
Non solo, ma quel Re Lear che Verdi sognava di mettere in musica eccolo qua: i padri, anzi, sono addirittura due, nemici, di schieramento politico opposto, l´uno aristocratico, l´altro plebeo, eppure uno suocero e l´altro genero, alla fine il suocero si scopre nonno, e tutto l´amore non vissuto per la figlia, per la nipote si stempera nella dolcezza della morte di Simone, davanti al mare dolcissimo di Genova. Tra l´altro il Simon Boccanegra è anche una sorta di omaggio che Verdi fa alla più amata delle città italiane. Il mare è onnipresente.
Lo era nell´allestimento, d´una bellezza assoluta, di Strehler e lo è nella realizzazione di Peter Stein (che non si è presentato a salutare il pubblico, in seguito alle polemiche con il Coro del Maggio, ma ha fatto male, il pubblico va affrontato sempre, a torto o a ragione: il che non vuol dire che la ragione stesse dalla parte del Coro, i movimenti impacciati sulla scena davano anzi in buona parte ragione a Stein, il quale però poteva tenersi per sé i commenti. E già che ci siamo, un appunto va avanzato anche per l´orchestra: la sbandata del corno, al terzo atto, non è di un´orchestra che pretenda di dirsi e di essere europea).
Lo spettacolo, assai bello, è tutto costruito con le luci e con i colori (straordinario regista delle luci, Guido Levi, scene di Stefan Meyer, costumi, coloratissimi, di Moidele Bickel). L´azzurro del mare e del cielo spesso è l´unico fondale. Il nero domina nelle scene di potere, il rosso in quelle in cui si tramano delitti. La solitudine di Simone si staglia come un ombra cinese sullo spazio sterminato del mare o del cielo.
Ma il vero mago di tutta la rappresentazione è Claudio Abbado. Ormai della grandissima partitura Abbado conosce ogni impulso segreto. E questo fa venire fuori: il respiro di una musica che si dilata e si raddensa, il fuoco, ma anche lo struggimento, di un canto che si stempera nella dolcezza di morire. Il Simon Boccanegra è anche, in qualche modo, uno studio preliminare del Requiem, più ancora del Don Carlos, col quale comunque ha molti punti di contatto. I temi di Verdi ci sono tutti, l´amore, il potere, la morte: e tutti intrecciati tra loro. Abbado fa sentire questa connessione nella pulsazione quasi naturale della musica, nella dolcezza che s´impenna a grido, a stridore, nella morbidezza di un timbro di clarinetto o d´archi che subisce l´improvvisa sferzata di una dissonanza, o l´assalto di una frustata di ottoni.
Sulla scena una compagnia di alto livello, con la punta di diamante di una splendida Karita Mattila nella parte di Maria. Carlo Guelfi è un dolente Simone, Julian Kostantinov un solenne Fiesco. Vincenzo La Scola, Adorno, e Lucio Gallo, Paolo Albiani, completano molto bene il cast. Come sempre con Abbado, più delle capacità individuali degli interpreti conta la loro comprensione di un´unica linea interpretativa. Il senso di sconfitta, di struggimento, di resa al potere invincibile del destino e della morte, non potrebbe essere cantato meglio, né con maggiore, e dunque più penetrante, dolcezza. Successo, neanche a dirlo, trionfale.