LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°75

Lucerne Festival 2004

Un appuntamento rimandato

Maria Vittoria Zocchi


Il primo concerto 2004 della Lucerne Festival Orchestra

Auditorio del KKL

13 agosto

Richard Strauss
Vier letzte Lieder
Renée Fleming, Soprano

Richard Wagner
Tristan und Isolde
Atto II
John Treleaven, Violeta Urmana, Mihoko Fujimura, René Pape ...

Lucerne Festival Orchestra
CLAUDIO ABBADO

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Lucerna 2004













































































































































































































































































































Non ci si abitua mai alla grand’emozione di questi rendez-vous musicali con Claudio Abbado, si entra in sala, ci si siede al proprio posto e subito si è nella dimensione del bello, del magico, pronti ad accogliere, farci investire, travolgere e volare lontano.

Tutto questo insieme di sensazioni erano al loro acme, la sera del concerto di apertura e il programma stesso lo esigeva.

La prima parte stupenda. Un’orchestra magica, che ha saputo cesellare, colorire, valorizzare e sapientemente sfumare i molteplici aspetti della partitura, grazie all’impegno e all’indiscutibile valore artistico di tutti i musicisti, solisti e non; ma soprattutto, grazie a una direzione che è impossibile raccontare, se almeno una volta non si è visto Claudio Abbado alla guida di questa orchestra. E’ semplicemente un mago, guardarlo mentre dirige significa poter ascoltare anche con gli occhi; sembra quasi che la musica esca dalle sue stesse mani, mentre l’espressione del suo viso dice chiarissimamente come vuole che quel brano sia reso.

In tutta questa armonia di suoni e di feelings, la voce della Fleming sembrava lievemente in disparte. Bellissima voce, forse un pochino fredda nei primi due Lieder, più sciolta e accattivante negli ultimi due.

Bisogna pur dire che, la variegata duttilità del suono, i pianissimo sottili e brillanti come un filo di seta al sole, erano appannaggio assoluto di questa orchestra incredibile, ancor più valorizzata dall’immagine di calore, di amicizia, di gioiosa e complice intesa, che i suoi componenti sanno sprigionare suonando.

Con queste premesse, era facile presagire che l’attesissima seconda parte del programma Tristan und Isolde –atto II- sarebbe stata uno di quegli storici eventi musicali, che si raccontano con l’aggiunta di un orgoglioso “… io c’ero….”.

La lunga preparazione aveva significato per me un’innamoramento pressoché totale per Wagner e per quest’opera in particolare. Fra le varie esecuzioni, ripetutamente ascoltate, brillava, e non certo ultima, quella di Abbado stesso con la BPO in Berlino, anche se non perfetta nella resa (registrata da chissà quale radio), mi aveva felicemente convinta. Le voci non proprio stellari, ma si sa in questi casi la qualità dell’incisione è determinante.

Torniamo a Lucerna; attacco dell’orchestra, perfetto, ricchissimo di suggestioni, con il suono del corno che si rarefà allontanandosi, mentre la leggerezza ritmica delle percussioni, ci permette quasi di vedere il drappello guidato da re Marke si allontana al galoppo….. e subito dopo le ondate dei violoncelli incalzati dagli archi ci introducono, nell’attesa, nell’ansia, nell’ineluttabilità di un destino incombente.

Con l’ingresso dei due protagonisti, ho iniziato ad avere qualche perplessità. La Urmana e Treleaven a cui nessuno vuol negare le qualità vocali, erano completamente fuori dal personaggio, per fraseggio, per dizione, per interpretazione. Wagner era solito dire che le parola in un’opera sono l’indicazione necessaria per orientare l’ascoltatore, facilitandolo nella comprensione della musica.

Quando, come nel nostro caso, la musica appunto, si apre, sale, si riavvolge e si dipana esprimendo di volta in volta: l’accendersi del desiderio, la malinconia del ricordo, la voluttà del momento, la ricerca dell’abbandono o dell’inconsapevolezza, il ruolo del cantante è FONDAMENTALE. Deve andare ben oltre la potenza e l’intonazione, deve interpretare, recitare cantando; se mancano l’espressività, le coloriture della voce, le inflessioni, come può prendere corpo il pathos, la sensualità, la passione, il dolore, insomma tutto quello che fa di questo capolavoro qualcosa che riesce a penetrarci e a farci vibrare fin nel profondo?. La sola forza dell’orchestra non basta, non può bastare, anche se in questo caso è stata sublime, offrendoci un Wagner a livelli grandiosi, (e lo si è capito benissimo quando era unica padrona della scena), trascinandoci in un vortice estenuante, con quegli archi che alternativamente ci sommergevano, e ci risollevavano. Se il grande duetto d’amore, cuore, anima di tutto l’atto, ci ha incantati, commossi, rapiti lo dobbiamo solamente a Claudio Abbado e a questa orchestra, alla meraviglia del suono dei solisti, che emergevano nei loro assoli come spade di luce da un lago oscuro ( ah…..l’oboe di Albrecht Mayer, e …. il violino di Kolja Blacher paradisiaco!!).

Un discorso a parte merita la stupefacente Brangania della Fujimura, bravissima e sempre perfettamente calata nel ruolo, e poi quel suo ultimo intervento…..!!!!! Si è congedata con un Habet Acht, semplicemente da brivido, in un diminuendo vibrato MAI ascoltato prima.

L’inatteso cambiamento, il colpo d’ala è stato l’ ingresso di re Marke un meraviglioso Renè Pape. Il suo lunghissimo monologo, (che ahi noi se non fosse stato espressivo),è stato un autentico capolavoro. La sua magnifica voce ci ha offerto un Marke in tutta la sua dolente, dignitosa, regale umanità, introducendoci fra le mille sfaccettature, del dolore, della delusione, dell’umiliazione di chi, innocentemente inconsapevole scopre di essere stato tradito negli affetti più cari. Quando lui ha iniziato a cantare tutto ha preso l’ampio respiro di Wagner, e finalmente canto orchestra e direzione hanno giganteggiato in un’empatia completa, fino al finale di sola orchestra, memorabile, assoluto, con quel buio totale (idea genialissima!!!!!) caduto di colpo sulla scena con lo spegnersi dell’ultima nota.

Non a caso ho voluto chiamare questa mia relazione: “Un appuntamento mancato” perché è impensabile, e credo di parlare a nome di tanti, che una direzione simile alla guida di un’orchestra di questo valore, non tornino (speriamolo presto) a riproporci questo capolavoro con un intero cast di interpreti che fra tante stelle splenda di luce propria.

Maria Vittoria

















































































































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