Salzburg 2002

Anteprime/Prime impressioni (5): La Stampa

La Stampa, 25 marzo 2002

IL DIRETTORE SI CONGEDA DAL FESTIVAL CON UN DOLENTE «PARSIFAL»
E´ Abbado il Cavaliere del Graal Salisburgo contesta Peter Stein



SALISBURGO
La tournée italiana di maggio, seguita da due concerti a Vienna, sarà l'ultima occasione in cui Claudio Abbado dirigerà i Berliner Philharmoniker nella funzione di Chefdirigent. Essendo questa l'orchestra residente del Festival di Pasqua a Salisburgo, Abbado è stato per nove anni pure direttore della manifestazione, che dal 2003 sarà, come l'orchestra berlinese, nelle mani di Simon Rattle: in programma il «Fidelio» di Beethoven, poi «Così fan tutte» di Mozart e dal 2005 «L'Anello del Nibelungo» di Wagner: la prima volta da quando lo mise in scena qui Karajan. Ma anche la nuova produzione del wagneriano «Parsifal», con cui Abbado ora si congeda da Salisburgo, è la prima dopo quella di Karajan più di vent'anni fa: porta la firma di un regista quale Peter Stein, scene di Gianni Dessi, costumi di Anna Maria Heinreich, luci determinanti di Joachim Barth. Dunque per congedo Abbado ha voluto l'estremo capolavoro di Wagner, ovvero l'opera più adatta alla Pasqua, con i cavalieri del Graal, la ritualità e la spiritualità cristiana: l'Ultima Cena, il Venerdì Santo, il peccato, la redenzione. In questo prodigio di armonia e nuova concezione timbrica, dolore e misticismo restano le coordinate su cui anche Abbado e Stein si sono mossi, pur senza collimare sempre: l'uno più attento al dolore, l'altro alla simbologia cristiana. Tutto ciò che è compassione - tema centrale del «Parsifal» - trova in Abbado sensibilità affettuosa, già dall'entrata in scena di Amfortas (Albert Dohmen, dolente ma anche vibrante), e poggiando questo tono fondamentalmente narrativo su un Gurnemanz più paterno che sacerdotale (Hans Tschammer). E' compassione che Stein riflette con misura nelle reazioni dei personaggi che assistono, con una umanità che a sua volta Abbado sposa alla dolcezza dell'infanzia di Parsifal evocata a fini seduttivi da Kundry (Violeta Urmana, ammaliante nel II atto, un po' isterica nel I): ed è una umanità che si carica di dolore universale quando nel terz'atto Parsifal (Thomas Moser, macerato) ritrova il vecchio Gurnemanz apprendendo non solo la decadenza dei cavalieri, ma l'essere quello il giorno di Venerdì Santo, quando il Salvatore morì per redimere l'uomo dal peccato. Eppure il maestro pare soltanto osservare da fuori la ritualità cristiana nella quale invece si cala Stein, avendo questi il coraggio e l'onestà di mettere in scena, con un realismo scarno, quello che Wagner voleva: la ferita sanguinante al costato di Amfortas, soprattutto il rito del Gral nel tempio ad emiciclo, il calice che rifulge e illumina tutto di rosso sangue, poi la sacra lancia scagliata da Klingsor (Eike Wilm Schulte, insinuante) che si ferma sopra la testa di Parsifal, ancora la lancia che nel finale svela un rivolo del sangue di Cristo. Stein va addirittura oltre nel marcare il misticismo: nella processione del Gral i fanciulli portano turiboli che mandano odore d'incenso nella sala, consacrando il lungo altare girandovi con Amfortas portato sulla lettiga; e nel terz'atto, unto Parsifal quale nuovo re del Gral e immagine di Cristo, il bordo dello specchio d'acqua si solleva e rimane sospeso, rivelandosi una grande aureola.
Ma nel finale Abbado e Stein si ritrovano, con quella luce che prorompe dal fondo a simboleggiare lo Spirito Santo e i Berliner da brivido nell'esaltare il prodigio tematico e di strumentazione che chiude l'opera: l'epifania in musica del misticismo. Alla fine Stein è stato in parte contestato, e con stupore di molti, essendo l'unica vera colpa non qualche problema scenotenico, bensì l'aver rinunciato in parte alla trasformazione d'ambiente a scena aperta nel I atto («Qui il tempo si fa spazio», dice Gurnemanz). Lunghe feste per Abbado, il Coro Filarmonico di Praga, il Coro Schönberg e anche i bambini del Tölzer Knabenchor, malmessi con l'intonazione nelle lunghe melodie di Wagner.