LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°88



Autunno 2004

Bologna, 4 novembre
Vittorio Mascherpa


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Autunno 2004













































































































































































































































































































Parlare d'un concerto di Claudio Abbado comporta sempre considerarne innanzitutto il programma: specie in un caso come questo della presentazione della nuova «Orchestra Mozart» (la sesta o la settima da lui fondata, a seconda di come s'imposta il conto...).Il concerto bolognese di giovedì 4 novembre, che sarà ripetuto nei giorni 9 e 10, non è iniziato, come sarebbe stato facile aspettarsi, con un pezzo di Mozart, ma con la celebre ouverture di Beethoven dalle musiche di scena per la tragedia 'Egmont' di Goethe: l'intenzionale significato morale e storico e della tragedia e delle musiche è, senza dubbio, quello di celebrare le libertà individuali e civili, e lo sforzo per mantenerle o restituirle contro il tentativo di conculcarle, , profuso fino al sacrificio di se stessi destinato a successi soltanto effimeri. Credo che, scegliendo questo pezzo per inaugurare l'attività di un'orchestra che assume il nome di Mozart, Abbado abbia voluto ricordare uno degli aspetti più importanti della figura e dell'opera del Salisburghese: la completa libertà dalle convenzioni professionali e teatrali dei suoi tempi che questi seppe, faticosissimamente, conquistarsi. Perdere d'occhio, come purtroppo si legge spesso, questo lato della personalità e dell'attività di Mozart vuole dire ridurne subdolamente l'opera a un'estrema manifestazione, inutilmente perfetta, di pastorellerie e graziosità arcadiche, godibili e innocue nella loro compiutezza formale. Io credo che Abbado, scegliendo come "portale " introduttivo del concerto l' 'Ouverture Egmont' di Beethoven, abbia proprio voluto ricordare quanto l'opera di Mozart sia proiettata verso quel secolo XIX che, non solo in musica, di Beethoven starà poi sotto l'égida. Infatti, le idealità libertarie espresse negli anni Settanta e Ottanta del secolo XVIII da Goethe e Schiller, poi fatte proprie dal musicista di Bonn, avevano permeato esplicitamente già tutta l'opera teatrale matura di Mozart, musicista avvertito e sensibile come pochi altri alle novità filosofico-letterarie: da quell' 'Idomeneo' che, grazie all'inserimento della nuova dinamica 'forma-sonata' nell'obsoleta struttura "decorativa" dell'aria settecentesca, rappresentò, come ha ben documentato Paolo Gallarati, una "frattura stilistica" forse senza paragone nella storia del teatro in musica (proprio il fare propria questa rivoluzionaria idea drammatico-musicale costerà lungamente al giovane Rossini la nomea di "tedeschino"); dall' 'Idomeneo', dicevo, allo scanzonato irridere giovanilistico del 'Ratto', al 'castigat ridendo mores' delle 'Nozze'; e via fino all'estrema vertigine polistilistica e polisemantica del 'Flauto magico'. Credo che Abbado abbia voluto indicare, con quell' 'Egmont' d'esordio, la direzione a cui puntavano la musica e la cultura di Mozart: in questo senso, le parole del mecenate che, congedando a Bonn il giovane Beethoven in partenza per Vienna, gli augurava di «raccogliere lo spirito
di Mozart dalle mani di Haydn», colsero pienamente nel segno.

Il programma comprendeva poi tre composizioni di Mozart legate proprio al suo passaggio da Salisburgo a Vienna, da una condizione, in senso esteso,"servile" a quella di "libero artista": la grande 'Sinfonia concertante' in Mi bemolle maggiore per violino e viola KV 364 (nell'Ottocento la si sarebbe detta un "doppio concerto"), il celebre, "tragico", 'Concerto' in Re minore per pianoforte e orchestra KV 466, e infine quella 'Sinfonia' in Re maggiore KV 385 che l'Autore ricavò, a Vienna, dai "materiali" per la seconda delle grandi serenate già composte a Salisburgo per celebrare l'ascesa sociale dell'amica famiglia di Siegmund Haffner (il concetto bouleziano di 'Dérive' trova ascendenze lontane e illustri). Dei numerosi "fuori programma" al termine del concerto dirò più avanti.

