ABBADO NELLA STAMPA Il Corriere della Sera Claudio Abbado
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Abbado e Cuba: le passioni di un intellettuale Claudio Abbado è musicista insigne, ma non è medico: su che base può categoricamente affermare che Cuba è all'avanguardia nella ricerca medica? Solo perché il dottor Martinez Sanchez gli ha detto di aver scoperto una nuova cura dei tumori? Affermazioni simili ne abbiamo sentite parecchie anche in Italia, come tutti ricordano. E per l'assistenza ai malati? Il mio campo professionale è la Medicina nucleare, nella quale lo strumento fondamentale per gli esami ai pazienti è la gammacamera. Da un recente Rapporto delle Nazioni Unite (Unscear 2000 Report, reperibile in Internet; si veda l'Annex D, Table 4 a pag. 341) si apprende che a Cuba c'è meno di una gammacamera per ogni milione di abitanti (0,83 per l'esattezza), mentre ce ne sono 11 in Giappone, Finlandia e Danimarca. Perfino piccoli Paesi che non pretendono priorità medica ne hanno più di Cuba: 6,54 in Slovenia, 6,14 a Cipro, 3,7 nel Qatar. La stessa cosa purtroppo avviene per apparecchiature moderne indispensabili alla radioterapia dei tumori, come gli acceleratori lineari (Linac): si veda la Table 6 a pag. 346. Una bella avanguardia davvero! Guido Galli
Caro Galli, Credo che la firma di Claudio Abbado ... Caro Galli, Credo che la firma di Claudio Abbado sull’appello per Castro e il suo articolo sul Corriere esprimano una simpatia personale e forse una preferenza ideologica: sentimenti legittimi che noi tutti proviamo, indipendentemente dalle nostre specifiche competenze quando ci accade di visitare un Paese o di affrontare un problema conversando con gli amici. Il problema è un altro: se l’opinione pubblica debba prestare una particolare attenzione ai pareri e alle scelte di un intellettuale quando questi si esprime su una materia che è estranea al suo campo di lavoro. Vi sono Paesi in cui tali opinioni sono trattate con rispetto, ma con sostanziale indifferenza. E ve ne sono altri, soprattutto nell’Europa continentale, in cui gli intellettuali acquistano agli occhi della pubblica opinione una natura sacerdotale. Sappiamo che questa tendenza risale ai moti nazionali dell’Ottocento, quando il nazionalismo aveva bisogno di poeti, e divenne ancora più diffusa dopo la lettera aperta con cui un romanziere francese, Emile Zola, denunciò il complotto politico-militare che aveva ingiustamente condannato per spionaggio il capitano ebreo Alfred Dreyfus. Zola ebbe il merito di creare un movimento di opinione e di rimettere in moto la macchina della giustizia francese. Ma quell’episodio produsse generazioni di intellettuali impegnati, tutti convinti di essere investiti da una missione civile e pronti ad arruolarsi sotto le bandiere di una delle tante ideologie che hanno dominato gli ultimi centocinquant’anni: nazionalismo, socialismo, fascismo, comunismo. I partiti e i governi hanno capito che dal narcisismo della intelligencija potevano trarre molti vantaggi e hanno aperto le loro braccia a questa volonterosa intendenza, disposta a marciare dietro gli eserciti della storia. Quando fondò il Premio Bergamo e la rivista Primato Giuseppe Bottai raccolse un folto gruppo di scrittori, poeti, pittori e scultori, non necessariamente fascisti, ma lusingati, e spesso nutriti, dalle attenzioni del regime. Quando Togliatti sbarcò a Napoli dopo il suo lungo soggiorno in Unione Sovietica (un regime in cui gli intellettuali al servizio del potere avevano almeno qualche attenuante), fece esattamente la stessa cosa, spesso con le stesse persone. Comincia da allora soprattutto in Italia e in Francia, la consuetudine dei proclami e dei manifesti, tanto più autorevoli, apparentemente, quanto più firmati da persone che sul contenuto di un appello hanno spesso le cognizioni di un dilettante. Spero di non essere frainteso, caro Galli. Credo che gli interventi di un intellettuale su questioni estranee alla sua vocazione siano sempre interessanti. Ma credo che vadano benevolmente lette come manifestazioni del suo carattere. Sono utili per la sua biografia, ma spesso irrilevanti per il problema di cui si discute.
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