Il celebre direttore, rigoroso antidivo e entusiasta innovatore, è questa sera a Roma, per la prima volta alla guida della favolosa orchestra tedesca
"Io, un Sir alla guida dei Berliner"
Godo dell´eredità di Claudio Abbado, grazie a lui l´orchestra è ringiovanita, è divenuta curiosa e flessibile Sarei felice, un giorno, di dire che i Berliner sono un´orchestra in cui ciascuno suona dal più profondo del suo cuore
LEONETTA BENTIVOGLIO ROMA - C´è un episodio che dice molto su Simon Rattle, il direttore che dal 2002 guida i Berliner Philharmoniker, e che è appena giunto a Roma per celebrarvi il suo debutto italiano come direttore della favolosa orchestra tedesca. Una quindicina d´anni fa alcuni ignoti ragazzini inglesi, capeggiati dall´adolescente Daniel Harding (oggi divenuto a sua volta un celebre direttore), si misura col Pierrot Lunaire di Schönberg, per poi mandare la cassetta a Rattle, che all´epoca dirige l´orchestra di Birmingham, e già spicca tra i maestri più ammirati del mondo. Eppure convoca quei dilettanti incoscienti per spendersi in consigli tecnici ed espressivi sul brano: follie siderali, confrontate alla congenita arroganza della maggior parte delle star del podio. Così è Sir Simon: bizzarro, spregiudicato, profondamente anti-divo. Immerso nella musica con voracità ed ebbrezza, determinato nel sondare e vivificare il repertorio. Oggi all´apice della sua generazione (è nato a Liverpool nel 1955, ben consapevole del patrimonio culturale regalatogli dalla città dei Beatles), è un innovatore entusiasta: non perché ha aperto il santuario dei Berliner al jazz e alla musica nuova; non per la gran chioma di ricci bianchi e gli eccentrici gilet; ma perché vive la musica come punto di convergenza fondamentale del pensiero odierno, e sa comunicarlo appassionatamente, nelle esecuzioni e nelle scelte. Sir Simon, com´è cambiata l´orchestra dei Berliner col suo arrivo?«Presto per dirlo: sono direttore dei Berliner da diciotto mesi. Si viaggia verso un reciproco mutamento: un´orchestra e il suo direttore finiscono per rispecchiarsi a vicenda. Godo dell´eredità di Claudio Abbado, grazie a lui l´orchestra è ringiovanita. Ed è divenuta curiosa e flessibile. Ma pur ammirandoci, Claudio e io siamo animali diversi». Nel modo di lavorare?«Claudio non dà il meglio in prova, mentre in concerto è ispirato e comunicativo. Io invece sono stato sempre un "meccanico" delle orchestre, accanito nelle prove, e credo che i Berliner mi abbiano voluto anche per questo. A volte i musicisti mi raccontano: con Claudio facevamo concerti straordinari, ma senza sapere come eravamo arrivati a quel punto!»È cambiato il repertorio?«Negli ultimi tempi, e fin da Karajan, l´orchestra ha suonato poco repertorio classico: poco Haydn e Mozart, pochi titoli del primo Beethoven. E anche poco barocco e poca musica francese. Con Karajan si faceva molto Brahms, così come si faceva molto Mahler con Claudio. Io punto ad altri colori, ad altre vitamine».Anche ad altre atmosfere in orchestra? «Con Karajan c´era più tensione e competizione, il che dava potenza ai Berliner. Poi ci fu il periodo di Claudio, e quando sopraggiunse la sua malattia accadde un miracolo. Pareva che i Berliner, consapevoli dei rischi, avessero deciso di prendersi cura del loro direttore, diventando più affettuosi e vulnerabili. Un patrimonio che resta. Io cerco un clima di musicisti amichevoli, che suonino l´uno per l´altro, come in un gruppo jazz. Amo direttori come Giulini e Kubelik, che lavorano per sviluppare la complicità tra orchestrali». Si è dedicato per quasi un ventennio alla Birmingham Symphony Orchestra, e ora si è votato ai Berliner. Cosa pensa dei suoi colleghi che passano da un´orchestra all´altra, risucchiati dal jet set?«È una scelta perdente. L´unico modo per lavorare con un´orchestra è andare a fondo, procedere per gradi, costruire insieme. Basta ascoltare le registrazioni di Furtwängler per capire che ci sono profondità raggiungibili solo eseguendo certi pezzi ogni stagione, per anni e anni».Crede nella supremazia musicale dell´Europa rispetto agli Stati Uniti? «In città come Berlino e Vienna la musica classica è vicina alla gente, radicata e solida nella cultura. In America invece è un lusso, e non è che un piccolo segmento del mercato. Gli Stati Uniti sono un posto duro per chi vuole fare musica, le orchestre lavorano a fatica, il paese è problematico ed estremamente conservatore. Il che non esclude che ci siano anche alcune orchestre americane di livello altissimo». Quanto alla politica internazionale Usa? «Sono molto critico nei confronti del regime attuale. Questa è un´epoca terribilmente difficile e pericolosa. Perciò le arti oggi sono più che mai necessarie». Si è fatto un´idea sul nuovo Auditorio di Renzo Piano dove dirigerà stasera? E quando tornerà in Italia?«L´anno prossimo, coi Berliner, sarò alla Scala e alla Fenice. Quanto alla nuova sala di Roma, amici musicisti me ne hanno parlato bene. Ma mi è anche stato detto che il suono è immediato ed esplosivo, il che può essere rischioso per gli ottoni. Vedremo».Crede che i Berliner siano la migliore orchestra del mondo?«Ho due figli, e naturalmente sono loro gli esseri più straordinari al mondo. Ho un´orchestra di 128 persone: come non dire che è il più incredibile gruppo di musicisti del pianeta? Che senso hanno le classifiche? Sarei felice, un giorno, di dire che i Berliner sono un´orchestra in cui ciascuno suona dal più profondo del cuore».