LA SCALA IN CRISI Scambio Attilia Giuliani / La Scala attraversa una grande crisi: crisi di fiducia del suo personale verso i dirigenti
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(Questo è un messaggio dedicato all'Orchestra della Scala, in risposta a un manifestino lanciato dal loggione questa sera, 21 marzo 2005) in occasione del concerto della Filarmonica diretto da Gergiev, manifestino che, fra l'altro, chiede le dimissioni dell'orchestra, intimando un perentorio "giù le mani dal Maestro!") Stasera qualcuno che si definisce “pubblico vero” ha lanciato dei manifestini che non vale la pena di commentare se non per dire che il “pubblico vero”, libero e appassionato non parla al passato, rivolgendosi a voi dell'orchestra (Dio sa quanto vi abbiamo amato!), ma al presente, perché vi ama ancora, vi ha capiti e soprattutto non vi dirà mai, come i mercanti del tempio, “siamo noi che vi paghiamo”! Per il resto, nell’arte le regole invocate non hanno senso, quello che vale sono le affinità elettive, l’unità di intenti nel voler fare musica insieme, altrimenti cosa mai ne può uscire? Se il direttore musicale e la sua orchestra hanno esaurito il loro rapporto non c’è mediatore che possa fare il miracolo, non c’è pubblico zelante che possa ricucirlo a suon di proclami lanciati dal loggione. Se l’intesa è possibile deve scaturire dai protagonisti, altrimenti è meglio dirsi “lasciamoci così senza rancore”. E poi oggi è il primo giorno di primavera, forse l’Orchestra della Scala ha bisogno di un nuovo amore e il Maestro Muti pure, perché ostinarsi e fare i separati in casa, anche se la casa è il Teatro più famoso del mondo? Attilia, 21 marzo 2005, di ritorno da uno straordinario concerto diretto da Valery Gergiev Risposta di Dino Villatico Carissima Attilia! Brava! Dirò di più! Che il valore di un'istituzione non si misura con le glorie passate, ma con quelle che si preparano e la Scala da troppo tempo vive solo di quelle passate. Ma in realtà non solo il valore delle istituzioni, bensì anche di un intero paese si misura con gli atti del presente, e ho paura invece che l'Italia e gli Italiani abbiano paura del nuovo. Ma è male antico. Che ci ha retrocesso alla retroguardia culturale dell'Europa da almeno due secoli. Ricorda Madame de Staël? e l'articolo Sull'utilità delle traduzioni uscito sulla Biblioteca Italiana nel 1816? Apriti, Cielo! Gli Italiani insorsero, offesi (si offendono sempre quando qualcuno dice loro la verità su quello che sono): "Noi abbiamo Petrarca, Dante, Tasso, Ariosto, non abbiamo bisogno delle traduzioni di scrittori stranieri" ribadirono. La risposta della Signora (figlia tra l'altro dell'ex ministro di Luigi XVI, Necker) fu secca: "Non ce li avete più!". Ecco, la situazione mi sembra ancora questa. E se Milano piange, Roma non ride. Sono anni che a Santa Cecilia (con tutto il rispetto per Bruno Cagli) si perde l'occasione di nominare un Presidente di fama internazionale, e che sia un musicista: l'ultimo è stato Luciano Berio. Siamo tanto fieri che Abbado stesse alla testa dei Filarmonici di Berlino, perché non potrebbe un Francese, un Tedesco, un Inglese, uno Spagnolo, un Polacco stare alla testa di un'istituzione italiana? I Berlinesi hanno scelto ora un Inglese, Simon Rattle. Sarebbe così scandaloso un Francese alla Scala e un Tedesco a Santa Cecilia? Ma ricordo la levata di scudi di tutta la stampa italiana (tutta! da destra a sinistra) quando al Teatro La Fenice di Venezia venne nominato come direttore artistico un inglese, John Fisher. "Uno straniero a capo di un teatro italiano!" furono i titoli a caratteri cubitali. E recentemente la stessa cosa è accaduta per la mostra del cinema della Biennale, sempre di Venezia. Ma che cos'è? un Italiano a Berlino, a Londra, a Parigi non è uno straniero? Ricordo che Massimo Bongianckino è stato Direttore dell'Opéra di Parigi, e tranne qualche stupido scalmanato, non ci furono proteste. E poi gli sciovinisti sarebbero i Francesi? I nostri "nuovi" compositori sono più eseguiti in Francia che in Italia. Temo che il pomo della discordia, tuttavia, non riguardi l'arte, ma le poltrone da occupare. E ho poca fiducia che le cose, da noi, possano cambiare. Francesco Petrarca, a metà del XIV secolo, scriveva da Milano a un amico Francese: "Sono tornato, dopo molti anni di esilio, in Italia, e sono felice di essere ritornato nella mia terra, ma non mi ricordavo gli Italiani così ignoranti e disonesti. Del resto erano Italiani coloro che cacciarono via dall'Italia mio padre". Che dire? o che fare? Una sola cosa: guardare in faccia la realtà. E rimboccarsi le maniche. Ma saremo in grado di farlo? Temo pur troppo che agli Italiani il fumo continui a piacere sempre di più dell'arrosto. Cari e partecipi saluti, Dino Villatico
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