«Nata da un'idea di Carlo Maria Badini, l'Orchestra Mozart è al centro d'un progetto speciale dell'Accademia Filarmonica di Bologna, la gloriosa istituzione musicale sede da quattro secoli di iniziative destinate soprattutto alla formazione dei giovani. Claudio Abbado, al quale è stata affidata la Direzione artistica della nuova orchestra, ne ha delineato il profilo, invitando alcuni strumentisti e complessi cameristici di fama internazionale ad alternarsi nell'assumere sia il ruolo di prime parti, sia la funzione di docenti dei musicisti giovani chiamati a farne parte.Si tratta di una quarantina di elementi tra i 17 e i 25 anni, venticinque dei quali beneficeranno di una borsa di studio dell'Unione Europea e della Regione Emilia Romagna per l'Alta formazione professionale. Tra loro più della metà sono italiani, gli altri tedeschi, francesi, olandesi, austriaci, spagnoli, con presenze femminili che superamo il trenta per cento.» Queste parole si leggono nella pagina di presentazione della nuova orchestra contenuta nel programma di sala, che, rifuggendo dalla malvagia retorica dell'autoincensamento, oggi quasi irrinunciabile, prosegue cosí: l’Orchestra Mozart «vive della gioia del piccolo gruppo che si ritrova da tutte le parti del mondo per il piacere di suonare insieme; vive del più intimo spirito dell' 'ensemble' cameristico, elastico e variabile, dove gli elementi s'alternano in varie formazioni».
Mi sembra impossibile non riconoscere in queste parole programmatiche il segno culturale che Claudio Abbado ha già impresso, con gli esiti straordinari che sono sotto gli occhi di tutti, alle sue numerose "iniziative" nel campo della cultura e della pratica musicale; aggiungo che, per la prima volta dopo moltissimi anni, il suo amore per la musica può nuovamente concretarsi, fin dall'inizio, grazie a istituzioni italiane. Il programma dell'Orchestra Mozart per il 2005, prevede, oltre
alla collaborazione per il 'Flauto magico' reggiano-ferrarese e a due concerti diretti dallo stesso Abbado, la presenza di musicisti di fama mondiale come Bruno Canino, John Eliot Gardiner e Trevor Pinnock. Nell'"anno mozartiano" 2006 l'orchestra presenterà poi «un repertorio che, partendo da Mozart, spazierà progressivamente fino al Novecento e alla musica contemporanea.»
Nella corrente occasione bolognese, tra gli «strumentisti di rilievo internazionale» presenti in orchestra si contavano: il violinista Giuliano Carmignola, la violista Danusha Waskiewicz (anche solisti nella Sinfonia concertante); il violoncellista Enrico Bronzi; il contrabbassista Alois Posch, il flautista Jacques Zoon ("prime parti", questi, rispettivamente, dei Wiener e dei Berliner e anche della Lucerne Festival Orchestra); il clarinettista Alessandro Carbonare, il cornista Alessio Allegrini.
Il primo segno del grande magistero direttoriale dimostrato da Abbado anche l'altra sera va riconosciuto, a mio parere, già nella totale assenza di nervosismo con la quale la nuova orchestra s'è potuta presentare al pubblico. L'ouverture 'Egmont', oltre alla ben nota lettura caratterizzata dal rifiuto della magniloquenza e dalla perfetta preparazione strutturale, e quindi emotiva, d'ogni episodio musicale, s'è imposta anche per l'equilibrio subito raggiunto tra le diverse parti dell'orchestra.
Rigore e poesia, varietà di colori e mobilità di fraseggio, con l'illustre primo violino e la formidabile prima viola usciti dai ranghi a sostenere le parti solistiche, hanno dato l'impronta all'esecuzione della 'Sinfonia concertante', avvalorando l'ipotesi formulata nel programma di sala, secondo la quale Mozart avrebbe scritto la parte della viola per se stesso. L'ampio pezzo è apparso, infatti, come l'immediato antecedente dei grandi concerti per pianoforte e orchestra che seguiranno di lí a pochi anni per le "accademie" pubbliche dell'Autore: il senso teatrale, il gusto nobilmente esibitivo che caratterizza la scrittura pianistica dei capolavori viennesi sono riusciti già percepibili in KV 364, specie nella parte della viola, che m'è apparsa al tempo stesso più legata e più contrapposta alla scrittura orchestrale.
Solista nel grande Concerto in Re minore era (e lo sarà anche nei prossimi
giorni) il viennese Till Fellner, allievo d'Alfred Brendel e d'Oleg Maisenberg, dai quali sembra aver appreso sia la classica compostezza della scuola austriaca, sia l'amore, tipico della scuola russa, per la varietà timbrica e la cura dell' "attacco al tasto". Mi prendo la libertà d'inserire qui un piccolo ricordo personale: un anno e mezzo fa, durante la tornata di giugno della Schubertiade del 2003 nel Vorarlberg, mi trovai a soggiornare nell'albergo sul cui pianoforte Till Fellner si recava a provare prima dei concerti; ebbi cosi occasione di notare la grandissima
cura che il pianista dedicava alla realizzazione d'un particolare e diverso timbro per l'attacco delle diverse frasi "drammaticamente" più significative del 'Quarto' beethoveniano. Adesso m'è stato possibile apprezzare la stessa qualità anche in Mozart, ma non saprei dire se l’equilibrio davvero non frequente ottenuto l'altra sera tra maestria strumentale e compartecipazione all'insieme sia dovuto alla maturazione del pianista, ancora piuttosto giovane o alla consueta sensibilità d'Abbado per lo 'Zusammenmusizieren', che, insieme alla superlativa qualità propria del testo, ha fatto di KV 466 il vertice non facilmente replicabile del concerto.

