LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°93

Anonima abbadiana



Primavera 2005

Reggio Emilia

Die Zauberflöte
(il Flauto Magico)

musica di

Wolfgang Amadeus Mozart

libretto di Emanuel Schikaneder - singspiel in due atti - ed. Bärenreiter verlag, Kassel - rappresentante per l’Italia Casa Musicale Sonzogno, Milano

prima: Vienna, Theater auf der Wieden, 30 settembre 1791

Sarastro : Matti Salminen
Tamino : Christoph Strehl
Sprecher : Georg Zeppenfeld
1° Priester : Andreas Bauer
2° Priester : Danilo Formaggia
Königin der Nacht : Ingrid Kaiserfeld
Pamina : Rachel Harnisch
1° Dame : Caroline Stein
2° Dame : Heidi Zehnder
3° Dame : Anne-Carolyn Schlüter
Drei Genien : Tölzer Knabenchor
Papagena : Julia Kleiter
Papageno : Nicola Ulivieri (20 aprile) - Markus Werba (22 aprile)
Monostatos : Kurt Azesberger
1° Geharnischter Mann : Danilo Formaggia
2° Geharnischter Mann : Sascha Borris

Maestro Concertatore e Direttore: Claudio Abbado
Mahler Chamber Orchestra
Festspielchor Baden-Baden
Maestro del coro: Anne Manson

Regia: Daniele Abbado
Regista collaboratore: Boris Stetka
Scene: Graziano Gregori
Costumi: Carla Teti
Luci: Guido Levi

Nuovo allestimento

Coproduzione de I Teatri di Reggio Emilia, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Comunale di Modena, in collaborazione con Festspielhaus di Baden-Baden, Germania



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Inverno 2005














































































































































































































































































































In questi giorni sono piena di suoni mozartiani in testa e ancora una volta esco così arricchita dalle esecuzioni di Abbado che mi sento grata alla vita di avere avuto questa fortuna. E' un grande insegnamento per tutti noi un artista che continua instancabilmente la sua ricerca senza cedimenti a letture facili e scontate. Mi ricorda tanto il mio sempre amatissimo Giulini che in ogni esecuzione sembrava cercare un pezzo di verità. Questo studio, questa ricerca che Abbado ha fatto sul suono e sulla prassi esecutiva mi spinge a un paio di osservazioni che mi piace condividere. Siffatto approccio da' un senso allo studio della filologia che altrimenti rischia di diventare qualcosa di inutile e vuoto;a prova dell'importanza dello studio della musica antica c' è il fatto che molti interpreti osannati ora (per me non tutti così eccellenti) vengono proprio dalla frequentazione del repertorio "antico": Jacobs, Harnoncourt, Herrewege. La strada di Abbado è stata diversa e credo anche per questo sia potuto assurgere a risultati più pregnanti di significato. Inoltre Abbado non perde mai di vista il senso storico della musica che esegue.

In questa prospettiva cambia il ruolo dei cantanti e dei musicisti. Mi spiego: a un direttore con questo progetto servono artisti sensibili e preparati che riescano a mettersi al servizio della musica. Di questi tempi poi Abbado fa di necessità virtù: non esistono cantanti di statura storica (purtroppo è un dato di fatto) ma lui rende quelli che sceglie funzionali ad un discorso musicale e scenico. Pian piano sta arrivando all'approdo di Giulini: l'opera non si può più fare se non in casi eccezionali(forse è anche per questo che il nostro affronta poco i grandi titoli verdiani). Il problema è che in questo panorama di desolante mancanza di personalità vocali quando si allestisce un'opera senza un progetto, senza un'idea, i cantanti mostrano tutti i loro difetti!

Importantissima è la ricerca che Abbado sta facendo sulla verità del suono. Non è vittima di un vuoto senso estetico del suono, ma cerca un suono che abbia un senso nel contesto di quello che sta eseguendo. In questa prospettiva prendono una luce diversa i pochi veri fortissimi a cui si abbandona (per questo ci riempiono di emozioni!) , in questo modo le frasi musicali non risultano mai noiose o scontate, l'esattezza ritmica pone il giusto accento anche sui valori più piccoli, le scelte ritmiche non sono mai casuali ma sempre volte a muovere il discorso musicale e a mantenerne la tensione, alcuni suoni aspri sottolineano importanti momenti drammatici.. Ancora un volta è un grande messaggio questa ricerca di una verità del suono, una ricerca che non ha fine e che trovo sempre di più che Abbado condivida con pochi colleghi, tra cui in primis Pollini.

Abbado affronta ogni lavoro ed esecuzione con la fresca curiosità, che deve essere del direttore, di dire "vediamo cosa viene fuori da questo incontro!" Sembra che non abbia mai un'idea precostituita di quello che deve venire fuori, ma ogni volta mira a costruire con gli altri, dirigendoli con il suo bagaglio di esperienze e conoscenze. Questo approccio fa sì che anche noi spettatori sentiamo di avere compiuto un viaggio alla fine di ogni esecuzione.

La semplicità dell'allestimento del Flauto magico mette in rilievo alcuni aspetti umani, forse la caratteristica puù profonda di questo capolavoro mozartano, oltre a ben sposarsi con la ricerca sonora che Abbado porta avanti. La macchinosità mostrata, i cambi di scena a vista mostrano questa opera come costruzione di una grande metafora dell'umanità. Ecco si tratta della messinscena di una grande metafora.

Grazie


Una vecchia Abbadiana

































































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