La cronaca del Wanderer

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Il Wanderer racconta il concerto berlinese del 9 febbraio 2002

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La cronaca del Wanderer
N°35



Beethoven-Mendelssohn



Un anno fa, l'8 febbraio 2001 Claudio Abbado inaugurava a Roma il ciclo Beethoven, ancora nella memoria di tutti. Dopo la malattia che lo aveva colpito, iniziava una serie di concerti beethoveniani rimasti per tanti spettatori un'esperienza indimenticabile. A questo ciclo, concluso a New York nell'ottobre scorso, succede un anno segnata da Parsifal. Il concerto al quale abbiamo avuto il privilegio di assistere offre un programma misto Beethoven-Mendelssohn, e costituisce un dialogo tra un ciclo e l'altro, visto che la Fantasie op.80 di Beethoven era uno dei punti salienti della stagione scorsa al Festival di Pasqua di Salisburgo.
Quest'anno, ogni concerto è l'occasione per il pubblico fedele di Berlino di essere sempre più malinconico: ogni concerto ci avvicina al momento in cui Claudio Abbado lascerà il podio berlinese. Certo, altri concerti sono programmati per le prossime stagioni. Certo il rapporto con Berlino non si chiude, ma un periodo particolare trova quest'anno il suo fine. Una conclusione in forma di trionfo: spesso la fine di un rapporto è segnato da stanchezza, da amarezze (era il caso quando Claudio Abbado lasciò la Scala dopo 18 anni). Questa volta niente di tutto ciò: il rapporto con i musicisti berlinesi non è mai stato più ricco che durante questi ultimi anni. La fusione musicale , la complicità artistica sono tali da fare di ogni concerto un momento particolare di quello che Claudio Abbado chiama 'fare musica insieme'/'zusammenmusizieren'. Abbado lascia Berlino in stato di grazia.
Avevamo sottolineato l'anno scorso quanto l'esecuzione della Fantasie op.80 di Beethoven dava quell'impressione di intimità musicale tra tutti i partecipanti: il pezzo offre in venti minuti momenti diversissimi che vanno dall'esecuzione virtuosistica del solista al pianoforte alla grandiosità dell' insieme formato da coro, solisti, orchestra, pianista, attraverso momenti di musica da camera, musica sinfonica e musica corale. Dà l'occasione di ascoltare la duttilità dell'orchestra, dà l'occasione di vedere come si fa musica tra musicisti di altissimo livello: musicare insieme vuol dire ascoltarsi, adattarsi all'altro, non ripetere mai quello che si è fatto l'ultima volta, ma tentare sempre di andare oltre, insomma, andare avanti: ecco la musica viva.

Il pezzo di Beethoven dipende fortemente dal colore dato dal pianista all'attacco iniziale. A Salisburgo ci aveva colpito la fluidità dell'insieme. Qui Maurizio Pollini insiste di più su ogni nota, ritmicamente più marcata, in uno stile al limite più marziale: l'orchestra segue e Abbado sottolinea ancora di più i vari livelli sonori, l'architettura segreta del pezzo: da gioco di salotto geniale - e complesso!- diventa marcia verso il grandioso, sempre più forte, sempre più largo. Alla fine, un risultato diversissimo dall'anno scorso, ma lo stesso entusiasmante.
L'architettura della Philharmonie favorisce un rapporto molto particolare con gli artisti. Questa sala di duemila persone potrebbe essere una di quelle cattedrali dove l'artista sta lontano dall'auditore. Invece nella sala di Scharoun il musicista sta in mezzo al pubblico, in un rapporto di vicinanza geografica e sonora mai raggiunto altrove. Ne risulta un'impressione permanente di intimità, di rapporto stretto tra l'artista e il pubblico, e nello stesso momento di spazialità e ampiezza: questa dialectica dell'intimo e del cosmico segna la sala di Scharoun. Non esiterei infatti a dire che c'è qualcosa di "cosmico" in questa sala: lo abbiamo ben verificato durante le rappresentazioni di Parsifal dove il suono proveniva dal basso, dall'alto, dal dietro. Se esiste un cosmos musicale, possiamo dire che la sala berlinese ne è la metafora.
Questa sala si adatta pertanto benissimo a tutte le opere che richiedono spazialità e ampiezza. La Fantasie essendo in qualche modo immagine di questo dialogo intimità/cosmos, si poteva chiedere come sarebbe stata resa la Sinfonia n°2 op.52 di Mendelssohn "Lobgesang". Non è la sinfonia più conosciuta, ma sicuramente la più ampia per i mezzi messi a disposizione. Fu eseguita per la prima volta a Lipsia, nel 1840, in occasione del 400° anniversario dell'invenzione di Gutenberg (Lipsia era nel XIX° la capitale dell'editoria tedesca). Vuole essere un inno all'Arte in quanto creazione divina, ma anche allo spirito umano. Questa dialectica tra spirito umano e volontà divina è una delle problematiche del Parsifal, ma anche del Faust (tra qualche giorno verranno date le Scene di Faust di Schumann), altro personaggio di Lipsia. Si capisce come vengono intrecciati i fili tematici della programmazione: la filiazione romantica del Parsifal, i legami di Wagner con la musica di Mendelssohn (malgrado gli scritti wagneriani sugli ebrei nella musica), la riscoperta romantica della musica di Bach, così importante sia per Mendelssohn, sia per Wagner. La sinfonia N°2, sinfonia cantata, che deve tanto a Beethoven quanto a Bach, suonata la prima volta nella Thomaskirche di Lipsia (Chiesa di San Tommaso) dove Bach è sepolto, è veramente un punto d' incontro che Abbado ci vuole mostrare, nel percorso che vuole segnare per spiegare musicalmente come si arriva al Parsifal.
Pero, personalmente, non avevo affinità particolari con la musica di Mendelssohn, che trovavo fintroppo romantica, un po' facile ed eccessiva. Eppure l'esecuzione di Abbado mi è parsa trovare un giusto equilibrio lasciando spazio alla monumentalità, ma tutto sommato con una grande semplicità del discorso musicale. L'architettura molto strana della sinfonia, con i tre primi movimenti eseguiti di seguito, introduzione alla parte 'cantata' ricorda la costruzione della 'Nona', di cui avevamo avuto echi chiari nella precedente 'Fantasie'. La cantata, eseguita dal coro della Radio Svedese, noto specialista di Bach, e da solisti eccelsi quali Peter Seiffert e Karita Mattila, dava quel senso di sacro e di mistico che ci riportava alle esecuzioni della Passione secondo Matteo qualche anno fa. Ma esprimeva lanche la gioia tutta umana di fare musica, di dire la musica, di esprimere sentimenti puramente umani facendo vedere chiaramente tutti livelli architettonici dell'opera: Abbado dimostrava di colpo le relazioni tessute tra tutte queste opere apparentemente lontane.
Un concerto così sorprendente, con opere tutto sommato poco eseguite, anche poco amate, dimostra cosa sia l'impresa abbadiana: non fare spettacolo ne operazioni mediatiche, non darsi mai alla facilità, non lasciare nulla al caso, proporre al pubblico un percorso intellettuale, costringerlo a riflettere, a pensare la musica, sempre provocando l'emozione nata dell'incontro del cuore e dello spirito, di anima e animus. Non si esce mai come si è entrato : usciamo avendo salito un gradino in più nella conoscenza dell'arte, nella consapevolezza dei fili che legano tutto il discorso musicale. E tutto in un ambiente ricchissimo di emozioni. Questo si chiama direzione artistica.