LA SCALA IN CRISI Lettera di Carlo Maria Badini La Scala attraversa una grande crisi: crisi di fiducia del suo personale verso i dirigenti
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Lettera di Carlo Maria Badini all’assemblea Milano per la Scala, la Scala per Milano Bologna, 11 marzo 2005 Amici milanesi mi hanno sollecitato ad intervenire all’incontro promosso da i LIBERI LOGGIONISTI. Altri impegni me lo impediranno. Mi auguro che dalla riunione possano sortire proposte finalizzate a fare fuoriuscire la Scala dalla drammatica situazione in cui si trova. E per traguardare un tale obiettivo occorre che i temi della polemica vengano smorzati per lasciare posto alla forza persuasiva delle idee che non abbisognano di grida, ma piuttosto di argomentazioni tali da renderle auspicabilmente vincenti. Già, perché siamo oramai sull’orlo di un baratro e precipitarvi dentro può voler dire creare per la Scala nell’immediato una situazione di crisi da cui sarà poi difficile venir fuori a breve. Ecco perché ritengo che le parti, per evitare il disastro, responsabilmente compiano un passo indietro: il Consiglio dichiarando la sospensione esecutiva della nomina di Meli a Sovrintendente, i lavoratori scaligeri rinunciando alla richiesta di dimissioni del Consiglio. Compiuto il passo indietro, le parti si dovranno confrontare attorno ad un tavolo e deporre su di esso l’insieme dei problemi, passati, presenti e futuri, che hanno reso difficile e incomprensibile ai più (ma che ritengo ben presenti a quanti operano all’interno del teatro) il cammino della Scala negli ultimi anni. Un suggerimento il mio forse tardivo, ma che dovevo rappresentare. Se a nulla si approdasse in questa direzione, allora diviene necessario fare uscire la “querelle” dal suo ambito aziendale e cittadino per trasferirla sul piano nazionale. La Scala è l’immagine di Milano, certamente, ma è anche patrimonio culturale dell’intera Nazione, è dunque anche e soprattutto immagine dell’Italia nel mondo. E Dio sa quanto di questa immagine il Paese ha bisogno soprattutto oggi! Allora occorre che le parti insieme sollecitino un intervento del Ministro per i Beni e le Attività culturali finalizzato a concorrere al dipanamento di questa matassa scaligera che un gatto malvagio ha così intricato. I Cinesi (oggi tanto di modo sulle cronache giornalistiche) facendo ricorso alla loro proverbiale millenaria saggezza dicono che non importa che il gatto sia bianco o nero, importa che prenda il topo. E se per avventura il Consiglio, trincerandosi dietro alla “correttezza formale” degli atti assunti, si dichiarasse indisponibile, i lavoratori sollecitino le dirigenze nazionali sindacali perché compiano un passo presso il Ministro Urbani. Ma se a nulla dovesse approdare anche una simile iniziativa, allora non resta che un’ultima residuale ipotesi che dovrebbe vedere il Meli protagonista e così misurarne la sua “nobiltade” e il suo amore per la Scala. In che cosa consiste questa ultima residuale ipotesi? Presto detto: dovrebbe essere il Meli a chiedere al Consiglio la sospensiva della sua nomina o meglio ancora autosospendersi dall’assumere funzioni: sarebbe un gesto di grande responsabilità. Voglio ricordare a lui (e non soltanto a lui) che in anni non molto lontani altri e ben più autorevoli personaggi della vita scaligera, nel momento in cui entrarono in rotta di collisione con quelle che vengono comunemente chiamate le “masse artistiche tecniche e amministrative” della Scala, si videro costretti a gettare la spugna. Certo, sul piano formale la cosa ebbe altra e diversa motivazione, ma la realtà è quella che ho richiamata, e ben lo sanno dentro e fuori il teatro che non racconto bugie. E questo richiamo alle cronache scaligere mi riconduce alla mia esperienza professionale di operatore dello spettacolo (ho lavorato complessivamente 16 anni al servizio di due soli Enti lirici; e non mi sembra poco, avendo assistito in quegli anni al balletto di tanti miei colleghi che saltavano da un Ente all’altro con molta disinvoltura dopo solo pochi anni di permanenza), dalla quale ho tratto un insegnamento che ha sempre rappresentato il “filo rosso” del mio operare: non si governa un teatro complesso come quello lirico se non si stabilisce un rapporto collaborativo, non solo fra il Sovrintendente e il suo Consiglio, ma anche e soprattutto fra il Sovrintendente e i lavoratori, perché è da questo impegno professionale che dipende prevalentemente il successo o meno di uno spettacolo. Il resto (Consiglio, Sovrintendente, Direttore Artistico, Direttore Musicale, ecc) costituiscono un “valore aggiunto”, sempre che esista nelle singole figure. Clima collaborativo non significa acquiescenza degli uni verso gli altri, ma ricerca continua di una sintesi delle posizioni che si confrontano. Mi perdoni la pedanteria descrittiva di una mia personale esperienza: non ho comunque la presunzione di tracciare il modello del “perfetto Sovrintendente”. Amici certo troppo compiacenti verso la mia persona mi definiscono la “memoria storica della vita musicale di questi ultimi quarant’anni”. Credo che esagerino: io sono solo un uomo che al “ponte di comando” (pur non rinunciando ad esso) ha sempre preferito la “sala macchine” dove ci si sporca con il grasso dei problemi. Nell’antichità classica ateniese la vecchiaia era intesa come sinonimo di saggezza. Ora anch’io, ormai alla soglia degli 80 anni, mi iscrivo nella categoria. Non so se sarò ascoltato da quanti cui mi sono rivolto con queste mie parole: dal Consiglio, dai Lavoratori, da Meli. Me lo auguro anche se le ipotesi rappresentate non sono certo il solo strumento per restituire alla Scala la serenità smarrita. Altre, sono certo, si possono aggiungere e migliori. Ed è quanto mi auguro venga dall’assemblea convocata al Conservatorio. Disarmiamo, per quanto possibile, la polemica, ricostruiamo un clima di collaborazione e se qualcuno non dovesse starci, grave sarebbe la responsabilità di fronte alla Scala, a Milano e alla Nazione. Perdonate la lunghezza del mio discorso. Perdonate comunque, anche se non siete d’accordo con le mie ipotesi, questo ormai vecchio Sovrintendente scaligero che malgrado si sia creato dopo la sua partenza dal Teatro del Piermarini un grande silenzio, quasi una “morte civile” sul suo lavoro nei 13 anni di sovrintendenza non ha cessato di amare la Scala, di apprezzare il lavoro delle sue “masse”. E dicano o scrivano pure che io mi sono schierato. Se l’ho fatto è perché voglio che la Scala resti grande come io la ricordo. Carlo Maria Badini Ex-sovrintendente del Teatro alla Scala e del Teatro Comunale di Bologna
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