Nella Sinfonia 'Haffner', posta a chiudere il programma (ma solprovvisoriamente la serata) m'ha colpito in primo luogo la rilettura che il direttore ne ha offerta rispetto alla registrazione con i Berliner pubblicata nel corso degli anni Novanta. Senza perdere mai di vista il senso celebrativo implicito in questa composizione, la prima e più breve del canone delle "ultime sei sinfonie" di Mozart, l'esecuzione bolognese s'è imposta per tutt'una nuova freschezza di sfaccettature, una nuova leggerezza di conduzione, una più felice coesione degli episodi, sia nei "pomposi" primo Allegro e Minuetto, sia nel "lirico" andante, sia nel "danzante" Finale.

Terminato il concerto vero e proprio, è cominciata la festa dell'Orchestra e delle sue prime parti. Dai loro leggii, sono stati "evocati" uno a uno in primo piano il flautista Zoon, il contrabbassista Posch (a concertare insieme ai due primi violini Carmignola ed Raphael Christ, alla prima viola Waskiewicz e al primo violoncello Bronzi), il clarinettista Carbonare, il cornista Allegrini; infine è comparso, nell'ultima fila dell'orchestra, un nutrito gruppo di percussionisti. Da questi strumentisti d'eccezione sono stati suonati, con indimenticabile vitalità e in mezzo al tripudio persino eccessivo del pubblico, sei movimenti scritti da Mozart per i loro strumenti o gruppi di strumenti. Anche qui sarebbe ben difficile sottovalutare la portata dell'idea abbadiana dello 'Zusammenmusizieren': per dirne solo una, Alessandro Carbonare è clarinettista di primissimo rango tra quelli oggi in attività, e la registrazione del Concerto KV 622 diretta da Abbado con i Berliner e Sabine Meyer solista è nota a tutti gli appassionati di Mozart. Il timbro e il fraseggio della Meyer e quelli di Carbonare non hanno però in comune se non la piena maestria strumentale e l'interna coerenza; a me è sembrato meravigliosamente bello (e quasi incredibile) il modo in cui Abbado riesce a immaginare e dirigere esecuzioni con interpreti cosi diversi, non soltanto lasciando intatta la loro libertà interpretativa, ma anche realizzando in ogni caso la perfetta coesione tra parte solistica e parte orchestrale; un esempio raro, anche moralmente, d'usare le proprie superiori capacità individuali in funzione, direi "al servizio" dell' 'insieme'.

Un'acuta osservazione di Charles Rosen, posta in epigrafe all'articolo sul 'Concerto' KV 466 contenuto nel programma di sala, recita: «Il concerto in Re minore è diventato, da opera d'arte, quasi un mito: quando lo si ascolta. come quando si ascolta la 'Quinta Sinfonia', è difficile a volte dire se si sta ascoltando l'opera o non piuttosto la sua reputazione, l'immagine collettiva dell'opera.» Il quesito è sottile e, come si direbbe oggi, "intrigante": ad altri rispondere. Io desidero solo osservare che quando dirige Claudio Abbado non ascolto mai il mito, collettivo o personale, che questo direttore è giustamente diventato, ma sempre e soltanto la Musica. Quasi quarant'anni dopo averlo sentito dirigere per la prima volta, alle sue serate continuo ad andare non per sentire lui, ma per sentire i pezzi che lui dirigerà, ed esco sempre da teatro come se, prima, non li avessi ancora conosciuti. Una sera, alla Schubertiade del 2002, mi sentii dire da un Tedesco sconosciuto: «voi Italiani siete del tutto strani: un 'vostro celebre direttore' mette sempre se stesso davanti alla musica ('setzt sich immer vor der Musik'); ma con Claudio Abbado, quella che va davanti è sempre la Musica ('geht immer die Musik vor')».

















































































































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