LA CRONACA Ermanno Gloria
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“Noi godiamo i piaceri del cielo, perciò fuggiamo le cose terrene…” Ma in questa occasione, a Berlino, il 27 maggio, alla Philahrmonie, con i Berliner, sotto la guida di Claudio Abbado, non abbiamo “fuggito le cose terrene” e ugualmente “abbiamo goduto dei piaceri del cielo”. Quante volte ho ascoltato la quarta sinfonia di Mahler e naturalmente l’interpretazione di ogni direttore apporta sempre nuove scoperte, ma quello che sorprende in Claudio Abbado è la sua determinata e lucida chiarezza tesa a restituire una possibile verità mahleriana, e mi torna alla mente quanto diceva l’autore stesso:”L’esigenza alla quale io voto fino all’ultimo tutti i mezzi che ho a disposizione è che sia udibile tutto ciò che risuona al mio orecchio interiore” e per quanto riguarda il primo tempo “Comincia come se non sapesse contare fino a tre, poi giunge rapidamente con giganteschi calcoli di milioni e milioni…” Nel secondo tempo, scherzo, perfetta la suggestione, ironicamente orrida, caratterizzata dall’effetto di straniamento prodotto dal suono stridulo di un violino accordato un tono sopra, che la spalla ad un certo passaggio sostituiva con quello in uso, a imitazione della fiedel (vecchio strumento popolare dei suonatori ambulanti) dal quale venivano emessi acuti e sinistri accordi a simboleggiare la morte, impersonata dal menestrello Hein, che al suono del suo violino, conduce i bambini all’Aldilà. Nell’adagio, ruhevoll (tranquillo), non posso che citare nuovamente le parole di Mahler per ribadire il concetto di verità interpretativa, che ho potuto scorgere:”Quel che mi balenava alla mente per il terzo movimento era estremamente difficile da realizzare. Immaginatevi l’indifferenziato azzurro del cielo che è più difficile da cogliere di qualsiasi altro colore cangiante o contrastante. Questa è l’atmosfera base del tutto. Soltanto, di tanto in tanto, esso si oscura e diventa spaventosamente spettrale; non è però il cielo che si turba; esso in realtà continua a brillare di un eterno azzurro. Solo per noi diviene improvvisamente orrido, così come in una bellissima giornata nel bosco immerso nella luce, si può essere colti dal terrore panico .Mistico, confuso, inquietante, da far rizzare i capelli è lo Scherzo. Ma subito dopo, nell’Adagio, dove tutto si dissolve, vedrete che le intenzioni non erano poi così cattive. E tutto è attraversato da una melodia divinamente serena e profondamente triste, sicchè sorriderete e piangerete insieme.” E per il tempo finale Sher behaglich (Molto piacevole) con il Lied La vita celestiale :”Che tono birichino vi si trova, unito al più profondo misticismo! Tutto è sconvolto e rovesciato, la casualità non ha assolutamente alcun valore! E come se di colpo tu guardassi l’altra faccia della luna! C’è la serenità di un mondo superiore, per noi estraneo, che possiede qualcosa di spaventoso e orrendo, Nell’ultimo tempo il bambino, che allo stato di larva ha già fatto parte di questo mondo superiore, spiega quale ne sia il significato.” Nel programma del concerto precedeva la serie dei i sette lieder giovanili Sieben frühe Lieder di Alban Berg: Nacht; Schilflied (Canto del canneto); Die Nachtigall (L’usignolo); Traumgekrönt(Coronamento del sogno): Im Zimmer(Nella stanza); Liebesode (Ode d’amore) e Sommertage (Giorni d’estate). Renée Fleming, intervenuta anche nell’ultimo tempo della Sinfonia di Mahler, a mio parere, non raggiungeva la pregnante intensità toccata dall’orchestra: peccato, il soprano americano fisicamente e interpretativamente, mi ha fatto ricordare una certa Hollywood. Ma tralasciamo quest’ultime futili considerazioni per tornare all’importanza dell’interpretazione dei Berliner e di Abbado, che nei quattro giorni di permanenza a Berlino mi hanno accompagnato in questa meravigliosa città, dove il passato rivive e si rinnova nel presente con tutte le sue curiosità, le contraddizioni e in ogni forma artistica. Il giorno dopo la prima del Concerto, il caso mi ha portato a visitare il monumento dell’olocausto e pochi istanti prima mi era giunto un sms con la notizia della scomparsa della cara Norma. Mentre procedevo all’interno del monumento percorrendo un viale stretto, in discesa, attraversato da altrettanti vialetti formati da migliaia di plumbee e incombenti steli, ricordavo l’immane tragedia degli Ebrei, potevo comprendere maggiormente attraverso questi simboli, che formano i tristi meandri fra la vita e la morte, i tanti inumani soprusi culminati con lo sterminio e fui preso dalla commozione. E qui la musica dell’architettura mi ha accompagnato in questo ondeggiante monumento e mi ha dato la speranza di uscire da questo incubo, guardando verso l’alto, dove il cielo azzurro era ancora lì e l’ironia non mancava scorgendo il pallone aerostatico per i turisti che si innalzava libero nel cielo. E il ricordo dell’olocausto non finiva qui: la sera seguente alla Deutsche Oper assistevo alla rappresentazione dell’Olandese volante di R.Wagner con un pregevole cast anche se non proprio noto, ma ciò che mi ha impressionato è stata la messa in scena di Götz Friedrich. L’azione si svolgeva, contrariamente all’originale, negli anni 40, e già dall’ouverture appariva una nave, quasi un relitto, proprio come le derive usate per gli esodi degli ebrei dall’Europa alla Terra Promessa. La massa oscura di questa nave si trasformava in un piano inclinato verso il pubblico dove, in soluzione di continuità, seguiva l’intera opera in modo pressoché tradizionale, ma nel finale ecco un vero coup-de-teatre: quando Senta si liberava dalle costrizioni del pretendente e seguiva l’Olandese per dargli redenzione, il piano inclinato si abbassava e dal fondo appariva, in lenta marcia, una schiera di esuli ebrei quale similitudine dell’equipaggio dei morti-viventi dell’Holländer. La marcia si fermava e tutti rimanevano immobili. La musica completava la grande suggestione e mi suggeriva una possibile redenzione anche del coro (l’umanità) che attonito fissava ciò che colpevolmente ricordava l’olocausto.
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