LA CRONACA Attilia Giuliani
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Cronaca di un inizio maggio particolare a Milano La settimana inizia con l’evento tanto atteso dopo le burrasche che hanno sconvolto il Teatro alla Scala: lunedì 2 maggio 2005 Riccardo Muti ritorna sul podio del celeberrimo teatro milanese alla testa dei Wiener Philharmoniker. Concerto organizzato dal FAI, biglietti - carissimi in nome della beneficenza esauriti da mesi, lista d’attesa di 2000 nominativi. Il Maestro nei giorni precedenti dichiara, con sottile veleno, che “tutti vogliono sentire Muti e i Wiener, orchestra di veri amici” … Si arriva al grande appuntamento, folla delle grandi occasioni davanti al teatro, sembra quasi un 7 dicembre se non fosse per il clima ormai quasi estivo, maxi schermo in Galleria per gli esclusi, fra cui la sottoscritta. Nell’attesa dell’inizio, ci sono un paio di zelanti sostenitori del Maestro napoletano che raccolgono firme per la petizione “Maestro le ritiri” (sottinteso le dimissioni), qualcuno replica che vorrebbe un comitato “Maestro si ritiri” (sottinteso per sempre…); arrivano le 8 ma lo schermo resta buio, ancora lunghi minuti senza immagini né suono, poi finalmente appare l’inquadratura del podio e quindi dell’orchestra, gli altoparlanti diffondono la musica, ma le prime battute della sinfonia “La sorpresa” di Haydn sono state perse! Problemi tecnici o strategie volute, per non far vedere al pubblico rimasto fuori cosa succedeva in sala? Mistero! Precauzione inutile se fosse vera la seconda ipotesi, non c’erano certo folle oceaniche in galleria, forse neppure un centinaio di persone; ma chi tentava di fotografare lo schermo veniva bloccato (“Il Maestro non vuole”). Mi concentro sulla musica, il suono degli archi è splendido, i Wiener sono sempre i Wiener, Muti dirige con il gesto che gli conosciamo e un piglio particolarmente severo, nessun sorriso, nessun abbandono; alla fine della sinfonia, applausi scroscianti ma nessuna inquadratura della sala (di nuovo scelte di regia di ripresa ben precise?). Decido di tornarmene a casa, in tempo per sentire uno splendido concerto diretto da Daniel Harding in diretta da Ferrara. Il giorno dopo paginone su Repubblica “La notte di Muti accende la Galleria”, con una carrellata di pareri raccolti fra il pubblico, guarda caso, tutti a senso unico: rimpianto incondizionato per il Maestro, e vergognosi orchestra, coro e dipendenti tutti della Scala ad averlo “cacciato”. Ma il meglio arriva mercoledì 4 maggio con l’elzeviro di Paolo Isotta sul Corriere, capolavoro assoluto di apologia di un direttore d’orchestra, paragonato nientemeno che a Gesù Cristo sotto Specie Eucaristica, costretto ad andare per il mondo a portare la sua buona novella in musica! Scrivo subito al direttore del giornale se pensa che finalmente si sia toccato il fondo o se dovremo leggere la prossima volta che Muti cammina sulle acque e guarisce gli storpi o dà la vista ai ciechi e la parola ai sordomuti! Per fortuna che la giornata è allietata dall’altro attesissimo appuntamento scaligero, il ritorno dei Berliner, assenti dal febbraio del 1993, quando furono diretti da Claudio Abbado, per l’ultima volta sul podio del teatro e per l’ultima volta come direttore d’orchestra a Milano. Già dalle sei si è radunato un bel gruppetto di noi del CAI in via Filodrammatici, si incontrano vecchi amici tra i Berliner, molto felici ed emozionati di ritornare nel tempio italiano della lirica e di ottimo umore anche per aver goduto di una splendida giornata limpida e abbagliante di sole. Alle 20 Simon Ratte sale sul podio, accoglienza calorosa del pubblico che, come per il concerto di lunedì, è un po’ particolare, come sempre quando si tratta di manifestazioni benefiche, se non altro perché i biglietti sono molto più cari del normale e perché, consuetudine davvero impopolare e un po’ meschina, non vengono venduti i posti di loggione dell’ultimo momento impedendo ad un pubblico appassionato ma dalle risorse limitate di accedere all’evento… ma questo è un altro discorso che andrebbe approfondito. Nella prima parte del concerto risuonano le note della 4° sinfonia di Beethoven la cui interpretazione, a dire la verità, lascia perplessi quasi tutti, troppi passaggi ad effetto, rallentati, pianissimi e poi esplosioni di suono, col risultato che si perde il filo del discorso musicale (e apparentemente non solo gli ascoltatori, ma anche gli esecutori, con alcune parti solistiche che si fanno cogliere “distratte” al momento in cui devono intervenire). Magnifico invece lo Stravinskij dell’Uccello di Fuoco, presentato nella partitura integrale, dove l’orchestra ha potuto esprimere tutta la sua magnificenza, tanto da far dire a Dino Villatico su Repubblica che forse è davvero la migliore del mondo, un’orchestra possente ma nello stesso duttile, capace di rispondere a meraviglia a sollecitazioni diverse. Più che giustificato quindi alla conclusione l’entusiasmo del pubblico, che esplode in quel tipo di