LA CRONACA
 DEL WANDERER
N°89



Autunno 2004

Napoli, dicembre 2004
Maria Vittoria Zocchi

Tristan und Isolde
di Richard Wagner

Teatro S. Carlo di Napoli


Tristan Thomas Moser
König Marke Jan Hendrick Rootering
Isolde Jeanne-Michell Charbonnet
Kurnewal Albert Dohmen
Melot Graham Sanders
Brangäne Ljoba Braun
Ein junger Seemann Alfredo Negro
Ein Hirt Gregory Bonfatti
Ein Steuermann Max Witteges

Direttore Gary Bertini
Regia Lluis Pasqual
Scene Ezio Frigerio
Costumi Franca Squarciapino


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Autunno 2004















































































































































































































































































































Dopo il disastroso ascolto in diretta da radio 3, della serata inaugurale, non posso dire di aver affrontato la trasferta per Napoli con animo sereno. Non mi era piaciuto niente, quella sera, né voci, né direzione, tutto opaco, tutto piatto…, tanto rumore per niente. Commentando il giorno dopo con due mie carissime amiche, dicevo che era la giusta punizione per chi, come me, a Lucerna aveva un pò arricciato il naso per il Tristano diretto da Abbado, confrontandolo con l’esecuzione sontuosamente sublime di Carlos Kleiber. Così, con lo spirito di chi va ad espiare un imperdonabile peccato, ho diretto i miei passi sulla via di Napoli, senza sospettare che il dio della Musica protettore dei melomani, mosso a commozione, avrebbe di lì a poco mutato i tristi presagi in una gioiosa, inaspettata, sorpresa.

E’ stato un gran bel Tristano, ed è veramente valsa la pena di andare!


Cominciamo dalla scenografia, semplicemente SPLENDIDA, moderna, piena di citazioni, come giustamente scriveva Enrico Girardi sul Corriere, con quel mare meraviglioso, pieno di suggestioni sempre sullo sfondo: geniale l’ambientare i tre atti in tre epoche diverse, il primo nel medio evo, il secondo nell’ottocento di Wagner, il terzo nei giorni nostri, a testimoniare l’universalità nel tempo e nello spazio di questo capolavoro. Non credevo che il S. Carlo avesse questa grandiosa macchina scenica; la grande prua della nave vichinga, nel I atto, pur occupando quasi interamente il palcoscenico sembrava veramente solcare agile e leggera il mare verso la Cornovaglia.

Il II atto sempre con il mare a fare da sfondo, un mare argenteo che rifletteva la sua luce sul giardino dove i due amanti finalmente potevano trovarsi l’uno fra le braccia dell’altro, e abbandonarsi, anche visibilmente, alla loro passione. Molto opportunamente, la panchina indicata dalla sceneggiatura dell’epoca su cui Isotta dovrebbe sedere mentre Tristano le poggia teneramente il capo sulle ginocchia, è stata sostituita da una ben larga e comoda chaise-longue, dove i due cantano e recitano, molto più in sintonia con quanto musica e testo vanno suggerendo.

Il III atto, come dicevo ambientato nei giorni nostri è stato a mio avviso il più debole, (scenograficamente), tutto bello solo non capisco perché Tristano, in tuta mimetica, debba giacere ferito in un letto d’ospedale, in considerazione poi del fatto che il nostro eroe è non proprio un giunco, ma diciamo un Pavarotti di venti anni fa, in quel lettuccio bianco e striminzito, coperto da un bianco lenzuolo, sostenuto da bianchi guanciali, faceva l’effetto di un’enorme mont-blanc su un piccolo vassoio! E’ vero, sono piccolezze, che tuttavia incidono negativamente su un insieme che fino allora era stato veramente bello e godibile. Mi chiedo ancora perché il povero Tristan non potesse morire nel grande comodo letto della sua casa! Cosa voleva suggerirci il regista? Forse, che in ogni eroe-guerriero dei nostri giorni che muore (e purtroppo sono tanti, troppi!) c’è un Tristano che abbagliato dai miraggi del giorno, ossia onore e gloria, soccombe perché non ha saputo capire che nella notte – cioè il ritorno alle origini – sta la salvezza? Mah!

Cantanti bravissimi: Thomas Moser, Tristan, mai affaticato, con una bella potente voce, che soprattutto ha saputo colorire, rendendola di volta in volta squillante, trionfale, per farla salire poi dal profondo della terra, incupita da un presagio di morte prima di bere il filtro. Bravissimo nel grande duetto d’amore, ma soprattutto bravo nel lungo, drammatico delirio del terzo atto, così difficile e lungo, dove l’orchestra fornisce ben poco aiuto. La sua bella voce, ha fatto dimenticare, una certa poca elasticità dei movimenti, certamente non agevolati dalla “possanza” fisica, ma anche dalla particolare idea del regista nel muovere i volumi in scena.

Jeanne-Michell Charbonnet, Isolde, poteva anche permettersi, di cantare un pò meno bene, perché è bellissima, una Isotta perfetta, alta, bionda, snella, bel portamento, buona attrice, se a questo aggiungiamo un gran bella voce, un po’ brunita, ma perfettamente articolata, piacevolissima nei registri alti, udibilissima e godibile anche nei pianissimo, possiamo dire di aver fatto centro. Ci ha regalato un’Isotta amorosa, devota, morbida, sempre convincente, che ha cantato il Liebestod, con l’anima nella voce, come se si trasformasse nell’effusione dello spirito d’amore.

Molto bravi anche tutti gli altri, ma i protagonisti assoluti sono stati loro due, la Charbonnet e Moser.

Per quanto riguarda la direzione di Gary Bertini, la sua lettura del Tristano, che dirigeva credo per la prima volta, è stata appassionata e avvincente, dolente, senza compiacimenti e virile – re Marke -, disperata nel monologo di Tristano e sempre, sempre degna di cotanta partitura. Piccolo, minuto, quasi incuneato fra il podio e l’orchestra, con un gesto assolutamente non magniloquente, tuttavia fai presto ad accorgerti della sua grande sensibilità e soprattutto della particolare attenzione al suono e al ritmo.

Prima di parlare dell’orchestra, un elogio particolare và al corno inglese, al suo lungo assolo dell’inizio del III atto, il teatro si è come immobilizzato in un silenzio attento. Ora veniamo all’orchestra vera e propia, non so esattamente quanti elementi richieda l’organico del Tristano, ma me sembrava che ieri sera fosse a ranghi ridotti, perdendo forse un po’ in sonorità e smalto, ma nonostante questo devo dire che ha suonato bene, forse appena appena discontinua negli ottoni. Sono tutti molto giovani, il che non vuol essere una giustificazione, bensì un’apertura alla speranza che il tempo possa giocare in loro favore; la stoffa c’è, spero per loro e per noi tutti che coraggio e volontà facciano il resto. Questo è il mio augurio.

In conclusione una serata ricca di insperate emozioni, come è giusto che sia, soprattutto con questa musica che ogni volta ti porta a nuove scoperte, che non finisci mai di approfondire, di godere, di esaltarti e volare alto con lei. Se, in più tutto questo ti viene regalato, in una confezione, preziosa, smagliante, superbamente bella come il teatro S. Carlo di Napoli, insomma….puoi veramente dire di aver nuotato in un mare di gioia!




















































































































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