ABBADO NELLA STAMPA Il Manifesto Workman, Raimondi, Ulivieri, durante le prove
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Musica per gli occhi La regia di Mario Martone e la direzione della Mahler Chamber Orchestra affidata a Claudio Abbado costruiscono un capolavoro intorno a «Così fan tutte», l'opera libertina e crudele di Mozart e Da Ponte. Perfetto esempio di come la musica può essere rappresentata oggi sul palcoscenico GIANFRANCO CAPITTA FERRARA Un piccolo miracolo, o come si sarebbe detto una volta, un vero «capolavoro». Così fan tutte di Mozart e Da Ponte è opera arcinota e rappresentata, libertina e crudele quanto nessun altra. E Mario Martone l'ha realizzata a Napoli nel 1999, per poi riprenderla qui al Comunale di Ferrara l'anno successivo, chiamato da Claudio Abbado. Eppure ora, sempre con Claudio Abbado alla guida della Mahler Chamber Orchestra e la regia di Mario Martone (e la scena di Sergio Tramonti e i costumi di Vera Marzot), quella messinscena, strutturalmente identica, cambia e arriva alla perfezione di come la musica può oggi essere rappresentata in palcoscenico (domani sera, con lo stesso cast impareggiabile, al Comunale di Modena, e la settimana successiva al Valli di Reggio Emilia). Hanno probabilmente tutti lavorato sui particolari, a perfezionare quanto già funzionava, provandola di nuovo come fosse la prima volta. L'unica novità vera è la presenza, su quei praticabili che abbracciano la buca dell'orchestra e nelle due camere da letto simmetriche delle due fanciulle, di Ruggero Raimondi nel ruolo di Don Alfonso. Il cantante è stato per tutti, e definitivo, il Don Giovanni mozartiano di Losey sullo schermo, e dal seguito di quell'infernale e colpevole sprofondamento luciferino, sembra uscire quando qui arriva con delle pietre laviche in mano. Dovrebbero essere souvenir del Vesuvio perché l'azione si svolge a Napoli, ma capiamo subito che sono i reperti della punizione inflittagli dal divin Commendatore nell'altra opera di Mozart e Da Ponte. E infatti questo Don Alfonso non è più un arzillo buontempone che si diverte a far scoprire ai due ingenui giovanotti quanto sia labile «la fede delle femmine». È piuttosto un vitale illuminista, matematico e crudele, un cinico nichilista che fa esplodere dall'alcova dei sentimenti la possibilità e l'attendibilità di ogni relazione umana. A partire da quelle erotiche, per conseguirne «naturalmente» quelle istituzionali (come il matrimonio burlato) e perfino politiche, se si vuole. La Mahler Chamber Orchestra è ormai un'orchestra di qualità mondiale, e Abbado, forte e intraprendente nella musica come Don Alfonso in società, riesce a far convivere, anzi a rilanciare l'un l'altro, i virtuosismi di ogni sezione con la costruzione collettiva delle adamantine geometrie di Mozart. È una grande goduria per l'orecchio, ma si trasmuta senza soluzione nello spettacolo che si vede. I cantanti, tutti. sembrano attori consumati, e tutti hanno voci fantastiche: per una volta con una sorta di rivincita degli italiani, rispetto ai loro colleghi stranieri pur bravissimi e giusti nei ruoli. Anna Caterina Antonacci statuaria e erotica Dorabella, ha ovviamente più grinta della Fiordiligi pruriginosa e ironica di Rachel Harnish; come il Guglielmo fascinoso e malandrino di Nicola Ulivieri si fa amare di più della grazia e dei virtuosismi del Ferrando di Charles Workman. Ma è questione di puro gusto dentro un livello medio altissimo e che conquista. Senza paragoni invece il divertimento che si e ci concede Daniela Mazzucato come irresistibile Despina, serva padrona e regista di quella beffa amarissima al pudore codificato e già sorpassato nel '700. E poi il gran concertatore di quella burla che è un teorema libidico, Ruggero Raimondi padrone e gestore del palcoscenico, quando non compare saturnino e mefistofelico dentro un taglio verticale nella parete (sotto le luci sempre inappuntabili di Pasquale Mari), fino a far sprofondare tutti nel lettone finale finalmente unificato. Insomma, senza concessioni o facilonerie, Martone e il suo staff da una parte, e la perfezione senza nessuna spocchia di Abbado, ci danno un'opera esemplare, da far vedere e studiare nelle scuole per fa conoscere e amare la lirica da un pubblico nuovo, essendo riusciti nello stesso tempo a catturare quello esistente. Un grande risultato di Ferrara Musica (che stasera offre un'altra serata memorabile al Comunale, con Claudio Abbado e Marta Argerich), che aveva l'altra sera un pubblico d'eccezione: politici e amministratori (compreso Cofferati che qui gioca ormai in casa) ma anche artisti diversi, da Michele Placido a Lucio Dalla, che nell'intervallo cantava a squarciagola facendo temere ai più un suo interesse per Mozart dopo quello per Puccini. Abbado per parte sua, dopo la performance giapponese di qualche settimana fa alla consegna dei Premi imperiali, non ha mancato qui di perorare la sua campagna contro i pericoli di una tv tutta commerciale. E ha rilanciato l'appello perché anche gli italiani possano almeno aver accesso alla rete culturale Arté, come i loro concittadini europei (si può aderire via mail scrivendo a perarte@articolo21.com).
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