applauso contagioso e caloroso che crea un’atmosfera particolare e una corrente di simpatia fra la sala e gli esecutori, che nel frattempo venivano inondati da un lancio di fiori colorati e di petali di rose da noi del CAI, in segno di festa e amicizia. Questa volta un piccolo drappello del CAI si fa coraggio e tenta la strada dei camerini (ne avevamo dimenticato il percorso), per salutare Rattle e il nuovo sovrintendente, Stéphane Lissner, da oggi, 4 maggio, insediato sulla poltrona di direttore artistico e di sovrintendente della Scala nello stesso tempo. Come sempre Rattle è spiritoso e disponibile e ci ringrazia con un “grazie” svolazzante scritto sul programma di sala, ma nello stesso tempo ci chiede della partita: il Milan sta giocandosi la qualificazione alla finale di Champions League con il Liverpool, città natale di Sir Simon. Il finale della partita è da brivido, resto in contatto sms con i miei figli incollati al televisore di casa e finalmente è finita, il Milan passa in finale. Anche Rattle sembra soddisfatto di questo esito, sorride e mi stringe ancora la mano: “ci vediamo ad Istanbul allora!” e se ne va a piedi con il mazzo di rose bianche che gli avevamo fatto avere in camerino. Giovedì 5 maggio, giorno della morte di Napoleone, viene pubblicata su Repubblica l’intervista a Lissner che promette: datemi 5 anni e farò rinascere la Scala! Poche e asciutte parole, corrette ma non diplomatiche nel senso cui siamo abituati del dire e non dire, del non compromettersi mai; idee chiare quindi, e nessun giro di frasi. La Scala è attualmente in una situazione disastrosa, ma il suo lavoro di ricostruzione partirà proprio dall’orchestra e dalle maestranze, nelle quali dichiara di avere piena fiducia. Gli chiedono di Muti, se pensa che mai tornerà: “Muti è uno dei 5 direttori più importanti al mondo e la Scala dovrà convincere questi 5 a salire sul suo podio” , risponde. Benissimo, è aperto il toto-5, lascio a voi azzardare la preziosissima cinquina! Altra dichiarazione importantissima e confortante del neo-sovrintendente annotatevela, prego è la seguente: “Non ho nessuna intenzione di entrare nella politique politicienne italiana. Non bado ad appartenenza di destra o sinistra: lavorerò per la Scala, difenderò i suoi artisti e questa è la sola cosa importante per me. Per chi voto non si deve sapere, il voto è segreto!” Confortante, è davvero una garanzia uno che si tenga fuori dai giochi di potere e che si senta libero di agire senza timori reverenziali o sentimenti di debito nei confronti di chicchessia. L’unica persona di cui si dichiara debitore, per le idee, è Pierre Boulez: una garanzia anche questa!!! Venerdì 6 maggio invece,nel nuovo numero dell’Espresso è pubblicata un’intervista fatta al vecchio sovrintendente Carlo Fontana che molto elegantemente e con lievità si toglie qualche altro sassolino dalle scarpe: “Ho visto nella reazione così spontanea dei lavoratori della Scala e di tanti cittadini milanesi la voglia di ribellarsi alla prepotenza e all’arroganza” e poi ancora: “Anche fingendo che non esista uno statuto secondo cui il direttore musicale dipende dal sovrintendente e non viceversa, non si capisce perché il sindaco non abbia ritenuto di portare il dissidio dentro il luogo istituzionalmente corretto per cercare di risolverlo. Di fronte all’aut aut di Muti, tutti i consiglieri hanno detto via Fontana senza sapere perché”. Ma non è finita: sul Sole-24 ore di giovedì 5 maggio viene riferito dell’ennesimo appello perché Muti ritorni sulle sue decisioni: promotore questa volta Giovanni Reale, il filosofo-teologo della Cattolica, che alla vigilia del terremoto scaligero, aveva pubblicato un libro-intervista al Maestro, a dire il vero piuttosto imbarazzante nel suo intento apologetico (Muti come Platone o giù di lì, tanto da avere suscitato un articolo piuttosto pungente sul Foglio). Ora il filosofo pretende di farsi portavoce della vox populi; temo che sia piuttosto una vox teleguidata, una vox della buona borghesia milanese che si vuole fedele a Muti a tutti i costi; ha mai letto il blog dei lavoratori della Scala che raccoglie gli umori non solo delle maestranze, ma anche di appassionati che lasciano i loro commenti sulla vicenda ormai da più di tre mesi? Fortuna che le due firmatarie dell’articolo, Cristina Jucker e Carla Moreni, raccolgono anche il parere di qualcuno un po’ più realista di Giovanni Reale, che, a dispetto del suo nome, vive nell’iperuranio, come osserva giustamente Francesco Micheli, finanziere e appassionato di musica, oltre che presidente del Conservatorio: “Le divisioni sono andate troppo in là per essere riconducibili al buon senso”. Anzi, proprio il buon senso suggerirebbe di smetterla con questi appelli che per essere costruttivi possono provenire solo dalla volontà dei protagonisti a riconciliarsi. Le cose devono maturare da sole, c’è chi non è tornato da quasi vent’anni… Attilia Giuliani Milano, 7 maggio 2005
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